2023-08-13
Il governo prova a cancellare pure il reddito di immigrazione
Il Viminale impone di far uscire dai centri d’accoglienza chi abbia completato l’iter per essere riconosciuto come profugo. Levata di scudi delle associazioni, che intanto disertano i bandi perché il business non rende.Come se non bastassero le polemiche, già sufficientemente sterili, sul salario minimo, ecco che s’avanza una nuova falange di sostenitori del «reddito di immigrazione». È composta da quanti - fra partiti, associazioni e amministrazioni locali - vorrebbero che lo Stato riprendesse a erogare fior di miliardi per mantenere gli stranieri giunti per lo più via mare.Costoro lamentano prima di tutto il taglio delle erogazioni quotidiane pro capite, i famigerati 35 euro al giorno (in realtà molti di più) che già ai tempi di Matteo Salvini al Viminale erano stati ridotti, salvo poi essere di nuovo aumentati da Luciana Lamorgese. Dal decreto Cutro in poi, la cifra si aggira sui 28-29 euro al dì per migrante, e ovviamente non permette lauti margini di guadagno. Ma c'è di più. Da un paio di giorni i Profeti dell’Accoglienza sono in subbuglio per via di una circolare del ministero dell’Interno che invita a far uscire dal sistema dell’accoglienza le persone che hanno già ottenuto lo status di profugo.Secondo il Tavolo asilo (una sorta di cartello di associazioni cattoliche e non che si occupano di accoglienza) «migliaia di titolari di protezione internazionale o speciale stanno per essere espulsi dai Cas, i Centri di accoglienza straordinaria, e mandati per strada: in questa direzione si stanno muovendo le prefetture». Protesta anche l’immancabile Pierfrancesco Majorino del Pd, che prevede un aumento dei senza dimora, e si accodano la Cgil e Matteo Biffoni, sindaco di Prato delegato dell’Anci per le politiche migratorie. Un gruppo di Ong ha persino rivolto appelli a Sergio Mattarella. Che cosa prevede questa terribile circolare? Semplicemente, invita i prefetti a non sovraccaricare il sistema di accoglienza, «tanto in un’ottica di corretto utilizzo delle risorse pubbliche, quanto al fine di assicurare il turnover nelle strutture di accoglienza e garantire la disponibilità di soluzioni alloggiative in favore degli aventi diritto». Ciò che ha fatto infuriare progressisti e associazioni è la frase finale: «Con particolare riferimento ai soggetti che abbiano ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale, ma che siano ancora ospitati nelle strutture, si evidenzia la necessità che venga disposta la cessazione delle misure di accoglienza, anche nelle more della consegna del conseguente permesso di soggiorno». Dove sta il dramma? Da nessuna parte, ovviamente. Chi ha ottenuto il riconoscimento della protezione può uscire dai centri e non c’è ragione perché continui a essere mantenuto dallo Stato. Lo ha spiegato bene, a Radio 1, il commissario all’immigrazione, Valerio Valenti. Per prima cosa Valenti - che è un tecnico, non un politico - ha chiarito che circolari del genere «sono sempre state fatte e rinnovate nel tempo» (quindi anche con governi di sinistra). Poi ha specificato ulteriormente: «Ci sono persone che hanno ottenuto un riconoscimento dello status, dunque sono già state accolte o in via amministrativa o giudiziaria e solo per alcune lentezze burocratiche - ad esempio il rilascio del permesso di soggiorno dalla questura - continuano a permanere all’interno delle strutture di accoglienza in attesa di avere appunto il permesso, che è lo strumento con cui spesso vanno all'estero». Per quale motivo costoro - che di fatto sono già stati accolti e hanno completato l’iter per la protezione - dovrebbero continuare a rimanere nei centri di accoglienza destinati a chi è appena sbarcato?E qui sorge un altro e ancor più pressante problema. Perché è necessario liberare posti nei centri per ospitare i nuovi arrivati? Da un lato perché il numero degli ingressi è cresciuto, e va bene. Ma dall’altro perché sul territorio risulta sempre più difficile trovare luoghi in cui far stabilire gli stranieri. Motivo? Alcune tra le principali organizzazioni che si sono sempre occupate della gestione dei migranti si stanno tirando indietro, alcune mandano deserti i bandi delle prefetture. La ragione è quella che accennavamo sopra: poiché ci sono meno soldi, la gestione dell’accoglienza non è più così conveniente. Dice ad esempio Ignazio Schiunto, vicesegretario della Croce rossa a Lampedusa, parlando con La Stampa: «Con 28 euro a migrante il servizio non è sostenibile». Secondo lui sarebbero «accettabili» altre cifre, attorno ai 35-50 euro, poiché «i migranti non sono un peso, sono una progettualità che va messa in campo» (e cosa significhi questa frase solo lui lo sa). Analoghe posizioni hanno espresso a Repubblica Caritas Ambrosiana («Stiamo rifiutando da mesi di accogliere anche un solo migrante in più dei già tantissimi che accogliamo nelle nostre strutture», dicono i responsabili) e Fondazione Progetto Arca di Milano. Nulla di nuovo: già un mese fa Caritas e Arci avevano protestato per le condizioni «insostenibili dal punto di vista delle prestazioni offerte e della rendicontazione economica», ovvero per gli stanziamenti troppo bassi. In buona sostanza, questo è il quadro. Da una parte le associazioni rifiutano nuovi migranti perché dallo Stato non arrivano abbastanza soldi. Dall’altra, lo stesso mondo dell’accoglienza si infuria perché il Viminale chiede di far uscire dai centri coloro che hanno già completato l’iter della protezione. Che dovrebbe fare l’Italia secondo queste anime pie? Innanzitutto, recuperare chiunque si metta in mare (come propone Elly Schlein tramite la «Mare Nostrum europea»). Poi sborsare molti più denari per ogni straniero a beneficio dei professionisti dell’immigrazione. Infine, consentire ai migranti di restare nel sistema d’accoglienza molto più a lungo, sempre a carico del contribuente. Sintetizzando un po’, i fanatici delle frontiere aperte vogliono il reddito di immigrazione. Anche se, come sempre, non sarebbero certo i profughi a trarne vantaggio.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)