2024-12-24
Governo-giudici: secondo round sull’Albania
Maxi vertice a Palazzo Chigi sul centro per i rimpatri balcanico: «Andiamo avanti, soluzione innovativa che nell’Ue apprezzano». Giorgia Meloni confida nei paletti messi ai magistrati dalla Cassazione e nel trasferimento di competenze alle Corti d’Appello da gennaio.Il generale Luciano Portolano in Libia per rafforzare la cooperazione, in vista della nuova sfida russa.Lo speciale contiene due articoli.L’Albania è in cima alla lista dei buoni propositi per il 2025. Nella tarda mattinata di ieri, a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni ha presieduto una riunione sull’attuazione del protocollo con Tirana per i migranti. Hanno partecipato Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri; Matteo Piantedosi, titolare del Viminale; Guido Crosetto, ministro della Difesa; Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei; e il sottosegretario con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano. Il peso del parterre illustra il valore strategico attribuito dal governo all’hub di Shengjin e al Centro per i rimpatri di Gjadër. Struttura che le mancate convalide dei trattenimenti da parte dei giudici hanno svuotato, picconando un progetto sul quale la leader di Fdi ha investito soldi e reputazione.«Il vertice», spiegava una nota della presidenza del Consiglio, «ha ribadito la ferma intenzione di continuare a lavorare, insieme ai partner Ue e in linea con le Conclusioni del Consiglio europeo dello scorso 19 dicembre, sulle cosiddette “soluzioni innovative” al fenomeno migratorio». Una strada sulla quale la Meloni ha registrato, a Bruxelles, un «forte consenso», emerso in occasione dell’incontro che si è svolto, a margine del summit Ue della settimana scorsa, «insieme ai primi ministri danese e olandese con gli Stati membri più interessati al tema». Tajani, che ieri è volato in Kosovo dai militari della missione Kfor, ha ribadito «il nostro impegno a seguire il percorso che anche l’Unione europea ha riconosciuto. Andremo avanti», ha aggiunto il capo della diplomazia italiana, «per contrastare i trafficanti di esseri umani, per il rispetto delle norme comunitarie. Le soluzioni innovative sono state apprezzate e vengono apprezzate anche da altri Paesi. Abbiamo avuto una sentenza della Corte che conferma la bontà delle scelte del governo».Il ministro si riferiva al verdetto della Cassazione di giovedì scorso, che l’esecutivo ha accolto con entusiasmo. Gli ermellini, in effetti, hanno confermato che è il «circuito democratico della rappresentanza popolare», ossia la politica, a dover individuare i Paesi sicuri, nei quali è lecito rimandare gli immigrati con la procedura accelerata di rimpatrio. È un punto cruciale, perché il protocollo siglato con Edi Rama prevede che, al di là dell’Adriatico, siano condotti gli stranieri in età adulta, in buona salute, non vulnerabili, provenienti da uno Stato incluso nella lista governativa. Soltanto a costoro è possibile applicare l’iter veloce per il respingimento. La Suprema Corte ha precisato che i magistrati valuteranno caso per caso la situazione dei singoli ricorrenti, però ha chiarito - come hanno sottolineato dal Viminale - che il trattenimento nei Cpr si può negare solamente in presenza di una «puntuale istruttoria», qualora sussista un «manifesto contrasto» tra l’elenco dei Paesi sicuri e i «principi del diritto europeo e nazionale». È lecito disapplicare la normativa italiana solo se il richiedente asilo «abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza» del suo rimpatrio «nelle circostanze specifiche in cui egli si trova». Per intenderci: un egiziano chiede protezione in quanto omosessuale? Dovrà provare che, all’ombra delle piramidi, le minoranze Lbgt vengono perseguitate e che egli stesso rischia di essere preso di mira.La Cassazione ha così fissato dei paletti all’arbitrio delle toghe, ringalluzzite dalla sentenza della Corte Ue di ottobre, la quale assegnava loro il compito di valutare la compatibilità della lista dei Paesi sicuri con il diritto europeo. I criteri indicati dagli ermellini dovrebbero aver messo al bando le sentenze-fotocopia, con cui sono stati fermati i trasbordi verso l’Albania. Il verdetto riguardava il precedente decreto ministeriale, snobbato dai giudici, in quanto fonte del diritto subordinata; a maggior ragione, varrà per il decreto legge, con cui il governo ha rafforzato la disciplina dei Paesi sicuri. Rimane sullo sfondo la prossima pronuncia delle toghe del Lussemburgo, attesa per metà 2025. Comunque, l’Ue dovrebbe giocare d’anticipo, aggiornando la sua «dottrina» sui Paesi sicuri a marzo. Entro la prima decade di gennaio, invece, sarà completato il passaggio di competenze sui trattenimenti dalle sezioni immigrazione dei tribunali alle Corti d’Appello. È l’altro asso nella manica del governo: i giudici di seconda istanza non si