2022-07-31
Gli inquirenti zittiscono la sinistra: «Alika non ucciso per razzismo»
Nel riquadro, Alika Ogorchukwu (Ansa)
Le forze dell’ordine fanno luce sul delitto di Civitanova: «Solo una lite per futili motivi”.Non c’entrano le avance, non c’entra la razza. Alika Ogorchukwu, l’ambulante nigeriano di 39 anni, aggredito e ucciso venerdì a Civitanova Marche, non è stato ammazzato per aver importunato la compagna del suo assassino, Filippo Ferlazzo, né per qualche convinzione razzista di quest’ultimo. Sono due dei dettagli resi noti dal dirigente della squadra mobile di Macerata, Matteo Luconi, durante una conferenza stampa tenutasi ieri presso il commissariato di Civitanova Marche. Vengono così a cadere due dei moventi portati alla luce dei riflettori mediatici nelle prime ore: il primo, quello dell’aggressione come «vendetta» per delle molestie subite dalla compagna di Ferlazzo, era emerso nelle cronache immediatamente susseguenti il fatto; la seconda, lo spartito dell’uomo bianco che dà la caccia all’uomo nero, continua a essere suonato nelle redazioni, nei talk, nei social dove si costruiscono le narrazioni dominanti. Eppure gli inquirenti sono stati chiari: si è trattato di un «omicidio commesso per futili motivi. C’è stato questo comportamento insistente da parte della vittima per ottenere l’elemosina dalla coppia, non ci sono state avance. Tutto è iniziato all’altezza della stazione di Civitanova», ha spiegato Luconi. «Dopo aver chiesto l’elemosina, Alika si è allontanato velocemente e l’altro lo ha seguito mentre la ragazza non lo ha seguito e non era presente al fatto. A distanza di circa 200 metri lo ha aggredito frontalmente. Ha colpito dapprima l’uomo dopo avergli preso la stampella, lo ha fatto cadere a terra e l’ha finito colpendolo ripetutamente a mani nude. E dopo averlo tramortito gli ha sottratto il telefono cellulare». Smentita esplicitamente la pista razzista: «Non ci sono elementi che possono far propendere per questo tipo di conclusione. La cosa pare scaturita da una situazione estemporanea dovuta a futili motivi e a una reazione abnorme», ha commentato Fabio Mazza, dirigente del commissariato di Civitanova. Quanto a lui, il trentaduenne Filippo Claudio Giuseppe Ferlazzo, operaio di origine campana, residente a Civitanova Marche da tempo e senza precedenti penali, ha fatto sapere tramite i suoi legali di essere pentito: «Chiedo scusa alla famiglia della vittima». L’uomo è stato arrestato in flagranza di reato per omicidio volontario e rapina. Ieri, intanto, la comunità nigeriana di Civitanova Marche è scesa in piazza nel punto dove si è verificata l’aggressione: un centinaio di persone, tra cui la moglie di Ogorchukwu, Charity Oriachi, ha bloccato un pezzo di strada. Qualcuno ha gridato insulti contro gli italiani, suscitando le proteste di alcuni commercianti. Che la comunità nigeriana se la prenda con gli italiani, in blocco, non stupisce: evidentemente devono aver dato un’occhiata a certi editoriali o ad alcuni tweet, dove la chiave di lettura della vicenda è stata subito pescata nel cesto dei luoghi comuni chic e riconduce il tutto a una colpa collettiva italiana, per l’appunto. Per due ragioni: primo, la pavida reazione dei passanti, che hanno filmato l’aggressione, tutt’al più urlato a Ferlazzo di smetterla, ma senza muovere un dito; secondo, il clima di razzismo diffuso generato dal virus sovranista. Ed ecco qua: dal fatto di cronaca in sé - terribile, tragico, ingiustificabile - si è passati a una tendenza generale, a un fenomeno sociale, a una malattia etica, a una domanda abissale che, come si dice in questi casi, «interroga tutti». Ferlazzo ha colpito, ma i mandanti morali sono altri. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, per esempio, citati espressamente da Corrado Formigli in un tweet in cui si chiedevano polemicamente «commenti indignati» dei due politici (che entrambi hanno espresso, per inciso). Il giornalista pare non accorgersi, tuttavia, di come la sua richiesta sia un’arma a doppio taglio. I chiosatori progressisti hanno espresso commenti indignati, o hanno semplicemente parlato, del brasiliano che a metà luglio, nei pressi della stazione Termini di Roma, ha aggredito la titolare di un negozio per rapinarla, arrivando a staccarle un dito a morsi? E del nigeriano che ai primi del mese ha preso a bastonate una runner di Pompei nel tentativo su stuprarla? E dei due passanti che, il 21 giugno scorso, sono stati aggrediti a Roma, nel quartiere Esquilino, senza alcun apparente motivo, da un altro nigeriano che ha spaccato una bottiglia al suolo tentando di sgozzare l’uomo della coppia? E della ventinovenne di Brescia violentata dall’ennesimo nigeriano nel giardino del Vantiniano, il cimitero monumentale della città, ad aprile? E potremmo continuare. Uno stillicidio quotidiano che magari nelle cronache, asetticamente, ci finisce pure, ma che non va ad alimentare alcuna narrazione, almeno non sui media mainstream. Nessuno che metta in fila gli eventi, nessuno che li riannodi in una tendenza (e sì che le statistiche esistono), nessuno che cerchi responsabilità politiche e colpe morali. Qualcosa emerge a forza grazie alla viralità: l’assalto di Peschiera del Garda, la rissa davanti alla stazione Centrale di Milano, ma viene presto archiviata. Il mondo dei saputi torna subito dopo a vivere mentalmente nella propria bolla, dove l’Italia è un’Alabama in cerca di un nero quotidiano da linciare e dove dai barconi arrivano solo donne e bambini in fuga dalla guerra.
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