2022-12-02
Giuseppe Cossiga: «Quando papà zittì De Mita: “Hai rotto i ...”»
Ciriaco De Mita e Francesco Cossiga. Nel riquadro Giuseppe Cossiga (Ansa)
Il secondogenito del picconatore: «Aveva un lato gioviale nascosto, noi bambini in estate avevamo il via libera per le parolacce. Votai Msi, alle ultime politiche Fdi, mai Dc. Aveva un debole per il Pci; durante la richiesta di impeachment gli dissi: “Sono comunisti”».Giuseppe Cossiga, classe 1963, ingegnere aeronautico, è il secondo figlio di Francesco Cossiga (1928-2010) che, eletto deputato per la Democrazia cristiana nel 1958, è stato ministro dell’Interno dal 1976 al 1978 in tre governi (uno di Moro e due di Andreotti), presidente del Consiglio (1979-1980) e poi capo dello Stato, dal 1985 al 1992, dimissionario con due mesi di anticipo dalla fine del mandato. L’ex presidente della Repubblica si ricorda non solo per esser stato ai vertici dell’esecutivo negli anni di piombo e durante il sequestro Moro, ma anche per il clamoroso ricorso a furenti esternazioni già covate durante la sua permanenza al Quirinale. Oggi Giuseppe Cossiga, politicamente attivo dal 2001 al 2013 come deputato, prima con Forza Italia, poi con Fratelli d’Italia, sottosegretario alla Difesa nel IV governo Berlusconi, è direttore relazioni istituzionali di Mbda Italia, società di produzione di tecnologie militari e missilistiche. È separato, ha un figlio, Alessandro, 20 anni, e vive a Roma. Come è nata la sua passione per l’aeronautica? «Mio padre, nel 1966-1970, è stato sottosegretario con delega all’aeronautica. Noi, fin da bambini, frequentavamo campi d’aviazione e simili, sono cresciuto in mezzo agli aerei. Mia madre era un pilota amatoriale. Andavamo all’aeroclub di Alghero perché lei volava».Suo padre collezionava soldatini. Era appassionato di storia militare? «Mio padre era sicuramente appassionato di servizi segreti. Aveva dei soldatini, ma dubito che sapesse distinguere tra un legionario romano e un cannoniere della Guardia Francese. Dal punto di vista degli studi, la cosa più importante che ha fatto è stata quella di lasciarmi libero di scegliere».Come lo ricorda durante l’infanzia?«Era un padre, per il lavoro che faceva, relativamente assente. Formalmente, era molto severo e rigido ma, sin da bambino, sia io sia mia sorella, percepivamo che c’era un altro Francesco Cossiga, più gioviale. Conosco meno la sua figura pubblica e più il padre. Era molto severo, serioso, non voleva che dicessimo parolacce. Però, in estate, da giugno ad agosto, potevamo dire tutte le parolacce che volevamo». Qualche attrito con lui nell’adolescenza? «Tutto abbastanza liscio, ma lo trovavo un po’ di sinistra, questo sì. È sempre stato un mio cruccio».Approfondiamo?«Lui aveva una sorta di mitizzazione del Pci come chiesa laica, cui bisognasse dare degli spazi. Io, ragazzo di 16-18 anni, ritenevo fosse troppo disponibile con i comunisti. Nel periodo dell’impeachment, credo, sorsero problemi col Pci. Era profondamente addolorato. Gli dissi: “Pa’, ma cosa pretendevi, sempre comunisti sono”». Che rispose?«Lui dava sempre una spiegazione più complicata, era democristiano».Cossiga brillò negli studi, licenza liceale a 16 anni, laurea in giurisprudenza a 19, precoce professore ordinario. Con voi era esigente nello studio?«Dava per scontato che fossimo molto bravi a scuola. Diceva: “Cos’hai preso? Dieci, 30 e lode? D’altra parte, quanto dovevi prendere?”. Ma non è accaduto spesso che prendessi meno di 30 e lode».Come si riverberava nella vostra educazione il suo essere cattolico?«Mio padre era un cattolico liberale, appassionato di teologia, quindi capitava che a tavola, nei miei 14-18 anni, si parlasse di grandi temi teologici. Ricordo che i miei compagni di scuola, quando venivano, rimanevano scioccati, in senso buono, divertiti, dagli argomenti trattati a casa». Qual è la sua posizione, oggi, nei confronti del cattolicesimo?«Mi considero cattolico, ma sono un cattolico peccatore e assai poco frequentante, un po’ rilassato, ho un po’ abbandonato la retta via». Lei è nato a Sassari. In che anno vi trasferiste a Roma?«Nel 1968, avevo 5 anni, andavo all’asilo».In famiglia, con suo padre, si parlava di politica? «A casa mia di politica si è parlato sempre. A tavola, se non erano temi di Sant’Agostino, erano di politica». Su questioni politiche, con voi, accettava il contraddittorio?«Sììì, erano anche discussioni molto vive, su temi in cui avevamo visioni diverse». Ad esempio?«Ad esempio una più profonda autonomia per la Sardegna. Mio padre per lungo tempo ebbe una posizione meno autonomista e più centralista. Poi, invecchiando, tornò un po’ sui suoi passi».E lei che posizione aveva sull’autonomia della Sardegna?