2022-10-05
Giussani, una poesia di vita a caccia di senso
Si avvicina il centenario della nascita del sacerdote di Desio. Un libro ne ripropone l’impeto attraverso brevi testimonianze di chi l’ha conosciuto. La prefazione di Davide Rondoni: «Incontrava chiunque facendo l’opera più grande: sostenerne la speranza».[...] In molti casi, sia nel parlare pubblico che privato, ho visto questo. Ho in mente tante risposte date a miei interrogativi, a domande, a ricerca di confronto. Tante scene che custodirò nel cuore e nella mente, centinaia di episodi che tra amici ci raccontavamo e continuiamo a raccontarci. Ma non come si fa per i «famosi». Bensì come quando si smuove la brace per vivificare il fuoco. Anche aneddoti divertenti. E non mancano perfino episodi buffi con una persona simpatica quale il Gius, ma veramente simpatica, non come quei preti mezzi uomini mezze statue di cera, e, come lui stesso rimarcava, in quanto mezzo virili anche mezzi preti. [...]Perché gli incontri con don Gius, anche quelli simpatici o quelli bruschi, dove si discuteva, dove si stava dinanzi a cose spinose o delicate e terribili, segnavano. Non lasciavano quella sorta di beatitudine idiota che sta sui volti di chi «ha visto» o è stato per un po’ con un vip, uno famoso, un leader. Beatitudine che evapora alla prima curva. No, lasciava inquietudini, domande aperte. Lasciava piste, non punti di arrivo. «Vi auguro di non essere mai tranquilli», gridò quasi, chiudendo uno dei suoi interventi più noti, al Meeting di Rimini. Negli ultimi tempi ripeteva spesso una frase, riferendosi a mio avviso soprattutto a quelli con più numeri, con più temperamento, con più doti che si erano raccolti intorno a lui: «Ho puntato sempre sulla libertà». Come a dire che, analogamente a quanto accade nel Vangelo, il Fatto di Cristo e dei suoi testimoni non «impone» nulla a nessuno, non pretende, non obbliga. Vale per i poveri, per i ricchi, per quelli molto dotati e pubblicamente riconosciuti e per quelli che tutti ignorano e sembrano non fare nulla di speciale. Ma quel Fatto chiede una sincerità nel riconoscere i segni di una «presenza eccezionale». Poi la libertà, sempre, decide, «rintocca», come diceva il poeta Betocchi. E c’è chi si attacca, chi resta, e chi se ne va, anche se difficilmente dimentica. Puntare sulla libertà del lebbroso o del giovane ricco, del giovane molto dorato o della ragazza fragile, del professionista o dello spiantato. Ma quante presunte ricchezze l'uomo contemporaneo ha affollato, quasi come una trincea, per non vedere lo sguardo di Cristo? Per non esporre la propria libertà a quello sguardo? Per resistere al fascino di un incontro che introduce una prospettiva diversa a tutto, alla vita, all’amore, al dolore, alla morte? Certo, come ebbe a dire don Gius, molte volte è stata la Chiesa ad allontanarsi da Cristo, a vergognarsi di Lui. Ridotta spesso a clericale istituzione, a potere, a noia, invece di essere corpo di Cristo, presente e vivo tra le persone. E altrettante volte la Chiesa attraverso la fede anche di una persona sola, o di una piccola comunità, ha fatto bene alla vita di tanti. «È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa / o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?» così scrive Eliot nei Cori da «La Rocca». Don Giussani non ha mai eluso questa domanda, anzi l’ha brandita per tutta la vita come fiaccola per vedere cosa stava combinando coi suoi. Era un uomo certo della fede e deciso nel gesto e nell'azione, ma queste erano continuamente meditate e verificate. Ha proposto il Cristianesimo, senza aggiunte, senza deviazioni. Un cristianesimo «generico» diceva, cioè essenziale. Dandone le ragioni, mostrando come si può essere pienamente uomini e donne e cristiani. Uomini ragionevoli e appassionatamente legati a Cristo. Come tanti in ogni epoca. E presenti come tali nell'epoca e nel contesto in cui ci si trova a vivere. Don Gius ha dato la vita per una rinascita della Chiesa e il suo contributo sta dando i frutti, e li darà nel tempo.Prima di crollare in ginocchio, anziano e semplice bambino, davanti a Giovanni Paolo II che si curvava su di lui essendo vecchi amici, terminò uno dei suoi ultimi discorsi, tenuto in piazza san Pietro, con queste parole: «Il protagonista della storia è il mendicante: Cristo, mendicante del cuore dell’uomo, e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo». Quelle parole e quel gesto sono tra i più emblematici dell’uomo Luigi Giussani.Gli chiesi una volta, quasi a bruciapelo: «Perché c’è il dolore?» - dovevo scrivere per la sua collana una prefazione alle terribili, magnifiche lettere sul dolore di Mounier, il grande filosofo francese. E lui: «Non c’è risposta a questa domanda». Evvai! Secoli di untuoso mellifluo banale «rispostismo» cattolico, tra il consolatorio e il peloso, fatti fuori da tale passione e da tale esattezza. «C’è l’avvenimento della croce, a cui guardare, a cui offrire», disse. «C’è quella prospettiva di dolore vinto da Lui, dalla Resurrezione».Il suo parlare non lasciava idee, o meglio lasciava idee nel senso letterale della parola: la parola «idea», infatti, viene dal verbo greco che significa «guardare, sapere». E Gius ti lasciava qualcosa da guardare, ti faceva vedere qualcosa, qualcuno. Una strada. Mai astratto in senso mentale, ma vivo, esistenziale. Per questo amava dire, usando una metafora: «Facendo “il movimento” facciamo poesia». Che per i brianzoli, cocciuti lavoratori, della sua generazione era come dire: una cosa inutile. Ma appunto lui rovesciava ancora una volta il punto di vista. Sì, facciamo una cosa apparentemente inutile, come la poesia, ma una di quelle cose inutili che per la sua bellezza e per la ferita di cielo che portano danno senso alla vita. E così indicava la strada a chi rimaneva colpito da lui - e mostrava ben Altro che solo sé stesso. Ha fatto molte cose, ma una l’ha fatta sempre: ha sostenuto la speranza delle persone. Ci sono imprese, opere, meriti che valgono di più?