2020-07-10
Giuseppi punta tutto sul Recovery fund ma intanto la Merkel gliel’ha già smontato
Angela Merkel (Dursun Aydemir:Anadolu Agency via Getty Images)
I soldi arriveranno nel 2023 quando l'Italia sarà già distrutta. Saranno 500 miliardi e non 750: Germania e Olanda gongolano.Presidenza Eurogruppo: sconfitta la favorita spagnola Nadia Calviño, sostenuta da Conte, tedeschi e francesi.Lo speciale contiene due articoli.«Agli olandesi non è importato mai nulla di apparire dialoganti ai tavoli europei. Vengono a Bruxelles a difendere gli interessi nazionali. Spesso sono irritanti perché la loro schiettezza sembra arroganza». Queste le confessioni rilasciate ieri da un anonimo diplomatico al Financial Times. Viene da sorridere - o da piangere? - pensando alla retorica di cui è ammantata la narrazione media degli appuntamenti in Europa in casa nostra. O pensando alle parole del Pd a guida Matteo Renzi che, nel giugno 2016, pronunciava parole così perentorie da rimanere immortalate in un tweet simbolo: «le nostre battaglie in Ue non erano per l'interesse dell'Italia ma perché ritenevamo fossero interesse dell'Europa».La differenza sta tutta qui. La sinistra italiana si vergogna di ciò di cui gli altri vanno fieri; proteggere quell'interesse nazionale che Conte dice di difendere virando su una proposta - quella del Recovery fund - che oltre a essere in partenza già inutile a risollevare le sorti di un Paese, finirà per essere ancor più esigua nell'importo e altrettanto farraginosa nel funzionamento. Una trasfusione prenotata a due anni di distanza rispetto al momento in cui si sta morendo dissanguati, per intendersi. Ma andiamo con ordine.Giuseppi prova a convincere la Spagna, la Grecia e il Portogallo a prendersi il Mes, così da non passare come l'unico appestato del continente. Ma prende il classico due di picche. Allora andrà la prossima settimana in pellegrinaggio a l'Aia, sperando di convincere il premier olandese Mark Rutte ad abbassare la sua resistenza nell'approvazione del Recovery fund. C'è da scommettere che il premier punti tutto sulla forza di persuasione personale, magari la stessa sfoggiata, nel suo primo esecutivo, al tavolo del bar di Davos quando, ignaro di essere ripreso dalle telecamere, si mostrava piuttosto ossequioso nei confronti di una sbigottita Angela Merkel. Questa in effetti non si era minimamente premurata di chiedergli alcun favore. «Ma Angela io sono molto determinato», balbettava Giuseppi nel ricordarle che lui avrebbe fatto di tutto per mettere all'angolo Matteo Salvini, allora suo vicepremier. Cosa peraltro portata a termine di lì a qualche mese. La trasferta in Olanda, dunque, non fa che aumentare il prestigio relativo di Rutte «ben oltre l'effettivo peso politico dei Paesi Bassi», come chiosa la professoressa di scienze politiche all'Università Bocconi Catherine De Vries, secondo cui «la processione dei leader europei da Rutte dimostra agli elettori come egli si stia battendo per i loro interessi nazionali». E incredibilmente anche per quelli italiani. Soprattutto dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue, all'Olanda interessa infatti una cosa sola: un bilancio europeo più piccolo, essendo Amsterdam - così come, in maggiore misura, l'Italia - un contribuente netto. La Merkel porterà sicuramente in porto un accordo nelle prossime settimane. Ma sarà un inevitabile compromesso al ribasso per le ambizioni di Conte e Gualtieri che, con incredibile dilettantismo, si sono fin da subito dimostrati entusiasti di fronte alla proposta della Commissione Ue, precludendosi immediatamente qualunque rilancio. Da lì si potrà solo scendere. E infatti sembra proprio che la Commissione Ue verrà esclusa dal controllo degli investimenti del Recovery fund. Sarà una materia del Consiglio Ue, e quindi dei governi. Con imposizione di una condizionalità dietro l'altra prima di scucire un euro. Un'idea che piace così tanto alla Germania da avere indotto la Merkel a sposarla subito al suo debutto alla presidenza semestrale. Una proposta peraltro perfettamente coerente con l'Angela-pensiero spiegato in un'intervista a diversi quotidiani europei fra cui La Stampa, che però incredibilmente censura il passaggio più significativo. Quello in cui la Cancelliera spiega la natura del conflitto fra Corte costituzionale di Karlsruhe e Corte di giustizia europea a proposito del ruolo della Bce, e integralmente riportato su Atlanticoquotidiano.it: «Se la Corte costituzionale giudica che un confine sia stato superato, si rivolge alla Corte di giustizia dell'Ue e richiede una verifica. Sino ad ora, ogni disaccordo è stato ricomposto. Ora abbiamo un conflitto. Ciò è nella natura della bestia, poiché uno Stato nazionale sarà sempre in grado di rivendicare particolari competenze, a meno che tutti i poteri non siano trasferiti alle istituzioni europee, il che sicuramente non accadrà».L'esito di tutte queste