Presidente associazione
Guido Carli
Anno 2022, agosto: qual è la rotta della nave chiamata Italia? Veleggiando sull’oceano buio e tempestoso che è oggi lo scenario internazionale, ci stiamo avvicinando o allontanando dagli scogli? Purtroppo i capitani che in questi dieci anni si sono succeduti sulla tolda di comando hanno puntato la prua nella direzione delle rocce.
Il tracollo del sistema socioeconomico provocato dalla pandemia rimane un’emergenza aperta, aggravata dall’inflazione che è tornata a rappresentare una minaccia per il risparmio degli italiani. Negli ultimi dieci anni a crisi è seguita crisi. La società appare disorientata, priva di punti di riferimento. L’elevato astensionismo che ha caratterizzato le recenti elezioni amministrative denota, ben oltre la disaffezione, un preoccupante segnale di sfiducia nei confronti della politica. Proviamo a domandarci: le crisi che ha attraversato l’Italia erano tutte inevitabili? La persuasione che la responsabilità dei fallimenti sia da attribuire al fato, cinico e baro, è alimentata ad arte.
Per esempio, accettare l’idea secondo cui l’Italia debba gioire per i recenti dati economici pubblicati dall’Istat, come fanno i cantori della conservazione dell’attuale assetto di potere, che spacciano la blanda crescita stimata del nostro Pil per un risultato straordinario, significa aver rinunciato alla libertà di pensiero. Questa discutibile interpretazione statistica, in realtà, fornisce uno schermo autoassolutorio a chi è stato chiamato a esercitare responsabilità di governo. Arrogarsi meriti non propri - descrivendo un mare calmo quando la bufera è ancora in corso - è l’altra faccia della medaglia di scaricare altrove la colpa per i propri errori. E, d’altra parte, questo stesso atteggiamento non può che condurre i cittadini a attribuire un senso di inutilità ai propri governanti. Tuttavia, stavolta è importante non cedere alla rassegnazione. È importante esprimere il nostro voto il 25 settembre, perché cominciano a delinearsi i contorni per un cambiamento.
Nonostante la difficilissima fase economica che attraversiamo, dobbiamo lasciarci alle spalle la tentazione - spesso alimentata da organi di stampa non disinteressati - di chiederci: e noi, adesso, a chi affideremo il mandato salvifico? Quando invece dovremmo chiederci: quale piattaforma ideale, quale sistema di valori, potrà illuminare il cammino per costruire un futuro migliore? Alla filosofia dell’uomo solo al comando abbiamo sacrificato la costruzione di programmi di governo articolati.
Per questo la strategia dell’allarmismo economico volta a distribuire certificati di idoneità o inidoneità a guidare il Paese è assolutamente fuori luogo. Proprio perché attraversiamo una fase così difficile, l’opinione pubblica, il sistema produttivo, i mercati finanziari hanno bisogno di un assetto politico chiaro, costruito intorno a valori condivisi e sostenuto da partiti caratterizzati da una visione non contrastante sui grandi temi dell’attualità. Fino a oggi i partiti guidati da Enrico Letta, Giuseppe Conte e i numerosi leader che popolano la costellazione centrista sembrano maggiormente interessati alla distribuzione dei seggi tra parlamentari uscenti che alla formulazione di una prospettiva definita e ispirata a una cultura politica alta da offrire agli italiani. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi rappresentano, invece, forze politiche che stanno mostrando una apprezzabile capacità di elaborazione di pensiero e che hanno trovato un punto di sintesi.
Dopo le elezioni potrà nascere un governo all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte e un governo stabile, per la legislatura. Purché si torni a trarre ispirazione da Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi, che, guidati dal pensiero liberale e dal pensiero popolare, si rivolgevano al partito dei risparmiatori proponendo uno schema di valori definiti, e si eviti la strada melmosa di volersi affidare a una figura priva di riferimenti ideali.
Se ciò accadrà, se con il nostro voto riusciremo a far emergere una chiara maggioranza parlamentare, coesa pur nella irrinunciabile varietà delle sfumature, da cui scaturisca un governo pienamente politico e legittimato dal voto popolare, la nave Italia potrà finalmente volgere la prua lontano dagli scogli.
Federico Carli, Presidente Associazione Guido Carli
Trent’anni fa, il 7 febbraio 1992, veniva firmato il Trattato di Maastricht, che, ben oltre le implicazioni ragionieristiche che erroneamente gli sono state attribuite, avrebbe dovuto costituire uno strumento per rigenerare il sistema economico, la società e la stessa vita civile di un’Italia che già allora cominciava a languire.
Giulio Andreotti, Helmut Kohl e François Mitterrand furono i protagonisti di quell’accordo. La delegazione italiana seppe coniugare interesse nazionale e visione europea, lasciando un segno marcato - e marcatamente positivo - sulla struttura finale del testo. Ruolo non secondario ebbe il ministro del Tesoro italiano, Guido Carli.
