
Travolta dalla crisi, la Commissione Ue ha alzato bandiera bianca e varato uno schema per aiuti di Stato senza limitazioni. Francia e Germania già si organizzano, l'Italia resta al palo. Le nostre assicurazioni e banche terra di conquista commerciale.Anni di europeismo e dotte prolusioni sull'importanza della regolamentazione europea e sulla necessità di castrare le iniziative degli Stati per evitare che si configurassero i tanto temuti «aiuti pubblici». Dieci giorni di diffusione del virus e tutta l'impalcatura è venuta giù. La struttura che non ha mai previsto un'exit strategy ora si afferra disperata all'idea che le singole nazioni riescano a proteggere i rispettivi cittadini dal più piccolo agente biologico e le rispettive economie da un crollo improvviso di domanda e offerta. Ieri le case automobilistiche tedesche e francesi hanno annunciato la chiusura. Airbus ha fatto lo stesso e alcuni colossi della moda, come Lvmh, stanno cercando di convertire due stabilimenti per produrre mascherine. La Bce, oltre a essere a trazione tedesca (come si è palesato l'altro giorno attraverso le dichiarazioni di Christine Lagarde), non è preparata a gestire l'improvvisa regressione del Pil a una fase detta «economia di guerra». Così anche la commissione guidata da Ursula Von der Leyen ha dovuto alzare la bandiera bianca e varare un nuovo schema per gli aiuti di Stato. L'esecutivo comunitario ha dato il via libera al nuovo quadro temporaneo, che consente ai governi di mettere in piedi schemi di aiuti diretti fino a 500.000 euro alle aziende e a dare garanzie per prestiti. Bruxelles chiarisce che «gli aiuti sono indirizzati ai clienti delle banche e non alle banche stesse». Ma in realtà, dietro la forma impacciata, la sostanza è che, a cominciare dalle compagnie aeree, Francia, Olanda e Germania pomperanno una cifra vicino ai 200 miliardi. Perché, come ieri mattina ha sintetizzato il ministro dell'Economia francese, Bruno Le Maire: «Non esiterò a utilizzare tutti i mezzi a mia disposizione per proteggere le grandi aziende francesi». «Si può passare attraverso la capitalizzazione o un investimento azionario. Posso anche usare il termine nazionalizzazione, se necessario», ha concluso di fatto esplicitando con parole dirette quanto i tedeschi hanno fatto capire già lo scorso fine settimana. Angela Merkel ha messo aiuti diretti e a leva. Lo Stato pone a disposizione crediti illimitati alle imprese: il valore minimo annunciato è di 550 miliardi di euro, che verranno stanziati attraverso la KfW, la grande banca per lo sviluppo tedesca posseduta all'80% dallo Stato e al 20% dai Länder. La stessa Cancelliera ha però chiarito che le armi per combattere l'emergenza non sono finite e che il governo è pronto a stanziare altre risorse: con l'emergenza coronavirus anche lo «Schwarze Null», il pareggio di bilancio, non è più un mantra. In mezzo a queste corazzate che si stanno riconvertendo c'è l'Italia. In queste ore siamo riusciti a varare un piano da 25 miliardi. Ad aprile, cioè fra 15 giorni, dovremo trovare altre risorse. Tagliare le tasse non è possibile: il Paese rischierebbe di andare corto di liquidità, come si dice in gergo tecnico. In pratica, rischieremmo il default. Così ieri il premier, Giuseppe Conte, nel corso della videoconferenza con i colleghi Ue, avrebbe chiesto la massima collaborazione offrendo a sua volta trasparenza in sede di protocolli, mentre sul versante economico avrebbe introdotto due strade. La prima chiamata coronavirus bond, una sorta di obbligazioni che richiamano il modello utilizzato da Mario Monti nel 2011. E in seconda istanza l'accesso a un fondo europeo di emergenza. Conte non lo avrebbe citato ma potrebbe trattarsi del Mes. Per la precisione, della prima versione del Fondo salva Stati, visto che la revisione è saltata ieri per via delle emergenze in corso. Accedere a tale rubinetto darebbe una bocca di ossigeno per qualche mese, ma rischierebbe di devastare una volta per tutte la struttura stessa del Paese. Il Copasir ha lanciato l'allarme. Dopo crolli così violenti, i titoli delle principali quotate a Piazza Affari sono in balìa della mancanza di liquidità e soprattutto dell'arrivo di investitori ostili. Ieri la Spagna ha annunciato una legge per stoppare le Opa sulle quotate. Il nostro golden power, ottimo per il comparto della Difesa, è stato recentemente esteso anche ad altri settori. Come quello delle assicurazioni e delle banche. Non si tratta però di una barriera impermeabile. Il comitato per la sicurezza pubblica del Parlamento ha definito i pericoli in arrivo. Da un lato, molte aziende cinesi sono pronte a tornare in forze lungo la Penisola. L'obiettivo sarebbe il manifatturiero di alto livello, le infrastrutture e soprattutto le reti: dall'energia alle telecomunicazioni. Mentre a premere sul collo delle nostre assicurazioni e delle banche sono in questo momento i francesi, stando a quanto i vertici del comitato starebbero tracciando. E la pressione dei partner europei, in particolare transalpini, è ancora più subdola. Perché coordinata con Bruxelles. Da un lato gli italiani accettano la liquidità in aiuto, in cambio di regole sui conti pubblici e riforme interne. Dall'altro cediamo quote azionarie dei colossi per farli ripartire. Ma una volta finita la crisi, la testa sarà altrove e potremmo svegliarci dalla quarantene come un popolo di consumatori e null'altro.
Da sinistra: Piero De Luca, segretario regionale pd della Campania, il leader del M5s Giuseppe Conte e l’economista Carlo Cottarelli (Ansa)
La gabella ideata da Schlein e Landini fa venire l’orticaria persino a compagni di partito e possibili alleati. Dopo la presa di distanza di Conte, il dem De Luca jr. smentisce che l’idea sia condivisa. Scettici anche Ruffini (ex capo dell’Agenzia delle entrate) e Cottarelli.
«Continuiamo così: facciamoci del male», diceva Nanni Moretti, e non è un caso che male fa rima con patrimoniale. L’incredibile ennesimo autogol politico e comunicativo della sinistra ormai targata Maurizio Landini è infatti il rilancio dell’idea di una tassa sui patrimoni degli italiani. I più ricchi, certo, ma anche quelli che hanno già pagato le tasse e le hanno pagate più degli altri.
Jannik Sinner (Ansa)
All’Inalpi Arena di Torino esordio positivo per l’altoatesino, che supera in due set Felix Auger-Aliassime confermando la sua solidità. Giornata amara invece per Lorenzo Musetti che paga le fatiche di Atene e l’emozione per l’esordio nel torneo. Il carrarino è stato battuto da un Taylor Fritz più incisivo nei momenti chiave.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.






