2020-09-17
Como, gli inquirenti vogliono fare chiarezza sull’operato della Caritas
Don Roberto Malgesini (Facebook)
Dalle indagini sull'omicidio di don Roberto Malgesini emerge il corposo curriculum criminale del killer. Al vaglio eventuali mancanze nel sistema dell'accoglienza.Era sicuro che sarebbe stato espulso, ormai non aveva più appigli. E si è messo in testa che anche quel sacerdote (così disponibile da trovargli l'avvocato) gli aveva voltato le spalle. Ma se Mahmoudi Ridha stava finalmente con un piede sul confine non era certo per colpa di don Roberto Malgesini ma sua. Il fascicolo del tunisino di 53 anni, arrivato in Italia nel 1993, è alto mezzo metro e i reati compiuti non sono un elenco ma una collezione. Denunce e condanne per aggressione, minacce, violenza. Nonostante ciò si è sempre salvato, il suo rimpatrio è sempre stato procrastinato e il lenzuolo pietoso della bontà cristiana ha sempre avuto la meglio sulla legge degli uomini. Così ha potuto uccidere il più innocente di tutti. Mahmoudi era conosciuto in questura da quando si era sposato con un'italiana alla fine degli anni '90 -come ricostruisce il quotidiano La Provincia. Una donna comasca di 20 anni più grande, ex impiegata comunale, che dopo qualche tempo ha cominciato a subire maltrattamenti continui e lo ha abbandonato, denunciandolo. Per questi atti è stato condannato a un anno e otto mesi, ai quali si è aggiunto il patteggiamento di un anno per tentata estorsione. Nel 2009 è stato denunciato per stalking, nel 2010 per lesioni personali, nel 2011 per resistenza a pubblico ufficiale. Per cumulo di pena, Mahmoudi ha scontato un periodo in carcere, ma è sempre riuscito a dribblare il rimpatrio. A suo favore esibiva un certificato comprovante una malattia agli occhi, per avere lavorato in una cava. Di fatto a Como è diventato irregolare nel 2014 quando la questura ha deciso di non rinnovargli più i permessi di soggiorno. Da due giorni i funzionari della Caritas sfilano dai carabinieri per interrogatori lunghi, particolareggiati, che fanno intuire come le forze dell'ordine siano contrariate dalla gestione di Mahmoudi da parte di chi ne aveva la responsabilità morale ed era a conoscenza del suo fardello penale. Gli investigatori vogliono scavare per cercare eventuali mancanze, oppure appigli concreti per proseguire sulla (per ora fumosa) pista della schizofrenia. Di sicuro, se anche fosse realistica questa supposizione, si potrebbe dire che in tutti questi anni il tunisino non è mai stato controllato da professionisti qualificati ad aiutarlo. Anche riguardo al rimpatrio sempre rimandato ci sono dubbi e interrogativi. È vero che in febbraio il secondo decreto di espulsione è stato bloccato dal Covid, ma è altrettanto vero che fin dal 2018 c'erano tutti i presupposti per attuarlo e il virus era ancora nei pipistrelli cinesi. «Continuiamo ad aiutare tutti, sapendo che di notte di vuole la mano ferma», ha dichiarato Carlo Colombo, custode del dormitorio di San Rocco. «Non è semplice vivere la strada con le persone della strada». Questo per far capire che il rischio è sempre alto e non basta lo spirito di sacrificio per provare a salvare il mondo. Servono organizzazione, pianificazione, regole certe e istituzioni pubbliche che non hanno timore di farle rispettare. Stamane alle 10 tutti questi temi saranno sul tavolo del prefetto, Ignazio Coccia. L'omicidio suscita riflessioni le più disparate sul romanticismo da accoglienza che si scontra con l'immagine di quel coltello insanguinato. E se da una parte il guru comasco dei migranti, don Giusto Della Valle, invita a «continuare a fare quello che faceva don Roberto già dalle colazioni di domani mattina», dall'altra il consigliere comunale Sergio De Santis di Fratelli d'Italia (tenente colonnello della Guardia di finanza) annuncia: «Una risposta adeguata sarebbe stata quella di individuare tutti gli stranieri irregolari a Como, metterli sugli autobus e portarli in un centro di rimpatrio nel Sud». La forbice è sempre molto larga.