2020-10-23
Governo senza piani per gli aiuti Ue. Rischiamo pure di essere esclusi
Ursula von der Leyen (Dursun Aydemir/Anadolu Agency via Getty Images)
L'esecutivo non ha un programma di lungo respiro e chiede a ministeri ed enti locali di presentare progetti. Bruxelles sfrutterà le politiche assistenzialiste in stile sudamericano per negarci anche le briciole.Lo scorso 25 giugno l'Associazione Guido Carli e la Fondazione Ugo La Malfa hanno proposto l'istituzione di un'agenzia, pariteticamente composta da rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione e presieduta da una figura di altissimo profilo, cui affidare la progettazione e l'implementazione di un piano di investimenti per il rilancio dell'Italia. Lo scopo: non dissipare l'opportunità di avvalersi degli strumenti annunciati dall'Ue (dopo una colpevole titubanza) per consentire ai Paesi membri di fronteggiare le conseguenze economiche dell'emergenza sanitaria. Ammesso che si tramuti in realtà - e non è affatto scontato - se ben gestito, il Next generation Eu potrà consentire all'Italia di limitare i danni economici provocati dall'azione di contrasto al Covid-19, ma anche di porre rimedio a quei problemi che da più di 20 anni impediscono il progresso della nostra economia. Nel 2019, quindi prima che la pandemia esplodesse, il Pil italiano era ancora cinque punti al di sotto dei livelli del 2008, la produzione industriale era inferiore di un quinto e gli occupati contavano 250.000 unità in meno. È importante tenere a mente questi dati, che ci obbligano a respingere le logiche, i metodi e gli strumenti a cui la politica ci ha abituato e ci indicano la direzione verso la quale volgere lo sguardo: infrastrutture carenti e inadeguate, fragilità del territorio, burocrazia soffocante. Una volta recuperata una situazione di semi normalità, solo sciogliendo questi nodi sarà possibile avviare un nuovo ciclo di sviluppo nel Paese.Tuttavia non dobbiamo confidare nella cieca benevolenza dell'Ue per risolvere problemi strutturali e nuovi, perché Bruxelles non approverà a scatola chiusa le nostre richieste: in assenza di un programma articolato, coerente e chiaro, il rischio che il Recovery fund rimanga lettera morta - o si realizzi soltanto in minima parte - è reale. I soldi potrebbero non arrivare affatto oppure essere di gran lunga inferiori alle cifre di cui si è parlato. Eccessivi sono stati pertanto i toni trionfalistici dei giorni successivi alla conclusione del negoziato. A oggi, non è stato altro che individuato il punto di partenza di un percorso difficile e impegnativo. Lo spirito autocelebrativo in un momento drammatico, oltre che essere fuori luogo, offusca la luce che illumina il quadro e fa perdere di vista il cuore della sfida che il governo è chiamato ad affrontare: definire innanzi tutto un piano che possa essere approvato da Bruxelles e che delinei con chiarezza ai cittadini la forma di Paese verso cui tendere dopo il Covid-19, con quali mezzi e in quali tempi.Prevale purtroppo la sensazione che il governo sia incapace di tracciare la rotta per il futuro e che il cosiddetto piano non sia altro che una incoerente panoplia di provvedimenti in contraddizione tra loro, annunciati nel disperato tentativo di non scontentare nessuno anziché per indicare la via d'uscita dalla crisi. In questo modo la questione della efficace, efficiente e razionale gestione delle risorse europee non avrà motivo di essere ulteriormente dibattuta, perché non ci saranno risorse da gestire (se non in minima parte). Dopo oltre due mesi dalle dichiarazioni trionfalistiche sull'esito del negoziato europeo, risulta estremamente confusa la linea che l'esecutivo intende seguire per la definizione di un piano d'attuazione del Recovery fund.Nella prima fase della crisi, sostenere i redditi delle famiglie e delle imprese colpite dai provvedimenti restrittivi adottati dal governo per contrastare la pandemia è stato sacrosanto: anzi, la critica che può essere mossa all'esecutivo è di essere stato titubante e di aver agito poco tempestivamente in questa direzione. Ma è soprattutto nella seconda fase della crisi, sollecitando i ministeri e gli enti locali a proporre iniziative da finanziare con i fondi europei, che il governo ha deciso di non decidere. La mancanza di una strategia per il futuro rischia di spingere il Paese lungo il cammino che conduce verso uno Stato assistenziale di tipo sudamericano. Affiora il sospetto che la confusione sui progetti da realizzare nasconda la volontà di fare un uso improprio delle risorse sulle quali la Commissione guidata da Ursula von der Leyen e gli altri Paesi membri dell'Unione europea saranno chiamati a pronunciarsi. Questo disegno perverso - volontario o involontario che sia - incontra un grande limite: i soldi. Non è infatti chiaro se i partiti della maggioranza abbiano compreso che il finanziamento di spesa corrente improduttiva con i fondi europei non è una strada percorribile: il solo tentativo farebbe dissolvere nel nulla la suggestione del Recovery fund. In questo caso però non ci sveglieremmo da un sogno, ma ci troveremmo a vivere in un incubo peggiore di quello in cui in questi mesi ci ha precipitato il coronavirus.
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