«Tutta la famiglia era più autonomista, mio padre era quello più italiano. Ma parlavamo anche di altri temi. Mio padre percepiva in maniera più complessa il rapporto con la sinistra. Io invece, soprattutto da ragazzo, ero più ostile. Mi stupivo quando vedevo Cossiga chiamato con la kappa e la doppia esse come fosse un estremista di destra, perché lo percepivo invece molto attento alle esigenze del più grande partito comunista d’Europa. Poi, crescendo, si capiscono meglio tante cose...».Quando ancora esisteva, votava per la Dc?«Io non l’ho mai votata la Dc».E per chi votava?«Alle regionali per il Partito Sardo d’Azione e alle politiche per il Msi. Una volta credo di aver votato liberale».Alle ultime politiche di settembre 2022 a chi ha dato la preferenza?«Ho votato per Fratelli d’Italia. Assieme ad altri amici, ho contribuito a scrivere lo statuto di questo partito. Da 6-7 anni ho smesso di fare politica». Pensa di ritornare a far politica?«No, assolutamente. La politica è come la droga. Quando uno si è disintossicato del tutto, grazie a Dio non ci ricasca più». Nel 1978, l’anno del sequestro Moro, lei aveva 15 anni. Che ricordo ha di suo padre in quei 55 giorni?«Ero al liceo. Ho il ricordo di una persona colpita, molto addolorata - parlo di quello che vedevo a casa, non di quello che si vede nei film - che faceva di tutto per salvare la vita al suo maestro politico». L’ex-agente Sismi Francesco Pazienza, che ha conosciuto bene Cossiga, testimonia che in un incontro privato e informale, gli disse: «Io volevo salvare Moro. Non mi è stato possibile farlo»…«Io lo interpreto come “non sono stato in grado”. La cosa non mi stupisce».Pensa che qualcuno l’abbia ostacolato?«Non penso niente, ne so poco. Sicuramente so che lui, in cuor suo, prendeva tutto quello che faceva come tentativo per salvare un amico. Quello di Bellocchio è un film, io sono molto liberale, per cui…».L’ha visto Esterno notte? Che ne pensa?«Ne ho visto solo un quarto d’ora. L’unica cosa che ho pensato è che non si è sforzato molto di caratterizzare le persone per quello che erano, ma li ha presentati in maniera funzionale al raggiungimento di un suo scopo. È un’opera d’arte, non mi metto a discutere sui colori che usa il pittore. A me non sono piaciuti e ho cambiato canale». Dopo la vicenda Moro, suo padre volle incontrare alcuni brigatisti rossi. Ciò per comprendere perché scelsero la lotta armata o per capire le collusioni con i servizi segreti? «Sicuramente la prima cosa, comprendere meglio le motivazioni che li portarono alla lotta armata. Da questo punto di vista, ha incontrato anche terroristi di destra».Più influente Cossiga o Andreotti?«La mia impressione è che fosse più potente e influente Andreotti. Mio padre era non dico un cane sciolto, ma una figura più isolata. L’immagine che ho di Andreotti è di un sole al centro di un sistema solare più complesso, un sistema di potere molto più ampio di quello che può aver gestito mio padre, in particolare al di fuori della Sardegna».Nel brevissimo discorso del 31 dicembre 1991, disse di «scegliere di tacere» piuttosto di «parlare non dicendo», per rispetto «di Dio e della verità». Iniziò la stagione delle picconate.«Mai seguito un discorso di fine anno di un capo dello Stato, men che meno quelli di mio padre. Ma le racconto un episodio. Eravamo a tavola. Mio padre era presidente della Repubblica. Squillò il telefono e andai a rispondere. Era De Mita. Glielo passo. Restò in sala da pranzo e poi sbottò: “Ciriaco, adesso avete rotto i coglioni”. Non era mai accaduto che mio padre dicesse una parolaccia mentre eravamo a tavola insieme. Capii che qualcosa stava succedendo. Per me questo è il momento in cui inizia la fase due della sua presidenza». Rivendicò con fierezza la sua affiliazione con Gladio-Stay Behind ma, dopo il crollo del socialismo reale, si scagliò contro l’anacronistica immobilità del sistema partitico italiano. «Era fortemente atlantista, in un’ottica bipolare. Poi vide che il sistema, nella nuova situazione geopolitica, non percepiva che molte cose potessero cambiare. D’altra parte è stato uno dei protagonisti di quella manovra di palazzo che ha portato al governo D’Alema, inteso come primo governo degli ex-comunisti per uscire da un mondo che non esisteva più».Disse: «I primi mafiosi stanno al Csm». E, nel 2008, a Sky-Tg24, aggredì Palamara. «Mi ricordo che non mi piacque tanto quella scena perché era abuso di posizione dominante».E lei come la vede l’Italia odierna? «Situazione confusa, politica che non riesce a uscire da un’infinita fase di transizione, vedo questo, poi penso solo al mio lavoro e a mio figlio».Ritiene che Cossiga, Moro, Andreotti si siano re-incontrati in un’altra dimensione?«Il tema dell’incontro nell’Aldilà è piuttosto complicato. Si sono ritrovati sicuramente nella grazia del buon Dio, e hanno visto tutto quello che è accaduto nella loro vita da una prospettiva ben diversa, perché quando si è accanto a Dio tutte le tematiche umane sono piccole».
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