2018-09-22
«Gli americani facciano i telefonini, la moda è una cosa da italiani»
Il patron della Tod's Diego Della Valle replica ai veleni del New York Times. «Un tempo facevano inchieste vere, questa che roba è?»A sentire l'autorevole quotidiano, la Puglia è come il Bangladesh: niente leggi, lavoratori sfruttati, salari da fame, biechi imprenditori che sottopagano anziane che, con la mano indolenzita, cuciono cappotti di lusso per una manciata di euro.Lo speciale contiene due articoliCarlo Capasa, presidente della Camera della moda, è infuriato: «Procederemo per vie legali. La Puglia non è il Bangladesh». Per Claudio Marenzi, presidente di Confindustria Moda, nonché titolare di Herno, stanno rosicando non poco: «La maggior parte del prodotto americano viene fatto in Asia o in Messico dove ci sono delle frontiere cerniera, sono loro a non avere la coscienza a posto». Miuccia Prada è più possibilista: «Nessuno è sano ma ognuno fa del suo meglio, accanirsi solo con la moda è sbagliato. Tutte le aziende hanno codici e ispettori, ma il mondo reale è più complicato, c'è sempre qualcuno che si fa corrompere. La moda ha le sue colpe, ma sono sicura che aziende di altri settori faranno anche peggio. Questo non è un mondo perfetto e siamo tutti colpevoli, i problemi sono ovunque». Tutto parte da un'inchiesta apparsa sul New York Times, un attacco durissimo al made in Italy proprio mentre a Milano è in pieno svolgimento la settimana delle sfilate per la prossima primavera estate. Una bomba a orologeria che è difficile pensare non sia uscita apposta dopo una fashion week newyorkese assai deludente. Si parla di sfruttamento della mano d'opera sartoriale e vengono citati dati dell'Istat secondo cui «nel 2015, 3,7 milioni di lavoratori in tutti i settori hanno lavorato senza contratto in Italia. Più recentemente, nel 2017, l'Istat ha contato 7.216 lavoratori a domicilio, 3.647 nel settore manifatturiero, operando con contratti regolari». Il dubbio, in particolare, nasce su migliaia di lavoratrici sottopagate nel tacco rurale d'Italia. L'attacco che arriva da oltreoceano, non il primo da parte dello stesso giornale e sempre in tempo di passerelle milanesi, non ha lasciato certo indifferenti i protagonisti della moda. «Sono un grande fan del New York Times», racconta Diego Della Valle, patron del Gruppo Tod's, «di quello vero che fa le inchieste vere, che le approfondisce, che va nei luoghi, che ascolta. Per quanto ci riguarda noi siamo totalmente estranei e per quel che riguarda i nomi che ho letto, sono marchi e aziende che hanno già dimostrato a suo tempo come considerano il rapporto di etica e senso della morale. Una gran paginata di roba. Una volta facevano le inchieste su Nixon e ora una pagina rappezzata su cose che, sono convinto, i vertici del giornale, se le conoscessero veramente, non avrebbero pubblicato».La tempistica di questa inchiesta appare preoccupante. Possiamo ipotizzare che sia studiata a tavolino? «Non lo so, ma è un pensiero che non farei. La moda italiana, quella vera non ha nulla da condividere con quella americana. Loro sono famosi per fare i telefonini, noi per fare i più begli oggetti di moda del mondo. Non c'è competizione. Credo a una disattenzione e spesso a una voglia maniacale di avere sempre una cosa da gridare. Purtroppo per loro e per fortuna ci sono aziende molto serie, famiglie che le governano con grande serietà e che non farebbero mai stupidaggini come quelle che raccontano sui giornali». Potremmo allora parlare di una forma un po' subdola di protezionismo americano? «Penso a una leggerezza di chi pensava a un succulento racconto. Il New York Times è il giornale che leggo quando sono a casa mia a New York, è un giornale serio, di peso, obiettivamente si poteva risparmiare questa inchiesta fatta in questo modo. Ne faccia cento, mille, verifichi tutto, perché è una cosa seria. Ho visto citare aziende che io conosco da una vita, dove il senso dell'etica e del rispetto di chi lavora è enorme, difficile metterli in discussione in questo senso. Quando uno commette un errore deve pagarlo, quando non ci sono errori bisogna portare rispetto».