2025-07-25
Gli architetti: «Noi lavoravamo così»
Alessandro Scandurra (Ansa)
La linea difensiva dei professionisti coinvolti è: gli incarichi erano leciti, il funzionamento delle commissioni molto confuso. Ma spuntano pure intimidazioni ai dipendenti pubblici. Nessun incontro segreto, nessuna valigetta passata di mano. Eppure, per la Procura di Milano la corruzione c’è stata eccome nella maxi inchiesta sull’urbanistica di Milano. Non nel suo modello classico, ma in una forma più sottile e strutturata, in cui consulenze, parcelle regolari e presenze strategiche in commissione avrebbero condizionato le decisioni pubbliche. Giacomo Lunghini, legale dell’architetto Alessandro Scandurra, ascoltato martedì a Palazzo di giustizia, invece, ha ribaltato l’impostazione dell’accusa: quelle parcelle erano compensi per incarichi veri, tracciabili, leciti; non c’è stato nessun favore, nessun patto illecito.La mancata astensione in commissione? Sarebbe frutto di un modulo ambiguo fornito dal Comune e di regole confuse. Sarà proprio questo uno dei nodi dell’indagine e delle decisioni del giudice Mattia Fiorentini sulle misure cautelari: stabilire se dietro incarichi formalmente leciti si nascondesse un meccanismo corruttivo, capace di condizionare le scelte pubbliche attraverso relazioni ambigue e parcelle funzionali. E la strategia difensiva adottata da Scandurra, centrata sulla regolarità formale delle parcelle e sulla confusione normativa in materia di astensione, potrebbe diventare la linea anche per gli altri indagati. Va ricordato che la Procura di Milano ha chiesto misure cautelari per sei indagati nell’ambito dell’inchiesta sull’urbanistica, di cui quattro in carcere e due agli arresti domiciliari: Giuseppe Marinoni, ex presidente della commissione Paesaggio (carcere); Scandurra e Andrea Bezziccheri (entrambi carcere); Federico Pella (carcere); Giancarlo Tancredi (domiciliari); Manfredi Catella, fondatore e ad di Coima (domiciliari) Per i pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, coordinati da Tiziana Siciliano, la vicenda riflette una forma moderna di corruzione. Non conta solo se Scandurra abbia ricevuto soldi per un voto, ma il fatto che, mentre incassava parcelle da soggetti privati, sedeva in commissione senza astenersi su progetti che li riguardavano. La Procura parla di un rapporto fiduciario in cui un professionista retribuito, pur formalmente corretto, orienta scelte pubbliche con compiacenza. In questo contesto, l’astensione formale del professionista è una semplice foglia di fico che dissimula un accordo corruttivo. Anche la Cassazione lo ha chiarito: è corruzione quando un incarico è solo un mezzo per influenzare le decisioni. Eppure, secondo la memoria difensiva dell’avvocato Lunghini, l’accusa di corruzione contro l’architetto Scandurra sarebbe priva della prova decisiva: un accordo corruttivo.Il pagamento di parcelle per 138.000 euro non basterebbe a dimostrare un’intesa illecita con Coima. Scandurra avrebbe sempre dichiarato i rapporti economici e la mancata astensione deriverebbe da norme ambigue e indicazioni fuorvianti ricevute in commissione. Sul progetto «Pirellino», la difesa evidenzia che non partecipò a due sedute chiave e intervenne solo con un parere tecnico. Viene escluso anche un ruolo diretto nel Villaggio olimpico. Quanto al conflitto di interessi, Scandurra avrebbe agito secondo le indicazioni del Comune che, nel 2022, avrebbe fornito ai commissari un documento errato. La normativa poco chiara, ammessa dagli stessi pm, non può ricadere sui membri della commissione.Nel frattempo due dirigenti del Comune di Milano, Marino Bottini e Guido Riganti, hanno raccontato ai pm i retroscena della riorganizzazione degli uffici durante le indagini. Marinoni, descritto dagli inquirenti come un «procacciatore di affari», avrebbe progetti «improbabili», spesso in sintonia con l’ex assessore Tancredi.Bottini, direttore della Pianificazione urbanistica dal 2022, ha riferito di aver ricevuto pressioni da un avvocato legato a interessi immobiliari per il cambio destinazione d’uso di un’area che, in seguito, lo ha citato davanti al Tar. Anche Guido Riganti, attuale direttore della Rigenerazione urbana, avrebbe confermato ai pm episodi simili, pur precisando di non aver subito minacce dirette. Entrambi i dirigenti hanno spiegato che le decisioni su interventi edilizi si basavano su criteri tecnici, come la presenza o meno di servizi adeguati rispetto alle dimensioni dei progetti.È emersa, inoltre, la riorganizzazione interna della macchina comunale voluta dal direttore generale Christian Malangone, che ha comportato lo spostamento di dirigenti coinvolti nell’inchiesta. Tra questi, Simona Collarini (indagata in uno dei filoni), sostituita da Riganti e ora incaricata del coordinamento del piano triennale delle opere pubbliche nonché responsabile unico del procedimento per lo stadio di San Siro.