2019-10-24
Quelle domande sugli 007
a cui Conte non risponde
Anche ieri, di fronte ai giornalisti, è emersa la mutazione dell'avvocato: addio ai toni da affettato giurista. Un crescendo che lo accompagna dalla crisi estiva, sfociata nel suo strano bis. Ancora avvolto dal mistero.Un bravo collega come Michele Brambilla, direttore del Quotidiano nazionale, ha raccontato nei giorni scorsi la trasformazione di Giuseppe Conte. Da mite professore prestato alla politica a spregiudicato uomo politico, pronto a ribattere colpo su colpo alle accuse degli avversari e anche degli alleati. Conte non è più il giurista che replicava senza scomporsi usando un linguaggio aulico e un po' datato del docente di diritto. No, ora il presidente del Consiglio si scompone. E se prima era pettinato e azzimato, a proprio agio nei salotti al momento del baciamano, ora è spettinato e pronto ad azzannare la mano di chiunque lo accusi o minacci la sua poltrona. La mutazione segnalata da Brambilla, in effetti, ha qualche cosa di straordinario, perché avvenuta all'improvviso, senza che vi fossero particolari avvisaglie. Da un giorno all'altro il patrocinatore legale ha lasciato il posto all'uomo di potere, al navigatore solitario nei palazzi della politica.Il collega del Qn non si è spinto a indagare le cause della metamorfosi, ma noi, dopo aver notato il cambiamento, ci siamo interrogati proprio sulle ragioni, scoprendo che il Conte irruente si è sostituito a quello quieto in coincidenza con la crisi di governo dello scorso agosto. Fino ad allora, il presidente del Consiglio era stato un agnellino, tanto che qualcuno si era convinto che sarebbe stato sacrificato sull'altare dello scontro fra 5 stelle e Lega. Invece, il mansueto capo del governo all'improvviso ha tirato fuori le unghie, al punto che quel 20 agosto, in Senato, quando il premier pronunciò la sua requisitoria contro Matteo Salvini, perfino lo stesso ex ministro dell'Interno parve sorpreso dai toni. La collera del mite, pensarono in molti: a forza di essere trattato a pugni in faccia, Conte si è ribellato, deciso a farsi rispettare o, per lo meno, ad andarsene con onore.In realtà, l'intervento a Palazzo Madama non aveva niente a che fare con la volontà di gettare la spugna. Conte attaccava Salvini non perché avesse intenzione di togliere il disturbo e nemmeno perché reagisse con furore a qualche cosa che giudicava un tradimento. Conte stava già pianificando il proprio futuro, deciso a liberarsi del Capitano leghista per trovare un nuovo alleato. Anzi, probabilmente aveva già un alleato e dunque il premier si dimostrava baldanzoso. Da che gli veniva la sicurezza di poter fare a meno del vicepremier padano? All'epoca dell'intemerata nessuno lo capì, ma poi una notizia apparentemente piccola e apparentemente senza alcuna relazione con ciò che era accaduto in Senato, ha squarciato il velo. Prima della crisi, il presidente del Consiglio aveva autorizzato una strana operazione dei nostri servizi segreti con gli emissari di Donald Trump. In pratica, gli uomini del presidente degli Stati Uniti erano giunti a Roma alla ricerca di prove che coinvolgessero i democratici americani con il tentativo di accreditare una mano russa dietro il successo elettorale dell'inquilino della Casa bianca. Gli americani volevano informazioni riservate su Joseph Mifsud, uno strano professore della Link University, ossia di quella fucina di docenti assai vicini al Movimento 5 stelle e non proprio sconosciuta anche ad ambienti noti allo stesso Conte.Da quel che si capisce, il gruppetto arrivato da Washington non se ne è tornato a mani vuote, perché dopo l'incontro fra i capi dei nostri servizi, i fiduciari di The Donald hanno compiuto una seconda missione romana. E, guarda caso, in quei giorni Trump ha twittato un messaggio a sorpresa, augurandosi che «Giuseppi» rimanesse a Palazzo Chigi. Un'incursione negli affari italiani che mai si era registrata e che però non ha fatto gridare allo scandalo, soprattutto non ha suggerito alcuna reazione a quella sinistra per cui gli americani (e figuratevi The Donald) si scrivono sempre con la K e hanno sempre a che fare con la Cia. Perché il presidente sentì il bisogno di sostenere Conte? Che cosa aveva ottenuto in cambio o quale promessa gli era stata fatta?Davanti al Copasir, cioè al comitato parlamentare che vigila sui servizi segreti, ieri Giuseppi ha provato a gettare acqua sul fuoco, sostenendo che lo scambio di informazioni si sia svolto con regolarità e negando che il caso abbia qualche cosa a che fare con la capriola che lo ha riportato a Palazzo Chigi con un'altra maggioranza. Tuttavia, attorno alla faccenda rimangono inspiegabili aloni di mistero. Tanto per cominciare, perché Conte non informò nessuno, se non i servizi segreti, delle richieste americane? È vero che il presidente del Consiglio si è tenuto la delega sugli 007, ma la logica vorrebbe che non solo venissero informati i ministri competenti, ma anche i vicepremier che, guarda caso, all'epoca - cioè prima della crisi - erano gli azionisti di maggioranza dell'esecutivo.E poi resta da chiarire che cosa il premier abbia passato agli emissari di Trump. Quali informazioni ha consentito che venissero rese note agli uomini della Casa Bianca e perché? Conte ha provato a negare che siano state svelate questioni segrete, ma se si fosse trattato di una normale richiesta, perché non invitare gli americani a procedere per rogatoria, con tutte le regole? Cioè, se le domande degli Stati Uniti erano regolari, perché non rispettare le procedure regolari?È evidente, soprattutto dopo l'audizione del presidente del Consiglio, che la vicenda Mifsud resta oscura. In particolare, rimane poco chiara la sua vicinanza ad alcuni esponenti del Pd e lo sviluppo del caso quando a Palazzo Chigi c'erano uomini della sinistra. Perché Trump si è rivolto all'Italia e che cosa c'entrano i nostri governi e i nostri servizi con un giallo che mirava a screditare il presidente americano? Giuseppi ci deve ancora qualche risposta.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)