2024-05-30
Gli Usa tentennano sui raid contro la Russia
Dopo Parigi, eliminano i limiti all’uso dei missili Polonia, Finlandia e Canada. Washington cauta, Berlino sceglie la riservatezza. Giorgia Meloni: «No a escalation, rafforziamo le difese aeree». Il rischio è che Kiev colpisca obiettivi sensibili innescando ritorsioni nucleari.È già successo, in questa guerra, di assistere a improvvise accelerazioni degli eventi. Sta accadendo di nuovo con la disputa sui bombardamenti in territorio russo. Ieri, altre nazioni sono corse dietro a Emmanuel Macron, che vuole consentire a Kiev di usare i missili francesi contro le postazioni nemiche oltreconfine.In mattinata si era espressa la Polonia, il cui premier, Donald Tusk, ha anticipato che Varsavia ripristinerà una zona cuscinetto alla frontiera con la Bielorussia. Più tardi, ha parlato il ministro degli Esteri di Helsinki, Elina Valtonen: «La Finlandia», ha dichiarato, «non ha posto alcuna restrizione speciale» sull’impiego dei mezzi bellici, se non che esso sia conforme al diritto internazionale. L’appiglio per i raid in Russia lo fornisce l’articolo 51 della Carta Onu, che autorizza tali azioni se necessarie «per l’autodifesa». Anche il ministro degli Esteri canadese, Melanie Jolie, ha escluso vincoli, giacché la Russia ha dimostrato di non avere «linee rosse». Allarmano, tuttavia, quelle sulla bomba atomica. Pochi giorni fa, i droni ucraini hanno distrutto un sistema radar di allerta precoce nell’area sudoccidentale della Federazione. Si trattava di «un elemento chiave dell’ombrello nucleare», capace di rilevare i missili balistici lanciati sulla Russia. La dottrina militare di Mosca considera simili incursioni sufficienti a giustificare una ritorsione con armi atomiche. E se, anziché i droni di Kiev, a colpire un obiettivo sensibile fosse un missile di un Paese Nato? Dovremmo essere noi occidentali a indicare i bersagli legittimi? D’accordo, ma a quel punto farebbe differenza chi ha premuto il grilletto? Non finiremmo coinvolti direttamente nei combattimenti? In effetti, nella Nato alcuni tirano il freno. Giorgia Meloni, ieri, ha riconosciuto la «recrudescenza da parte della Russia» nei confronti dei civili, ma ha spiegato che «è meglio rafforzare la capacità di dotare l’Ucraina di sistemi efficaci di difesa antiaerea, un lavoro fatto anche dall’Italia con i Samp-T, senza rischiare un’escalation fuori controllo». La Germania si è trincerata dietro il segreto: «Noi abbiamo fatto degli accordi sull’uso delle armi consegnate e questi valgono e sono confidenziali», ha detto Steffen Hebestreit, portavoce di Olaf Scholz. Il ministro della Difesa, Boris Pistorius, ha chiesto che della faccenda si eviti di discutere in pubblico. Ma se voci dal fronte avevano svelato che persino la Gran Bretagna, tra le prime a comunicare l’abolizione di qualunque limite, non ha ancora prodotto alcun permesso ufficiale, sono proprio gli americani, coloro che hanno mano il destino di Kiev, a mostrarsi titubanti.L’altro ieri sera, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, è stato lapidario: «La nostra politica non cambia: non vogliamo attacchi all’interno del territorio russo da parte dell’Ucraina». Anche Matthew Miller, portavoce del dipartimento di Stato, ha ribadito che «la nostra politica è quella di non incoraggiare né consentire attacchi al di fuori dei confini dell’Ucraina». Questa dovrebbe essere la posizione del consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan. Il segretario di Stato, Tony Blinken, ha garantito: «Non abbiamo incoraggiato o facilitato attacchi al di fuori dell’Ucraina. Ma l’Ucraina deve prendere le proprie decisioni sul modo migliore e più efficace di difendersi». Il presidente, a pochi mesi dal voto, è cauto. E da West Point ha ricordato: non invieremo soldati. Ieri, i media italiani avevano citato con enfasi il Washington Post, secondo il quale l’inquilino della Casa Bianca starebbe valutando di abrogare il veto sui missili. Solo che il presunto scoop era contenuto in un articolo di David Ignatius, identificato come editoriale. Non un fatto, bensì un’opinione, ancorché autorevole. Non un’indiscrezione trapelata dall’amministrazione; semplicemente, il parere dell’autore. A suo avviso, «per contrastare gli avanzamenti russi in Ucraina», Biden starebbe «considerando due nuove e dure contromisure». Una riguarderebbe i raid nel territorio della Federazione; l’altra, sanzioni alla Cina, rea di aver fornito «tecnologia chiave a Mosca». Messa in questi termini, la decisione finale degli Stati Uniti non appare scontata.In più, alla stampa nostrana è sfuggito un altro dettaglio interessante. Ignatius, descrivendo le debolezze degli armamenti consegnati agli ucraini, ha citato gli F-16, che si sarebbero mostrati «vulnerabili […] alle difese aeree». Significa che i caccia bramati da Zelensky sono già a disposizione del suo esercito? Se ne prenda nota: sia perché - se il Washington Post avesse ragione - i jet non avrebbero cambiato le sorti del conflitto; sia perché, nel silenzio dei canali occidentali e addirittura di quelli russi, ne sarebbero stati abbattuti alcuni.Il dibattito sulla prossima fase della guerra prosegue a Praga: lì è in corso la ministeriale Esteri informale dei membri Nato, i quali manifestano «molta preoccupazione» per la situazione sul campo. Gli Stati inclini a «rimuovere le restrizioni» stanno provando a convincere Italia, Usa e Germania. Intanto, la Repubblica Ceca ha segnalato il flop della colletta per acquistare munizioni destinate alla resistenza: solo quattro nazioni su 18 hanno tirato fuori il portafoglio. Tanto per gradire, fonti dell’Alleanza hanno confermato pure che Parigi, entro «una, massimo due settimane», annuncerà la partenza dei suoi istruttori per il fronte. Non sarà un’operazione condotta sotto l’egida Nato, ma presto vi si assoceranno altri Paesi, probabilmente la Lituania. Dal quartier generale di Bruxelles esultano: «Il tabù è stato infranto». Vero. È una buona notizia?
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