2023-09-30
«In Italia non ritornerà un governo tecnico»
Giorgia Meloni (Getty Images)
Lo spread cala e Giorgia Meloni ribatte alla sinistra: «Non vedo problemi, ma l’opposizione ci spera per mandare a casa un esecutivo democraticamente eletto». Altra piroetta di Carlo Bonomi, che dopo aver sostenuto il Superbonus ora attacca la maggioranza sul debito.Nadef, diffusi i primi dati ma la versione integrale della Nota non è disponibile sul sito del Mef.Lo speciale contiene due articoli.Contrordine compagni, fate rientrare l’allarme spread. Ieri il differenziale tra Btp e Bund tedeschi si è attestato a 194 punti base, lontano dai 200 sfiorati per qualche ora giovedì. In netto calo, invece, il rendimento del Btp decennale che ha archiviato la seduta a quota 4,78% dal 4,91% della chiusura di giovedì. Tutto questo con grande delusione delle opposizioni e della grancassa mediatica della sinistra che hanno subito cominciato a dare i primi segni di quella fame di «montismo» e di governo tecnico accompagnata da rigurgiti nostalgici draghiani.Interpellata dai cronisti a margine del Med9, il premier Giorgia Meloni ha sottolineato che «probabilmente, dopo aver letto alcuni titoli, gli investitori hanno letto anche la Nadef, che racconta dei numeri seri in previsione di una legge di bilancio estremamente seria». La preoccupazione per l’andamento dello spread, ha rimarcato la Meloni, «la vedo soprattutto nei desideri di chi immagina che un governo democraticamente eletto, che sta facendo il suo lavoro, che ha stabilità e una maggioranza forte debba andare a casa per essere sostituito da un governo che nessuno ha scelto. Mi diverte molto il dibattito che già si fa sui nomi dei ministri. Temo che questa speranza non si tradurrà in una realtà perché l’Italia rimane solida, ha una previsione di crescita superiore alla media europea, anche per il prossimo anno, superiore alla Francia e alla Germania anche il prossimo anno». Ma un eventuale governo tecnico, si è chiesta la Meloni, «da chi dovrebbe essere sostenuto, da quelli del Superbonus? È lì che vedo un problema per i conti pubblici italiani, non in chi le poche risorse che ha le spende per metterle nei redditi più bassi, senza lasciare voragini per chi viene dopo. Non vedo questo problema» dello spread, ha ribadito la Meloni, «il governo sta bene, la situazione è complessa, l’abbiamo maneggiata con serietà l’anno scorso, e la stiamo maneggiando con serietà quest’anno. Lo spread a ottobre scorso era a 250, durante l’anno precedente al nuovo governo è stato più alto e i titoli non li ho visti. La sinistra continui a fare la lista dei ministri del governo tecnico che noi intanto governiamo», ha concluso il premier. Si è aggiunta ieri la voce del sottosegretario leghista all’Economia, Federico Freni, che a Radio24 ha detto che «una soglia di guardia dello spread possa essere il massimo della serie storica toccato negli ultimi 4 anni, quindi 340-350 che è il massimo dal 2018 a oggi». Quando però i tassi erano a zero, aggiungiamo noi. Sul tema è intervenuto anche il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco: «Gli interessi» sul debito pubblico, ha detto, «non sono il risultato di speculazione contro l’Italia, sono il risultato di un’attenzione sul fatto di tenere i nostri conti il più possibile in ordine. Questo è un impegno politico rilevante».Un report del centro studi di Unimpresa mostra come la salita dello spread sia riconducibile alla fiammata dei tassi di interesse e che, nonostante i continui rialzi deliberati dalla Bce, il divario tra Italia e Germania è rimasto su livelli che non destano preoccupazione. Nei primi nove mesi del 2023, la media dello spread è stata di 20 punti base inferiore rispetto a quella registrata l’anno scorso: 176 punti contro 196. Il differenziale tra i titoli di Stato italiani e titoli pubblici della Germania ha cominciato a crescere, nel corso del 2022, in coincidenza con l’aumento del costo del denaro deciso da Francoforte: il picco massimo dell’ultimo triennio, infatti, è stato raggiunto tra luglio e agosto quando il tasso base Bce è stato portato, da 0, prima allo 0,50% e poi all’1,25%. Dal picco raggiunto a settembre 2022, pari a 242 punti, si è scesi progressivamente (salvo il ritorno a 219 punti di dicembre) fino ai 160 punti del luglio scorso. La maggiore spesa per interessi sul debito pubblico, aggiunge Unimpresa, è dovuta al più alto livello dei tassi d’interesse che imporrà al Tesoro italiano di incrementare la remunerazione riconosciuta ai sottoscrittori di Bot e Btp, in aumento dagli 85 miliardi del 2022 agli oltre 100 miliardi del 2023.Nel frattempo, ieri, tra gli «allarmati» dello spread è spuntato pure il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Che in un’intervista a Repubblica si è detto molto preoccupato visto il livello del debito pubblico: «Il ministro Giorgetti ha detto che il solo aumento del differenziale quest’anno brucerà 15 miliardi. Una manovra finanziaria». Bonomi ha poi definito sbagliata la strada che ha preso la Bce ma ha chiesto al governo di «rivedere seriamente la spesa corrente, sono oltre 1.100 miliardi all’anno: da qualche parte si potrà risparmiare?», ha aggiunto il capo degli industriali. Lo stesso Bonomi, ora spaventato dal debito, che apprezzava il bonus 110% (perché «l’edilizia è il motorino di avviamento dell’automobile Italia») e ne chiedeva la proroga dopo che la spesa è esplosa salvo poi criticarlo ferocemente quando il governo Meloni l’ha abolito («È incredibile aver speso tutti quei soldi»). Una giravolta simile a quella sul salario minimo: tre mesi fa Bonomi aveva aperto la porta al cavallo di battaglia di Pd e Cgil assicurando che non c’era alcun veto, poi a metà settembre agli industriali riuniti in assemblea ha detto che «il salario minimo non serve, serve un salario giusto».