chiacchiere è comunque impietoso. Nell'ordine: 1 i soldi del Recovery fund entreranno in circolo nel 2023 quando l'Italia sarà già distrutta; 2 l'importo sarà di 500 miliardi, e non 750; 3 per chi volesse il rinforzino c'è sempre il Mes. Poi all'improvviso, arriva David Sassoli che, da presidente del Parlamento Ue, minaccia la non approvazione di alcun compromesso al ribasso. E qui Rutte già si frega le mani. Proprio ieri sera, vedendo Angela Merkel , ha ribaduto che la sua richiesta è che «non crescano i contributi netti». Gli chiedono di spendere cinque, negozia tre e nel vedersi rifiutata la proposta spende zero. Sassoli ha veramente tutte le carte in regola per fregare la poltrona a Giuseppi, come dicono gli addetti ai livori...<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/giuseppi-punta-tutto-sul-recovery-fund-ma-intanto-la-merkel-glielha-gia-smontato-2646376834.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-candidato-frugale-presidente-leurogruppo-allirlandese-donohoe" data-post-id="2646376834" data-published-at="1594321509" data-use-pagination="False"> Il candidato «frugale» presidente. L’Eurogruppo all’irlandese Donohoe La regola, non scritta ma spesso rispettata, prevede che chi entra in conclave papa, esca cardinale. E così è accaduto alla spagnola Nadia Calviño nella corsa alla presidenza dell'Eurogruppo che nel tardo pomeriggio di ieri ha visto eletto, in sostituzione del portoghese Mario Centeno, il ministro delle Finanze irlandese Paschal Donohoe. Si è trattato di una corsa a tre tra quest'ultimo, la spagnola e il lussemburghese Pierre Gramegna. I primi due nel ruolo di sfidanti favoriti, il terzo come outsider. Il tutto avvenuto con voto in forma segreta e secondo una formula particolare: il quorum è di 10 voti su 19 votanti. Se la prima votazione non fornisce un vincitore, il candidato meno suffragato dei tre viene «invitato» a ritirarsi e lasciare così il campo ai primi due. Si procede quindi con votazioni successive, fino a quando uno dei due non ottiene il quorum richiesto. Ed è proprio quanto è accaduto ieri. Con Gramegna ritiratosi dopo la prima votazione e l'irlandese vincitore al successivo ballottaggio. La segretezza del voto, questa volta espresso in forma elettronica perché la riunione si è tenuta in videoconferenza, non consente a nessuno dei candidati di conoscere i Paesi che hanno contribuito alla sua elezione. Questo formalmente: di fatto gli schieramenti erano più o meno noti da giorni. Con la Calviño c'erano Spagna, Germania, Italia, Portogallo, Finlandia e Grecia, con Malta e Francia probabili aggiunte. Belgio e Lituania incerte e decisive per il raggiungimento del quorum e tutti gli altri, in pratica il blocco nordico, a favore dell'irlandese o del lussemburghese. Prima della votazione, la spagnola godeva dell'appoggio pesante delle maggiori economie dell'eurozona (Germania in testa). A suo favore c'era anche lo stucchevole «in quanto donna», oltre alla lunga frequentazione dei corridoi di Bruxelles, da ultimo come direttore della potente Dg Bilancio della Commissione Ue. A favore dell'irlandese giocava invece la militanza nel Partito popolare europeo, che conta il maggior numero di ministri, e l'avversione del blocco nordico verso la spagnola. Alcuni giorni fa quei Paesi lasciavano trapelare di volere come presidente «tutti tranne la Calviño». L'Eurogruppo è un'istituzione sui generis all'interno del complesso organigramma europeo. È un organo informale, non redige verbali, e il suo ruolo è stato definito dal protocollo n. 14 al Trattato di Lisbona del 2009. È un luogo di discussione e coordinamento delle politiche economiche dei Paesi dell'eurozona. Non si decide nulla, ma tutti gli atti legislativi che sono poi formalmente adottati dal Consiglio Ue risentono inevitabilmente degli orientamenti politici emersi a livello dell'Eurogruppo stesso. Le conseguenze politiche della sconfitta della Calviño sono pesanti. Innanzitutto viene sconfitta la candidata che rappresentava sulla carta i tre quarti della popolazione e del Pil dell'eurozona. Che funziona come una cooperativa: una testa un voto, da Malta alla Germania. Inoltre la Calviño era portatrice della visione «più Europa, più integrazione», che esce pesantemente sconfitta, vedendo invece prevalere la visione nordica fedele alla lettera dei Trattati che non prevedono condivisione e solidarietà di sorta. Infine l'Italia, con il presidente Giuseppe Conte che nei giorni scorsi ha investito sull'asse Roma-Madrid e si ritrova a capo dell'Eurogruppo una figura espressione dei falchi del Nord e difensore del dumping fiscale del suo Paese. Un paladino dell'Europa intesa come ognuno per sé e Dio per tutti. E la Ue? Ritenta, sarai più fortunato.
A Dimmi La Verità Stefania Bardelli, leader del Team Vannacci di Varese, fa chiarezza sul rapporto con la Lega e sulle candidature alle elezioni degli esponenti dei team.