sono occupati in maniera esclusiva di migranti e, auspicabilmente, non hanno trasformato quella per l’accoglienza in una battaglia ideologica personale; inoltre, nei gradi di giudizio superiore, in genere lavorano i magistrati più competenti ed esperti.Le rinverdite speranze della Meloni hanno allarmato le opposizioni: se riuscisse l’operazione Albania, la sinistra finirebbe al tappeto. I 5 stelle, dunque, si sono scagliati contro una «propaganda che non risolve nulla»; Angelo Bonelli, di Avs, contestando l’interpretazione della sentenza della Cassazione, ha parlato di «analfabetismo giuridico» del premier; secondo Matteo Renzi, «è più facile credere a Babbo Natale che all’utilità dei centri albanesi». Da presidente del Consiglio, lui spalancò i porti in cambio del permesso dell’Europa a distribuire il bonus da 80 euro. Senza essere Santa Claus, ci rifilò un pacco.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/governo-giudici-secondo-round-albania-2670665454.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="putin-sta-spostando-in-cirenaica-soldati-e-missili-espulsi-dalla-siria" data-post-id="2670665454" data-published-at="1735027373" data-use-pagination="False"> Putin sta spostando in Cirenaica soldati e missili espulsi dalla Siria L’assistenza al governo di accordo nazionale della Libia, nazione cruciale per l’immigrazione, la missione Miasit e la vicinanza ai nostri militari, per ringraziarli del loro impegno, che li tiene lontani da casa nel periodo delle festività. Sono gli scopi della visita in Libia del nostro capo di Stato maggiore della Difesa, generale Luciano Portolano, avvenuta ieri 23 dicembre. Accolto a Tripoli dall’ambasciatore italiano, Gianluca Alberini, e dal comandante Miasit, generale Luigi Tufano, Portolano ha incontrato l’omologo generale Mohamed Ali Elhaddad, con il quale ha discusso di come incrementare le capacità delle istituzioni locali e avviare la cooperazione per il supporto sanitario e umanitario, l’assistenza alle forze di sicurezza per la stabilità del Paese e di come continuare l’attività di addestramento del personale locale. La caduta del regime siriano di Bashar al-Assad sta però cambiando la situazione: da due settimane, navi e aeroplani militari russi stanno smobilitando dalle basi siriane di Tartus e Hmeimin, facendo rotta su porti come Tobruk e basi come al-Khadim (Bengasi), dove comanda il generale Khalifa Haftar. Un fatto che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha così commentato: «Il ritiro delle forze russe dalla Siria potrebbe diventare un problema per l’Italia poiché il trasferimento avviene verso la Libia e questo può costituire una minaccia alla sicurezza. Le navi e i sottomarini russi nel Mediterraneo sono sempre una preoccupazione, ma ancora di più se sono a due passi da noi». L’ex presidente siriano Assad aveva firmato con Mosca un accordo nel 2017 per l’uso delle basi sul suo territorio, patto che pare congelato dal nuovo regime. Così Vladimir Putin, che da anni corteggia Haftar, starebbe trasferendo in territorio libico 1.500 uomini, ma anche sistemi missilistici S-300 e S-400. Vero è che la Libia è sempre stata una tappa intermedia dei voli militari tra la Russia e il resto dell’Africa, dove Mosca sostenere i golpisti della regione subsahariana, ma se Haftar accogliesse nuovi asset russi darebbe un pessimo segnale alla Nato, soprattutto dopo che, negli ultimi mesi, ha incontrato il funzionario statunitense Jeremy Berndt per discutere di riunificazione della Libia con la regione occidentale gestita dal governo di accordo nazionale, riconosciuto dall’Onu e presieduto dal primo ministro Abdul Hamid Dabaiba. Al momento non pare esserci alcun accordo formale tra Haftar e Putin a suggellare queste operazioni, mentre ne esiste uno - simile a Miasit - che prevede la presenza di istruttori militari russi in Cirenaica per addestrare l’esercito nazionale libico. La presenza russa in Libia non piace alla Turchia: il presidente Recep Erdogan ha sempre voluto essere protagonista del dopo Gheddafi armando le truppe dell’Ovest durante la guerra civile, ma Dabaiba respinge qualsiasi tentativo di trasformare il suo Paese in un centro per conflitti tra grandi potenze. Ha infatti convocato l’ambasciatore russo ribadendo: «Non daremo alcun permesso per trasferire qui asset militari poiché sarebbe un motivo per riaccendere la crisi interna». Una delle preoccupazioni di Daibaba è seguire la linea dettata da Usa e Regno Unito per combattere la corruzione. Gli Stati Uniti hanno sospeso le transazioni in dollari della Federal Reserve Bank di New York verso la Banca centrale libica fino a quando non sarà nominato un revisore indipendente specializzato nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. Ci sono sospetti di contrabbando di petrolio e di legami finanziari con Mosca.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)