Mario Sarcinelli ha sostenuto che Carli compì un capolavoro politico, battendosi come un leone nei confronti dei rappresentanti tedeschi e olandesi, riuscendo a rendere flessibili le norme su debito e deficit che i nostri partner d’Oltralpe avrebbero voluto definire come vincoli estremamente rigidi. Per merito della delegazione italiana a Maastricht fu introdotto il criterio della tendenza, anziché quello della soglia. Gianni De Michelis, allora ministro degli Esteri, ha ricordato che l’autorevolezza di Carli consentì all’Italia di strappare condizioni favorevoli per il Paese che rappresentava ma soprattutto coerenti con i principi di progresso civile ed economico su cui poggiavano le fondamenta dell’Europa. E quindi vantaggiose per l’intera comunità delle nazioni del Vecchio continente. A distanza di tempo emerge tutto il rilievo dell’azione di politica europea svolta dal governo italiano all’inizio degli anni Novanta, quando l’integrazione era concepita per garantire agli Stati il raggiungimento di obiettivi di crescita nell’interesse proprio e dell’Unione.
Secondo Giuseppe Guarino, i ministri italiani in carica nella seconda metà degli anni Novanta nemmeno si resero conto delle conseguenze degli stravolgimenti che avevano accettato di apportare all’impostazione iniziale. In modo surrettizio si pretese di modificare il Trattato. In stridente contrasto con la volontà dei padri fondatori dei trattati europei, all’obiettivo della crescita si sostituì quello del rigore, da accertarsi in base a dati numerici relativi a specifici momenti storici. Criterio contro il quale Carli aveva pronunciato durissimi anatemi. Il criterio del rigore sarebbe stato causa perdurante del fenomeno depressivo che ha attanagliato l’Eurozona per i 20 anni precedenti la pandemia.
Ma non è solo sul versante dell’economia che il sogno di Maastricht è stato tradito. Il Trattato implicava la concezione dello «Stato minimo», l’abbandono dell’economia mista, la ricomposizione della spesa pubblica nella direzione di maggiori investimenti, il restringimento delle aree di privilegio, maggiore trasparenza nella macchina amministrativa, la costruzione di una società in cui si amplia la libertà degli individui. Lo Stato avrebbe dovuto astenersi dal modificare incessantemente le leggi per ubbidire a interessi particolaristici e abbandonare le aree che aveva impropriamente occupato per tornare a occuparsi esclusivamente e meglio di quelle che gli erano e gli sono proprie: sicurezza, difesa, istruzione, sanità, giustizia. Tutto questo non è avvenuto.
Oggi, dopo una crisi durissima e sopportata con una pazienza ammirevole che sconfina nella rassegnazione, occorre indicare agli italiani alcune priorità chiare e mostrare di poter offrire qualche risultato. In altri termini, occorre fornire una visione per l’Italia. Ai problemi aperti e sopra richiamati, si aggiungono:
1 l’esigenza di affrontare la discussione sulla riscrittura delle regole di bilancio Ue sospese fino a dicembre 2022 recuperando lo spirito di Maastricht;
2 l’urgenza di predisporre una legge elettorale saggia e conforme alla società italiana;
3 l’obbligo di ripristinare la libertà perduta per contrastare il Covid-19, indicandone tempi e modi.
Mario Draghi ha la responsabilità precipua di delineare la visione di Paese che intende perseguire fino alla scadenza del proprio mandato, pronunciandosi sui principali nodi che è chiamato a sciogliere e dissipando l’incertezza in cui siamo avvolti. La sua squadra di governo e il Parlamento devono concorrere a indicare una rotta, che ancora appare erratica.
È giunto il momento di fare un salto indietro di 30 anni e di riprendere il discorso laddove era stato lasciato. A deputati, senatori e ministri nello scorcio di tempo che ci separa dalle prossime elezioni incombe il dovere di dimostrare che questa legislatura ha la capacità di predisporre le condizioni affinché quella che verrà possa condurre l’Italia alla stessa posizione di dignità che essa conquistò negli anni Cinquanta, sollevandosi dalle rovine di una guerra vera, devastante e assai peggiore di questi due anni di pandemia.
Altrimenti i prossimi mesi saranno vani, animati solo dall’insopportabile retorica di chi occupa il Palazzo e dalla noiosa cantilena dei protagonisti dei talk show.
Il turismo costituisce se non la colonna vertebrale dell'economia italiana, un pilastro fondamentale per il benessere del Paese: rappresenta il 14,9% della nostra forza occupazionale e il 13,2% del Pil. La ripresa post-Covid non può, dunque, che passare dal rilancio di questo settore. Dopo anni di crescita, la domanda turistica si è invertita a causa dell'emergenza sanitaria: nei primi tre trimestri del 2020 si è verificata una riduzione del 68,6% delle presenze di turisti stranieri in Italia, con una contrazione del fatturato superiore al 60%.
