
L'ambasciatore americano contro l'accordo con la Cina: «Rammaricati per la firma dell'Italia. Non possiamo condividere informazioni con chi usa tecnologie di Pechino». Ora rischiamo di perdere l'ombrello di Washington che ci ha protetti da Bruxelles.Non si può dire che sia stato un evento del tutto inatteso, vista la sequenza di segnali che erano arrivati nell'ultimo mese, ma - nonostante tutto - è stata potentissima la dichiarazione lasciata cadere ieri, a un convegno sui 70 anni della Nato, dall'ambasciatore americano in Italia Lewis M. Eisenberg: «C'è rammarico perché l'Italia è il primo Paese G7 a firmare l'accordo con la Cina sulla Via della seta. Gli Usa non possono condividere informazioni con Paesi che adottano tecnologie cinesi, ci saranno implicazioni a lungo termine, siamo seriamente preoccupati per le conseguenze sull'interoperabilità Nato. Tutti vogliamo fare affari con la Cina, ma ci sono minacce informatiche».stillicidioUna botta tremenda: e sorprende che molti attori politici e commentatori italiani sembrino più interessati a retroscena domestici, scaramucce, battibecchi, che non a un problema geopolitico enorme a cui il nostro Paese si trova davanti, con conseguenze potenzialmente assai gravi. Se la prima potenza al mondo ti dice che si prepara a tagliarti fuori dal circuito delle informazioni sensibili, che altro deve succedere, quale altra spia rossa deve accendersi sul cruscotto?Ricostruiamo lo stillicidio di avvisi degli ultimi 30 giorni, che La Verità aveva puntualmente evidenziato. E attenzione a una figura chiave, quella di Garrett Marquis, portavoce del National security council e collaboratore di John Bolton (quest'ultimo è forse oggi l'uomo in assoluto più vicino a Donald Trump). Con Bolton, Luigi Di Maio ha fatto pochi giorni fa una foto a Washington: c'è da augurarsi che, oltre a postare lo scatto sui social, il vicepremier italiano lo abbia ascoltato con attenzione. Ma torniamo a Marquis. Il 5 marzo fa filtrare sul Financial Times l'irritazione americana per il possibile accordo Italia-Cina. Il 9 marzo twitta: «L'Italia è un'importante economia globale e una grande destinazione per gli investimenti. Non c'è bisogno che il governo italiano dia legittimità al progetto di vanità cinese per le infrastrutture».Lo stesso giorno, il 9, fatto più unico che raro, arriva il tweet del National security council: «L'Italia è una grande economia globale e un'importante destinazione per gli investimenti. Supportare la Via della seta dà legittimazione all'approccio predatorio cinese e non porterà benefici al popolo italiano». Il 12 marzo scende in campo un altro uomo forte di Washington, il segretario di Stato Mike Pompeo, che definisce l'accordo con Pechino «opaco» e aggiunge: «Gli Stati Uniti esortano l'Italia a vagliare con attenzione gli accordi sugli scambi, sull'investimento e sugli aiuti commerciali per essere certi che siano economicamente sostenibili, operabili in base ai principi dell'apertura e dell'equità del libero mercato, nel rispetto della sovranità e delle leggi».Il 13 torna in scena Marquis, che consegna al Corriere della Sera un messaggio esplicito, e cioè il possibile stop alla trasmissione di materiali sensibili, ad esempio attrezzature militari, nei porti di Genova e Trieste: «L'Italia è un pilastro della Nato. Se il vostro Paese firma il memorandum, non ci saranno conseguenze sull'alleanza atlantica. Tuttavia siamo seriamente preoccupati per le conseguenze dell'operatività dell'alleanza, specialmente con riguardo alle comunicazioni e alle infrastrutture fondamentali per sostenere le nostre iniziative miliari comuni».Pochi giorni fa, è stato di nuovo Mike Pompeo a dirsi «deluso»: «È deludente ogni volta che un Paese inizia a impegnarsi in comportamenti commerciali e interazioni con la Cina che non sono chiare». E ancora: «Ci rattrista perché crediamo che alla fine coloro che perdono siano le persone di quei Paesi. Al momento può sembrare un fatto positivo, si pensa di avere un prodotto a basso costo o di costruire un ponte o una strada low cost, ma alla fine ci sarà un costo politico che supererà di gran lunga il valore economico di ciò che è stato fornito». Davanti a tutto questo, serve a poco replicare - come si è fatto da Roma -che l'intesa ha solo valenza commerciale: agli Usa non è piaciuta l'immagine di Xi Jinping accolto con tutti gli onori, e meno che mai l'innegabile valenza geopolitica dell'accordo. Uno schiaffo a Trump in mondovisione. Che invece, in più occasioni, si era speso per l'Italia: ricevendo Giuseppe Conte a Washington a fine luglio; tendendo la mano a Roma nelle settimane dello scontro più duro con Bruxelles sulla manovra; limitando - fino a qualche settimana fa - le ambizioni francesi in Libia. E anche creando un'atmosfera di amicizia che aveva portato fondi Usa e banche come Jp Morgan ad aumentare la loro esposizione in Btp, e pure alcune agenzie di rating a una certa clemenza verso l'Italia. Ora il rischio è che questo atteggiamento cambi. E la stessa figura di Giovanni Tria è sotto osservazione: di lui si sa che capisce il cinese, che è apertamente sinofilo, e che ancora negli ultimi tempi è stato protagonista di ripetute missioni in Cina.IsraeleDa ultimo - ma non certo ultimo per importanza - va segnalato che Roma, oltre a deludere Washington, negli ultimi giorni ha creato forte malumore anche a Gerusalemme. Il consiglio per i diritti umani dell'Onu ha infatti approvato una risoluzione di condanna contro Israele per «l'apparente uso di forza eccessiva contro i manifestanti a Gaza». E l'Italia? Si è solo astenuta, suscitando un tweet dell'ambasciatore di Israele Ofer Sachs: «Non possiamo ignorare la nostra amarezza rispetto all'astensione italiana». La sensazione è che occorra una riflessione strategica da parte del governo (e anche da parte del Quirinale, frettolosamente lodato dai media mainstream per i presunti «paletti» fissati al Mou con la Cina, in realtà avallato da Sergio Mattarella): l'unica cosa che non si può fare è predicare atlantismo nei giorni pari, e fare altro nei giorni dispari.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.