È fuori discussione che il mondo della moda stia cambiando profondamente. Come si sta cambiando il passo nel gruppo Tod's? «Bisogna tener conto di come oggi i consumatori acquisiscono le informazioni, in velocità continua. Una volta le collezioni erano semestrali, due volte l'anno si presentavano i prodotti e si comunicavano con calma. Oggi tutto questo, per quanto ci riguarda, è finito. Il nostro gruppo ha un piano che si chiama TProject, progetto che è quello di avere ogni due mesi prodotti da presentare ai negozi, prodotti sostenuti da un marketing, storie e argomenti che interessano il consumatore. Il cambiamento è stato fortissimo e abbiamo impiegato un paio d'anni a realizzarlo. Direi che oggi mi sento molto soddisfatto e alla fine dell'anno noi abbiamo terminato questo turn around aziendale. Credo, che se non siamo dei fessi, ne trarremo tutti dei grossi vantaggi. Quindi un po' di fatica all'inizio ma un grande miglioramento di quelle che possono essere le prospettive di business e di profitto per le aziende».È un settore economico che è cresciuto del 3%, che dà molto lavoro ai giovani, che dà molto lavoro alle donne. Ma, secondo lei, occorre anche una continuità politica d'interessamento verso tutto questo?«Ci vuole che noi imprenditori, che non abbiamo mai avuto bisogno della politica, pur rispettando i ruoli, continuiamo a fare quello che facciamo, non molliamo e con la nostra caparbietà e indipendenza, faremo sempre meglio. Sta a noi imprenditori, in un momento come questo, anche di transizione politica, essere presenti, fare le cose, restituire ai nostri territori parte della fortuna che abbiamo avuto, e farlo in fretta e farlo per davvero senza fare delle chiacchiere o sfumare quando si tratta di mettere mano al portafoglio».Paola Bulbarelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-americani-facciano-i-telefonini-la-moda-e-una-cosa-da-italiani-2606858824.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="adesso-arrivano-i-liberal-a-salvarci-dal-liberismo" data-post-id="2606858824" data-published-at="1757798173" data-use-pagination="False"> Adesso arrivano i liberal a salvarci dal liberismo... Quindi, a sentire l'autorevole New York Times, la Puglia è come il Bangladesh: niente leggi, lavoratori sfruttati, salari da fame, biechi imprenditori che sottopagano anziane che, con la mano indolenzita, cuciono cappotti di lusso per una manciata di euro. Se non altro non sono bambini, il che comunque è una differenza non da poco con i Paesi del terzo mondo. Ma chi è che delocalizza, in Asia? Ma certo, gli americani, gli stessi che vengono a fare le pulci al tessile pugliese. Davvero un bel rompicapo. O semplicemente una bella faccia tosta. Sanno fare tante cose bene, negli States. In molti settori dovremmo prendere esempio. In altri, decisamente no. Ecco, a futura memoria: non prendere mai lezioni dagli americani sul cibo, sul calcio e sullo stato sociale. Perché, insomma, farsi raccontare da oltre Atlantico che il capitalismo può avere anche un volto spietato non è molto diverso che starli a sentire mentre ti spiegano il fuorigioco o la ricetta della carbonara. Del resto, ammesso e non concesso che in quell'inchiesta ci sia qualcosa di vero, come combattere le cattive pratiche del lavoro a casa sottopagato? Eliminando la concorrenza dei Paesi poveri con politiche contro le delocalizzazioni e con un nuovo protezionismo? Ma questa è la ricetta del mostro populista, bellezza. Lo stesso che il Nyt combatte aspramente. Il New York Times è del resto il tempio della globalizzazione. Quelli che (ne parlammo anche su queste colonne) nell'agosto 2017 scrivevano, contro quel briccone di Donald Trump e le sue velleità protezionistiche, su uomini e merci: «Diciamo chiaramente: gli Stati Uniti hanno bisogno di più immigrati con scarse qualifiche». E si argomentava: «Otto tra le 15 occupazioni che si prevede possano sperimentare la crescita più veloce tra il 2014 e il 2024 - gli aiutanti per la cura della persona e della casa, i lavoratori nel settore della preparazione del cibo, i bidelli e simili - non richiedono alcuna scolarizzazione». Insomma, l'immigrazione come serbatoio di schiavitù. Stai a vedere che si arrabbiano perché l'esclusiva sullo schiavismo vorrebbero averla loro... Adriano Scianca