2022-06-15
Gli esperti: stop alle vaccinazioni di richiamo
Aumentano gli studiosi contrari a continue iniezioni anti Covid, scarsamente efficaci contro nuove varianti e dagli effetti avversi sconosciuti. Pubblicate su «Science» e «Lancet» ricerche che evidenziano il crollo dell’immunità negli inoculati in pochi mesi.Kenji Yamamoto, chirurgo cardiovascolare presso l’Okamura Memorial Hospital di Shizuoka, in Giappone, ha scritto una lettera alla redazione di Virology Journal, una rivista peer reviewed, chiedendo che come misura di sicurezza dovrebbero essere sospese ulteriori vaccinazioni di richiamo. Il medico sottolinea come la pandemia da Covid-19 abbia portato all’uso diffuso di vaccini genetici, inclusi mRna e vaccini vettoriali virali ma, sostiene «la loro efficacia contro la proteina Spike altamente mutata dei ceppi di Omicron è limitata». Secondo le raccomandazioni dell’Agenzia europea per il farmaco (Ema), anche frequenti iniezioni di richiamo potrebbero influire negativamente sulla risposta immunitaria. Yamamoto ha fatto riferimento allo studio pubblicato da The Lancet a febbraio sulla perdita di efficacia dei vaccini Covid-19 e il declino dell’immunità, che otto mesi dopo la somministrazione di due dosi era inferiore a quella in individui non vaccinati. Dopo 4-5 mesi di follow-up, l’efficacia di Pfizer era stata stimata superiore all’80% in uno studio, di circa il 50% in altri due studi, e a circa il 20% in uno studio del Qatar. «Nel complesso, l’efficacia del vaccino oltre i sei mesi rimane incompleta», riportava lo studio retrospettivo di coorte sulla popolazione in Svezia, vaccinata e no. Nella coorte principale, l’efficacia stimata del vaccino era superiore al 90% nel primo mese, con un progressivo declino che iniziava subito dopo, risultando infine in non rilevabile dopo sette mesi. Un calo causato da diversi fattori, le proteine Spike non decadono immediatamente dopo la somministrazione di vaccini mRna, circolano in tutto il corpo per più di quattro mesi e le cellule endoteliali vascolari sono danneggiate dalle proteine Spike nel flusso sanguigno. Non ultimo, il peccato antigenico originale, ovvero la memoria immunitaria residua del vaccino di tipo Wuhan, può impedire al vaccino di essere sufficientemente efficace contro i ceppi varianti. Tutti questi meccanismi possono essere coinvolti nella maggior esposizione al Covid dei vaccinati. Yamamoto segnala problemi con l’insorgenza di fuoco di Sant’Antonio, a volte indicato come «sindrome da immunodeficienza acquisita da vaccinazione». Dalla fine dello scorso anno, il team dell’Okamura Memorial Hospital ha avuto diversi casi di sospette infezioni che non è stato possibile controllare anche dopo diverse settimane di utilizzo di più antibiotici, e persino alcuni decessi. Così pure si sono verificati «molti casi» di trombocitopenia trombotica immunitaria indotta dal vaccino (Vitt), sindrome associata al vaccino a vettore adenovirale. Ad oggi, scrive sempre Yamamoto, quando si confrontano i vantaggi e gli svantaggi dei vaccini mRna, la vaccinazione è comunemente raccomandata. Però, una volta superata la fase pandemica, diventano sempre più evidenti eventi avversi post vaccino, cui fa un rapido cenno. «È stato ipotizzato un aumento delle malattie cardiovascolari, in particolare delle sindromi coronariche acute, causate dalle proteine Spike nei vaccini genetici», elenca, «e oltre al rischio di infezioni dovute all’abbassamento delle funzioni immunitarie, esiste il possibile rischio di danno d’organo sconosciuto causato dal vaccino che è rimasto nascosto senza manifestazioni cliniche apparenti, principalmente nel sistema circolatorio». Pertanto, scrive «sono essenziali un’attenta valutazione del rischio prima dell’intervento chirurgico e delle procedure mediche invasive. Sono inoltre necessari studi randomizzati controllati per confermare queste osservazioni cliniche». La conclusione di questa lettera pubblicata sul Virology Journal è che «la vaccinazione anti Covid-19 è un importante fattore di rischio per le infezioni nei pazienti critici».Kristian Andersen, che studia l’evoluzione virale presso lo Scripps Research Institute, centro di ricerca nel campo delle scienze biomediche con sede a La Jolla, in California, su Science di maggio rifletteva che sebbene non sappiamo come saranno le future varianti «possiamo essere certi che continueranno a essere sempre più capaci di evadere il sistema immunitario», portando forse a una minore protezione non solo contro le infezioni, ma anche contro la malattia grave. «Dobbiamo concentrarci sull’ampliamento della nostra immunità», affermava. Non lasciandoci infettare più volte l’anno ma nemmeno sottoponendoci a raffiche di richiami. Anche perché la protezione limitata che l’infezione da BA.1 ha fornito contro le nuove sottovarianti negli studi di laboratorio ha già sollevato dubbi sull’utilità dei nuovi vaccini specifici per Omicron. Secondo Linfa Wang, professore nel programma sulle malattie infettive emergenti presso la Duke-Nus Medical School di Singapore «un ampio cocktail di anticorpi monoclonali mirati a diversi ceppi potrebbe essere il modo migliore per andare avanti».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)