
Mentre Matteo Salvini conferma che quota 100 non si tocca e Luigi Di Maio annuncia un decreto per il reddito di cittadinanza, l'esecutivo lavora alla riforma degli assegni assistenziali che valgono 39 miliardi. Per averli, oltre alla denuncia dei redditi, ci vorrà l'Isee.Pensioni e reddito di cittadinanza restano insieme la cura e la malattia di questa manovra in fase di approvazione. La cura, perché le due misure consentono alle componenti del governo, quella leghista e quella grillina, di rimanere incollate e farsi da spalla. La malattia, perché le risorse sono limitate (soprattutto adesso che il rapporto deficit/Pil scende e rasenta il 2%) e non bastano per mantenere tutte le promesse. Così ieri mattina il leader del Carroccio, Matteo Salvini, ha ribadito che «quota 100 non si tocca», mentre il collega grillino, Luigi Di Maio, ha promesso il taglio delle pensioni d'oro, ha confermato un taglio della perequazione, cioè dell'indicizzazione degli assegni rispetto all'inflazione. Al tempo stesso, il numero uno del movimento ha annunciato un decreto per Capodanno con il quale far partire il provvedimento di riforma della legge Fornero e il reddito di cittadinanza. Cifre? I budget sono tutti in discussione, mentre la voce dei singoli assegni secondo i 5 stelle sarebbe confermata a 780 euro mensili. Il fondatore di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla, ha fatto due conti: solo per portare a 780 euro il milione di persone che percepisce la pensione d'invalidità, ci vogliono 6 miliardi. Per portare a 780 un altro milione che percepisce o la pensione sociale o l'assegno sociale, ne servirebbero altri 3,5. Probabilmente per questo motivo non si sta pubblicizzando un intervento al vaglio del governo che ha a dir poco del rivoluzionario.L'esecutivo sta infatti valutando la riorganizzazione dell'intera componente delle pensioni sociali che fanno capo all'Inps. Si tratta di una spesa annua che si aggira intorno ai 39 miliardi. Nel calderone c'è la voce delle prestazioni sociali in denaro, assegni, sussidi e altre prestazioni di natura assistenziale. Dei circa 370 miliardi di erogazioni dell'ente, il costo assistenziale complessivo si avvicina ai 90 miliardi, perché ai 39 miliardi di assegni sociali si aggiungono anche quelli di invalidità, di disoccupazione e per i superstiti. L'idea del governo è concentrarsi sulla prima tranche da 39 miliardi e rivoltarla come un calzino nella logica di elargizione. L'idea è di non basarsi più esclusivamente sul reddito individuale o familiare, ma inserire l'Isee (indicatore della situazione economica equivalente) come parametro. In pratica, verrebbe preso in considerazione l'intero patrimonio del singolo e della famiglia, non solo il reddito.Di conseguenza, molti degli attuali beneficiari si troverebbero destinatari di cifre inferiori. Parliamo di circa l'8% delle somme erogate dall'Inps suddivise per 3 milioni (su un totale di 8 milioni asssitenziali) di assegni che viaggiano intorno ai 400 euro. L'intervento consentirà a tutti gli effetti un sostanzioso risparmio, e avvierà un processo storico di separazione tra la componente previdenziale dell'Inps e quella assistenziale. Al tempo stesso, limando le pensioni sociali, i risparmi potranno essere destinati al rinnovo dei centri per l'impiego e allo sviluppo del reddito di cittadinanza sul modello nordico. In pratica meno, elemosina e più attenzione a chi cerca di entrare nel mondo del lavoro. Bisogna vedere se Luigi Di Maio dovesse decidere di fare muro contro l'iniziativa. Dovrebbe dal canto suo spiegare al proprio elettorato che, mentre promette pensioni di cittadinanza a 780 euro, il governo lima e rivede gli assegni sociali. I leghisti al contrario potrebbero utilizzare tali risparmi per gestire quota 100 senza penalità e senza stravolgere gli scivoli previsti dai due governi precedenti. «Nella bozza a cui stiamo lavorando», spiega il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, «prevediamo di mantenere l'Ape sociale e pure opzione donna, mentre per quanto riguarda le tempistiche di accesso a quota 100 da parte dei dipendenti pubblici con sei mesi di ritardo rispetto ai privati». Ieri è spuntato anche un emendamento leghista per consentire alle mamme con 3 figlie di ritirarsi prima dal mondo del lavoro. Al momento però dipendenti privati che raggiungono i 38 anni di contributi e i 62 anni di età entro fine anno potranno lasciare il lavoro dal prossimo aprile, ma quelli pubblici solo da ottobre. Per tutti scatterà comunque il divieto di cumulo tra pensioni e redditi sopra i 5.000 euro annui. E comunque l'intero sistema varrà in via sperimentale per tre anni (dal 2019 al 2021) e poi si vedrà, con l'aggiunta di clausole di salvaguardia che potranno comportare un allungamento delle vie di uscita se le domande dovessero fare impennare la spesa.I tecnici della Ragioneria dello Stato stimano una propensione all'utilizzo della misura dell'85% degli aventi diritto, ma tecnici vicini al dossier assicurano che il «tiraggio» sarà più basso, perché una parte consistente della platea è formata da dipendenti pubblici (circa 170.000) che avranno probabilmente un interesse più basso dei privati all'anticipo della pensione. Non è invece nella bozza di riforma della previdenza il Fondo volo. Era stato proposto dai 5 stelle per finanziare la pensione anticipata di hostess e piloti (soprattutto Alitalia), e avrebbe previsto sia un prelievo di tre euro sui biglietti, sia un contributo statale ritenuto dalla Ragioneria dello Stato insostenibile. Nulla da fare, dunque. E per fortuna: sarebbe stata una follia finanziare le pensioni con il traffico aereo. Così come continua a essere anacronistico aggravare il bilancio dell'Inps con assegni sganciati da contributi lavorativi e poi chiedere a chi si è rimboccato le maniche ulteriori sacrifici.
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