Sull’edilizia pesano 15 miliardi di crediti Superbonus che nessuno vuole o può più comprare. Con la loro libera circolazione, il debito pubblico salirebbe, come sottolinea Eurostat, ma questo è l’unico modo di evitare un’ondata di fallimenti. A rischio 25.000 aziende.
Sull’edilizia pesano 15 miliardi di crediti Superbonus che nessuno vuole o può più comprare. Con la loro libera circolazione, il debito pubblico salirebbe, come sottolinea Eurostat, ma questo è l’unico modo di evitare un’ondata di fallimenti. A rischio 25.000 aziende.È finalmente arrivato anche sulle pagine del Sole 24 Ore l’allarme che lanciammo ormai due anni e mezzo fa a proposito dei crediti di imposta per i bonus edilizi. Sono fermi 15 miliardi di crediti che nessuno vuole o può comprare e sono a rischio 25.000 imprese dell’edilizia. Da ieri, le nuove indicazioni provenienti da Eurostat circa la contabilizzazione di tali interventi hanno reso concreto il rischio che la circolazione dei crediti, attraverso plurime cessioni, come strumento di pagamento accettato e liberatorio su base volontaria, costringa lo Stato a contabilizzare da subito come spesa pubblica l’intero importo dei lavori autorizzati ed eseguiti. Per il solo Superbonus 110% (dati al 31 dicembre 2022) parliamo di 51 miliardi di detrazioni già maturate che salgono a quasi 69 miliardi, considerando le detrazioni previste a fine lavori.La scelta comunicata da Eurostat non deve sorprendere ed è tecnicamente corretta e ben motivata. Sin dal giugno 2021, avevamo fatto rilevare che Eurostat considerava provvisoriamente «non pagabili» i crediti da bonus edilizi ma si era riservata una valutazione definitiva. Ora è giunta a una conclusione ineccepibile: se un credito è cedibile o riportabile negli anni per le quote non compensate e compensabile con qualsiasi debito fiscale, allora è elevatissima la probabilità che lo Stato sostenga effettivamente quel costo e che - simmetricamente - il contribuente benefici di quell’agevolazione. In altre parole, più il credito circola, più è probabile che trovi prima o poi qualcuno che abbia dei debiti fiscali da compensare. È quindi «pagabile». Se, invece, il credito può essere compensato soltanto con le tasse dovute dal contribuente per ciascun anno, è concreto il rischio che non ci siano debiti fiscali da opporre in compensazione e che quindi la quota eccedente sia definitivamente persa. Di conseguenza, lo Stato può contabilizzare, come ha fatto, per quote annuali tali eventuali mancati incassi.Il problema è che, sin dalla sua nascita, il Superbonus si è caratterizzato per la cedibilità dei crediti di imposta e quindi si è generato nel contribuente un legittimo affidamento circa la possibilità di ottenere l’agevolazione per un importo anche ben superiore ai propri debiti fiscali. Quindi, in caso di eccedenza o necessità di liquidità, il contribuente poteva da subito ottenere il beneficio, attraverso la cessione del credito. Nel novembre 2021 il governo di Mario Draghi è entrato a gamba tesa su questo meccanismo, ponendo un limite alle cessioni e lasciando col cerino del credito in mano migliaia di imprese che avevano eseguito lavori, scontando direttamente in fattura l’agevolazione al committente, ma che non trovavano più banche disposte all’acquisto. Il successivo intervento del governo di Giorgia Meloni - col decreto Aiuti quater e con la legge di bilancio - che ha portato a cinque le cessioni complessive (di cui tre in «ambiente protetto», cioè verso banche) e concesso la possibilità di compensare in dieci anni, ha solo marginalmente migliorato la situazione, che resta critica.Che la situazione stesse volgendo al peggio per le imprese e i contribuenti, lo avevamo compreso il 18 gennaio leggendo la risposta scritta del Mef, a mezzo del sottosegretario Lucia Albano, a un’interrogazione parlamentare. In quel documento, si anticipavano le conclusioni della nuova sezione del manuale di contabilità dell’Eurostat e si sottolineava che la cedibilità del bonus ne determinava la «pagabilità» con conseguenti «impatti di finanza pubblica».Giunti a questo punto, è bene essere chiari, sia per il futuro sia per il passato. Chi paventa «pericoli» per i conti derivanti dalla eventuale contabilizzazione immediata di 69 miliardi (il 3% del Pil) nella spesa pubblica e quindi nel debito/Pil - che nel 2023 aumenterebbe dal 144,6% programmatico al 147% circa - dovrebbe riflettere sul fatto che finora l’unico impatto di finanza pubblica (positivo) dei bonus edilizi è stato quello di garantire almeno 1/5 della crescita del Pil del 2022 (+3,9%). A costoro andrebbe ricordato che già oggi il debito/Pil è più alto di 3 punti solo perché abbiamo contribuito ai vari Mes, Efsf e prestiti ad altri Stati Uem. Allora nessuno si è stracciato le vesti?Il fatto che le regole contabili determinerebbero una punta del debito/Pil nel 2023 (ma un minor onere negli anni successivi) è una noiosa disputa di ragioneria dall’impatto nullo sull’economia reale. I lavori sono stati eseguiti, i crediti sono stati maturati e l’effetto per cassa sarà quello determinato dalla scansione annuale delle compensazioni eseguite dai titolari dei crediti, sia originari sia cessionari. Tutto il resto è noia. Il vero problema per un investitore che compra Btp sarebbe quello di vedere fallire migliaia di imprese e bloccare nuovamente un settore che è appena uscito dal buio del decennio passato. Non certo quello di guardare un numerino, agitando la minaccia dello spread. Il governo ha un prezioso match point per rilanciare il Paese e conquistare la fiducia dei contribuenti: faccia circolare liberamente tutti i crediti di imposta e pensi alla crescita, non alle congetture contabili. A meno che queste non siano un alibi per tagliare il beneficio ex post. Allora il match point diventerebbe un autogol.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