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/governo-tecnico-meloni-2665765665.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nadef-il-testo-non-e-ancora-pubblico-previsto-deficit-sotto-il-3-nel-2026" data-post-id="2665765665" data-published-at="1696020813" data-use-pagination="False"> Nadef, il testo non è ancora pubblico. Previsto deficit sotto il 3% nel 2026 Il deficit italiano scenderà sotto il 3% entro i prossimi tre anni. È quello che si intuisce dalla tabella con gli indicatori di finanza pubblica della Nadef, in attesa che venga pubblicato il testo della Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza. Più in dettaglio per quest’anno l’indebitamento è fissato al 5,3% programmatico (5,2% tendenziale), mentre per il prossimo il deficit programmatico viene fissato al 4,3% e quello tendenziale al 3,6%. Tra due anni, nel 2025, sarà al 3,6% (3,4% tendenziale); per poi scendere nel 2026 al 2,9% (nel quadro tendenziale è al 3,1%). Lento anche il piano di decrescita del debito pubblico. In questo caso si passa dal 140,2% del Pil nel 2023 al 140,1% nel 2024 per giungere al 139,9% nel 2025 e al 139,6% nel 2026. Sempre dalla tabella si capisce che la differenza tra entrate e spese al netto di quelle per interessi sul debito pubblico, tornerà positivo nel 2025 con un netto miglioramento rispetto al -3,8% del 2022. In particolare, il saldo primario è previsto a quota -1,5% del Pil nel 2023 e al -0,2% nel 2024. Arriverà ad avere il segno più nel 2025, allo 0,7% del Pil, per poi salire all’1,6% nel 2026. Secondo la tabella, l’Italia spenderà inoltre quest’anno il 3,8% del Pil in interessi passivi (quadro programmatico e tendenziale), per passare al 4,2% nel 2024, al 4,3% nel 2025 e giungere al 4,6% nel 2026. La cifra cresce in percentuale perché secondo le previsioni il debito pubblico dovrebbe diminuire. Secondo i dati già emersi, insomma, la crescita dell’Italia tira il freno a mano. Per intenderci, nel corso del 2023 il Pil viene stimato al +0,8% (era all’1% nel def di aprile) e all’1,2% nel 2024. Nel 2025 la quota giunge all’1,4% e all’1% nel 2025 e nel 2026. Il motivo di tutto questo appare molto chiaro per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Il motivo per cui il debito non diminuisce come auspicato è perché, ormai diventa evidente a tutti, il conto da pagare per i bonus edilizi, soprattutto il Superbonus, i famosi 80 miliardi ahimè in aumento, sono pagati in quattro comode rate dal 2024. In assenza di questo il debito sarebbe calato di un punto percentuale ogni anno», aveva detto due giorni fa Giorgetti. Gli effetti negativi del Superbonus sui conti pubblici comporteranno sacrifici su altri fonti di spesa di cui però, dice Giorgetti, «siamo consapevoli perché le priorità sono appunto quelle che abbiamo segnalato. Dobbiamo scontare, ed è il motivo per cui il debito cala così lievemente, il fatto che abbiamo più di 80 miliardi di debiti fiscali dai bonus edilizi che scenderanno e che dovranno essere onorati nei prossimi quattro anni. In assenza di questi il nostro debito sarebbe sceso di un punto percentuale all’anno, esattamente come richiesto dagli altri Paesi europei». Intanto il governo, in attesa del testo definitivo, fa sapere che all’interno della Nadef giocherà un ruolo fondamentale il sostegno ai redditi medio bassi fiaccati dall’inflazione a cui si porrà rimedio attraverso il taglio del cuneo fiscale. Ci saranno, inoltre, interventi a sostegno delle famiglie, dell’aumento della natalità e l’avvio della delega fiscale. Certo è che si tratta di una Nadef nata in un momento molto difficile per l’economia italiana. «Un quadro economico-finanziario su cui gravano gli effetti di una politica monetaria restrittiva basata sull’aumento dei tassi d’interesse e le conseguenze del conflitto russo- ucraino» ha sottolineato Giorgetti. «Il governo», prosegue il ministro del Tesoro, «si è mosso secondo una politica di bilancio seria, responsabile e prudente consapevole che fare debito non è mai una buona cosa ma, allo stesso tempo, considerando che l’aiuto alle famiglie con redditi medio bassi deve essere comunque confermato». Di conseguenza abbiamo rideterminato la previsione di crescita per il 2023, il 2024 e gli anni successivi, aggiornando anche il livello di indebitamento che ogni anno ci possiamo permettere».
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