2023-05-13
Gli affitti esplodono anche per le politiche «green»
Ugo Fratesi è un docente di politica economica del Politecnico di Milano, l’università da cui è partita la protesta studentesca per il caro affitti. A differenza di alcuni esponenti politici, che propongono idee strampalate per risolvere il problema degli alloggi (il partito della Schlein medita la requisizione delle case sfitte e il tetto ai canoni, mentre quello di Calenda vorrebbe dare un sussidio a tutti gli studenti fuori sede), il professore ha scritto ieri un articolo per Lavoce.info che strappa il sipario dietro cui si vorrebbe nascondere la realtà. Fratesi, nel suo intervento spiega che quella degli universitari non è la sola categoria colpita dalla crescita dei valori immobiliari urbani, ma ad essa si aggiungono nuclei familiari che non sono poveri bensì appartengono al cosiddetto ceto medio. Come dire, cari ragazzi, benvenuti nella realtà: volete vivere nella città più ricca e cara del Paese? Sappiate che la metropoli scintillante e moderna ha come effetto collaterale un costo della vita elevato, problema che è comune a gran parte delle aree più sviluppate del mondo. Più cresce la domanda di una città internazionale e più cresce anche il prezzo degli immobili.Tuttavia, la parte più interessante dell’articolo del docente del Politecnico è quella che riguarda le politiche pubbliche che aggravano il caro affitti. A che cosa si riferisce il professore? Agli interventi di politica urbana che hanno finalità ecologiche e di miglioramento della qualità della vita. Misure che hanno, secondo Fratesi, un altro effetto collaterale oltre a quello di far rincarare i prezzi dei valori immobiliari: «Privilegiano la città rispetto al resto dell’area urbana e il centro rispetto alla periferia». Ohibò: l’esperto punta il dito contro Sala e compagni? Pare proprio di sì. Leggere per credere. «Nei fatti, (i provvedimenti ambientali, ndr) hanno l’effetto di ridurre l’offerta di città, come se la rimpicciolissero, in quanto rendono più difficile vivere a Milano abitando nel resto dell’area metropolitana, ovvero rendono più difficile l’accesso ai servizi forniti dalla città per coloro che vivono nell’hinterland». Dunque, le varie Alice e Ilaria, ragazze che abitano nel raggio di 50 chilometri e protestano installando una tenda di fronte al Politecnico, sanno con chi prendersela se non trovano un alloggio adatto alle loro esigenze. E se il concetto non fosse sufficientemente chiaro, uno dei loro docenti glielo spiega ancor meglio: «Ci riferiamo per esempio alla realizzazione su vasta scala di Ztl (a Milano area C, che prevede un pedaggio per accedere al centro città, e area B che prevede il divieto di ingresso alla quasi intera città ai veicoli “inquinanti”, nella cui definizione sono però inclusi anche autoveicoli relativamente recenti e le vecchie auto di persone poco abbienti). Nel caso di Londra, è dimostrato che la London Congestion Charge ha significativamente aumentato i valori immobiliari».Il prof fa anche qualche esempio concreto, spiegando che se un paziente dell’hinterland deve raggiungere il Policlinico, una delle eccellenze ospedaliere della città lombarda, dev’essere sufficientemente benestante da possedere un’auto recente per entrare in città e poi pagare l’area C. Se ha un veicolo vecchio di dieci anni, invece, deve spostarsi con i mezzi pubblici, ammesso però che ci siano e che le sue condizioni lo consentano. Tutto ciò, dice Fratesi, ha degli effetti concreti, perché rende più attraente vivere in una casa piccola in città piuttosto che in una grande fuori. E per la legge dell’economia, se aumenta la domanda, il prezzo sale. «L’effetto collaterale», dice l’economista, «non è intenzionale, ma fa lievitare i livelli di segregazione urbana, perché fa crescere i prezzi degli immobili contribuendo all’espulsione delle fasce di reddito medie e basse verso altri comuni». La soluzione del problema, secondo Fratesi, non è il ricorso all’edilizia sociale e ad affitti calmierati, perché le misure funzionerebbero solo se applicate su una «irrealizzabile vastissima scala» e il rilancio dell’edilizia popolare aiuterebbe sì le fasce più povere della popolazione, ma non le famiglie del ceto medio. Dunque, bisognerebbe realizzare più linee metropolitane, più collegamenti ferroviari extraurbani. Ma qui, dico io, ci si scontra con l’ostilità dei vari movimenti ambientalisti, sempre pronti a ritardare ogni opera, soprattutto se sfiora qualche albero. In più, sostiene Fratesi, città come Milano e Sesto San Giovanni, pur essendo confinanti, si fanno concorrenza fra loro, con una rivalità che paralizza ogni scelta. Risultato? Non si fa nulla, perché fra un po’ anche le tende degli studenti (Ilaria, la prima ad averla piantata, ieri ha confessato che lei i soldi per pagare l’affitto ce li ha, ma protesta per principio) faranno parte dell’arredo urbano meneghino, così come lo fanno a San Francisco, città verde e progressista con la maggiore percentuale di senzatetto di tutti gli Stati Uniti. Anche là, inseguendo il green deal e gli ideali liberal, hanno condannato migliaia di studenti a vivere nei sacchi a pelo. Dopo di che, guardate Beppe Sala (ma anche Gualtieri, Nardella e Lorusso, rispettivamente sindaci di Roma, Firenze e Torino) e immaginate il futuro che ci attende.Ps. I collettivi studenteschi, ovviamente di sinistra, per risolvere la questione hanno lanciato l’idea del reddito universitario. Non è bastato il fallimento del reddito di cittadinanza: per creare un altro buco nei conti dello Stato, ora vogliono anche il reddito dello studente. Se queste sono le idee, prepariamoci alla bancarotta.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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