L'effetto drammatico che la pandemia ha avuto sul settore ci impone di delineare una chiara strategia per un suo rilancio quantitativo e qualitativo, priva degli errori commessi nel passato: il 2021 può essere considerato l'anno zero del turismo, in cui tutti i Paesi tornano a essere allineati sui blocchi di partenza per attirare quei flussi di visitatori in grado di recare il beneficio maggiore alla propria economia. L'azione per la ripresa, coordinata dal governo, non deve limitarsi a garantire la sopravvivenza degli operatori duramente colpiti dalla crisi, ma avere l'ambizione di raggiungere obiettivi che i precedenti esecutivi non hanno voluto porre tra le proprie priorità:
1 in prospettiva di una riconquistata normalità, risolvere il problema dell'eccessiva concentrazione di turisti soltanto in alcuni luoghi e in alcuni periodi dell'anno (overtourism);
2 favorire la diffusione dei benefici della ripartenza sull'intero territorio nazionale;
3 innalzare la qualità media dei turisti, attirando in Italia i segmenti più pregiati del mercato - che naturalmente sono oggetto dell'attenzione degli altri paesi a vocazione turistica, sui quali quindi c'è una forte concorrenza - e scoraggiando i segmenti meno interessanti per i nostri operatori. Alcune fasce di visitatori, infatti, costituiscono un costo netto per le aree verso cui si dirigono, poiché spendono pochissimo in loco. E, viceversa, consumano beni e servizi pubblici quali la sanità, i trasporti, la sicurezza, producono rifiuti e pongono una forte pressione sulla sostenibilità stessa del nostro patrimonio naturale e artistico.
Citando la metafora utilizzata dal ministro del Turismo Massimo Garavaglia, si può paragonare lo stato del turismo oggi a quello di un Gran Premio di Formula Uno in cui sia entrata la safety-car a seguito di un incidente: tutti i paesi in competizione tra loro per attirare visitatori in grado di favorire lo sviluppo dei propri territori si trovano sulla stessa linea. Pertanto vincerà la gara chi avrà l'accelerazione migliore, che in questo caso significa adottare la più efficace strategia che sappia coniugare quantità e qualità dei visitatori.
Palazzo Chigi ha dimostrato di aver capito l'importanza della sfida. Annunciando che l'Italia è nuovamente pronta a dare il benvenuto al mondo - in anticipo rispetto agli altri Stati europei - il presidente del Consiglio Draghi e il ministro Garavaglia hanno mostrato di voler adottare una politica che consentirà agli operatori del turismo di beneficiare di un vantaggio competitivo rispetto agli altri paesi del continente e del Mediterraneo. La comunicazione diviene fondamentale. In aggiunta ai canali tradizionali, la digitalizzazione rappresenta uno strumento cruciale per ottenere i risultati attesi. Attraverso la digitalizzazione è possibile favorire una crescita del fatturato generato dal turismo più che proporzionale rispetto all'incremento del numero di turisti. Questo significa lavorare sulla qualità, oltre che sulla quantità dei turisti.
Occorre altresì considerare che l'attività di rilancio del settore è strettamente legata alla salvaguardia del patrimonio culturale, artistico e paesaggistico italiano e si interseca quindi con gli sforzi per la tutela dell'ambiente, così fortemente sollecitati dalle linee guida europee per il Pnrr.
In questo senso, di concerto con gli altri dicasteri competenti, il ministero del Turismo è chiamato a giocare un ruolo attivo nella definizione delle aree d'intervento per la messa in sicurezza del nostro territorio. Evidentemente la precondizione per l'attuazione di una intelligente strategia di rilancio del settore è la progressiva e definitiva eliminazione delle restrizioni che da oltre un anno imbrigliano l'Italia. Pertanto, in una fase storica così delicata, è indispensabile ricevere indicazioni chiare da parte del governo sulla irreversibilità delle aperture.
Massimo Garavaglia sta dimostrando di saper compiere scelte coraggiose: il pass verde nazionale - giunto in anticipo rispetto a quello europeo - permetterà una riapertura in totale sicurezza. Si tratta di una mossa audace, che potrebbe consentire all'Italia di scattare più velocemente dei propri concorrenti e assumere la posizione di testa nel gruppo degli altri paesi europei e mediterranei che costituiscono i nostri tradizionali contendenti per l'acquisizione di quei segmenti turistici pregiati ai quali, oggi più che mai, abbiamo il dovere di puntare. Ci aspettiamo che i membri del governo, che sono espressione delle forze meno inclini a ripristinare un ordine improntato alla libertà e alla responsabilità degli italiani, non frappongano ostacoli a questa paziente opera di rilancio.




