2022-06-28
Gli embarghi sono un boomerang. Le carte su oro e greggio le dà Putin
Vladimir Putin e Xi Jinping (Getty Images)
La strategia dell’Occidente di imporre a Mosca i prezzi a cui vendere le materie prime è irrealizzabile. Mettere lo zar spalle al muro lo porterà a stringere nuovi (e più vantaggiosi) accordi con Cina e India.La scorsa settimana il Financial Times ha raccontato come Putin aggira le sanzioni sul petrolio. Da quando il greggio russo è finito nel mirino di Stati Uniti, Europa e alleati, Mosca si è semplicemente rivolta a Cina e India, diventando il primo fornitore di oro nero di Pechino e il secondo di New Delhi, scalzando di una posizione l’Arabia Saudita. I colleghi del quotidiano britannico hanno seguito le tracce lasciate dagli idrocarburi, scoprendo che dopo essere stati trattati in una raffineria indiana prendono la via dell’Europa, mischiati con altri di provenienza diversa. Insomma, una triangolazione per rendere meno rintracciabile il prodotto, ovviamente con la complicità degli acquirenti indiani. Ma se il Financial Times ha svelato ciò che tutti sospettavano, essendo noti dai tempi dell’embargo all’Iran quali siano i trucchi per aggirarlo, nei giorni scorsi Bloomberg, cioè un’altra istituzione finanziaria, questa volta però americana, ha definito «pura follia» il tetto al prezzo del petrolio russo tanto caro al ministro del Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen e di conseguenza anche a Mario Draghi. Julian Lee, esperto di energia per l’agenzia di informazione, ha spiegato in modo semplice perché quella che sembra un’ottima idea per tagliare i flussi finanziari con cui Putin alimenta la guerra non può funzionare. Se fosse così facile limitare il prezzo a cui la Russia può vendere il suo petrolio, senza colpire il volume delle vendite sul mercato internazionale, perché nessuno lo ha fatto prima, si è chiesto Lee. «Perché gli Stati Uniti non hanno fatto questo con l’Iran o il Venezuela, invece di imporre sanzioni secondarie che hanno interrotto i flussi di petrolio e danneggiato le relazioni con i partner commerciali in Asia?». Forse il motivo principale, sostiene l’analista di Bloomberg, è che questa misura ha pochissime possibilità di funzionare davvero. «Il più grande ostacolo al tetto dei prezzi del petrolio russo è Putin, il quale potrà semplicemente dire no. Come si può costringere la Russia a vendere il proprio petrolio con uno sconto imposto dall’esterno? Putin chiuderebbe le valvole degli oleodotti e le aziende russe non potrebbero esportare anche se volessero». Il ragionamento di Lee è lineare: se il leader russo non vuole vendere al prezzo che gli viene imposto smetterà di esportare verso quei Paesi che applicano le sanzioni, rivolgendosi ad altri. Inoltre, secondo l’esperto, Putin ha già dimostrato di considerare di secondaria importanza gli effetti sull’economia rispetto alle sue ambizioni imperialiste, convinto che tagliare le esportazioni di petrolio arrecherà più danni alle economie degli acquirenti di quanto non farà alla Russia. Quindi, conclude, è inutile aspettarsi che Putin accetti un tetto massimo imposto dall’Occidente. In effetti, è difficile dargli torto. Soprattutto si fa fatica a credere che una misura come quella sollecitata dalla Yellen e da altri leader europei possa indurre Mosca a rinunciare ai suoi sogni espansionistici.Addirittura, più controproducente rischia di essere l’embargo all’oro russo. Non soltanto perché come nel caso del greggio sarà facile aggirarlo, vendendo a Cina, India e Paesi mediorientali, ma perché rischia di aumentare il valore dell’oro, consentendo a Mosca e Pechino di utilizzarlo in maniera collaterale alle proprie valute. Già nei giorni scorsi si è capito che ai cosiddetti Brics, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica il dollaro e l’euro per regolare gli affari internazionali stanno stretti, al punto che vorrebbero commerciare con le loro valute, demolendo la supremazia della moneta americana nelle transazioni del petrolio e delle altre commodities. Ma tentare di bloccare le vendite di oro russo potrebbe spingere questi Paesi a utilizzare proprio l’oro per gli scambi commerciali. Nel passato, sul finire della Seconda guerra mondiale, gli alleati si accordarono per istituire un sistema che consentisse la compensazione dei commerci internazionali e su proposta di John Maynard Keynes fu creata una moneta chiamata Bancor che permettesse gli scambi economici fra nazioni. Allora però tutto ruotava intorno al dollaro, cioè al Paese più dinamico dal punto di vista industriale e finanziario, alla superpotenza la cui entrata in guerra aveva dato una svolta al conflitto. Adesso però lo schema potrebbe essere diverso e l’asse spostarsi pericolosamente verso Est. Detto in poche parole: ho la sensazione che ci stiamo mettendo nei guai da soli, senza renderci conto che le sanzioni stanno scardinando gli equilibri internazionali che hanno consentito fino ad oggi la supremazia dell’Occidente e dei Paesi democratici su quell’altra parte del mondo che certo democratica non è. Ps. Per qualcuno le sanzioni funzionano perché la Russia è stata costretta al default tecnico. In realtà funzionano meno di quel che si crede. Se Mosca non paga il fallimento è solo virtuale, perché a differenza di altri Paesi finiti in bancarotta, ha le riserve per saldare i propri debiti, ma gli alleati, avendole sequestrate, impediscono a Putin di far fronte agli impegni. Il danno è più d’immagine che di sostanza e costringerà Mosca a legarsi ancora di più a Pechino. Tuttavia, c’è un elemento importante in quanto successo ed è che a pagare sono gli investitori occidentali , i quali non vedono restituiti i propri capitali e nemmeno i dividendi. Un effetto collaterale, molto più concreto di tante chiacchiere.