Gli eurogiudici stangano la Polonia perché difende la sua Costituzione

«La Costituzione di un Paese non è un giudice imparziale e indipendente». Scintille e fumo nero: due locomotive lanciate l’una contro l’altra su un binario unico. Sono l’Unione europea, con il suo braccio armato della Corte di giustizia, e la Polonia, riluttante a dimenticarsi (come spesso accade ad altri membri dell’Unione) di essere un Paese sovrano. Vengono prima le leggi comunitarie o la Costituzione delle singole nazioni? La questione rimane lì, sospesa in un limbo leguleio dove i principi astratti fungono da innocui placebo. Ma quando tocca situazioni concrete, ecco gli attriti, le minacce, le controdeduzioni al curaro. A conferma che l’Europa dei popoli è ancora una pia apparizione scomparente. Niente a che vedere con quella del denaro, oliata con piglio dittatoriale dalla Bce.
L’ultimo episodio di un lungo braccio di ferro risale a ieri, quando i giudici lussemburghesi della Corte Ue hanno stabilito con una sentenza che «la Consulta polacca ha violato diversi principi fondamentali del diritto dell’Unione, non rispettando la giurisprudenza comunitaria». Una dichiarazione di guerra perché i giudici che rispondono a Bruxelles hanno aggiunto in neretto: «la Corte costituzionale polacca non è un giudice imparziale e indipendente», riguardo a presunte irregolarità che avrebbero «viziato» la nomina di tre suoi membri. Una delegittimazione in piena regola della carta fondativa della democrazia di Varsavia che i progressisti europei hanno applaudito con entusiasmo.
La diatriba partì una decina di anni fa quando la Polonia decise di cambiare il sistema di nomina dei giudici della Corte costituzionale, poi di modificare una norma della legge giudiziaria, con la novità del ministro della Giustizia supervisore della Procura generale. Allora, al tempo di Mateusz Morawiecki premier, come Paese sovrano riteneva di averne pieno diritto. Al contrario, per Bruxelles si trattava di un abuso e immediatamente scattò l’accusa di trasformare i tribunali in uno strumento del governo. Di ricorso in ricorso, si è arrivati al conflitto totale, quindi allo stallo armato. Anche oggi, con il turboeuropeista Donald Tusk al governo, lo scenario non muta: per chi ha conosciuto la schiavitù della dittatura, una cessione di sovranità a chicchessia non è mai un piacere e non è mai gratis.
I polacchi non hanno piegato la testa e hanno respinto al mittente le accuse, affidandosi perfino alle parole di Jean Jacques Rousseau che 300 anni fa, nel saggio Considérations sur le gouvernement de Pologne, teorizzava l’importanza dell’amor patrio e del concetto di libertà per recuperare l’indipendenza (dalla Russia zarista, guardacaso). La Corte costituzionale di Varsavia ha dichiarato in due sentenze che alcune norme dei trattati europei sono contrarie alla Carta nazionale, quindi da respingere. Con un’aggiunta incendiaria: «La giurisprudenza della Corte relativa al diritto a una tutela giurisdizionale effettiva è esorbitante dai poteri che le sono stati conferiti». Esorbita, quindi stia al suo posto.
Da qui è nato il ricorso della Commissione Ue ai giudici lussemburghesi per «violazione dei principi fondamentali del diritto dell’Unione». La Corte di giustizia lo ha accolto e ha accusato la Polonia «di non aver rispettato il primato, l’autonomia, l’effettività e l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, nonché l’effetto vincolante delle decisioni della Corte». Poi ha demolito la Corte costituzionale polacca mettendone in dubbio indipendenza e imparzialità. Ora la palla torna alla Polonia, giudicata inadempiente. Secondo la Ue, dovrebbe ricambiare la Costituzione per adeguarla agli standard di Bruxelles, neanche fosse un motore ibrido non sufficientemente green. Pena il warning che porterebbe a pesanti sanzioni pecuniarie e a un congelamento delle risorse economiche destinate a quel Paese.
Si esorbita o non si esorbita? Il conflitto di competenza non riguarda solo Varsavia ma tutti, anche l’Italia. E spiega perché gli spiccioli di sovranità rimasti ai 27 membri dovrebbero essere difesi (per esempio dall’invadenza ricattatoria del Mes). È doveroso chiedersi una volta per tutte: in caso di disputa, è più importante la Carta costituzionale o i trattati europei? Difficile rispondere, mentre si profila un nuovo scontro sulla vicenda dei migranti, degli hub all’estero e sulla definizione di «Paesi di origine sicuri».
Nonostante le pronunce della Commissione Ue e della Corte di giustizia europea che anticipano un via libera di fatto, il giudice italiano Luca Minniti (presidente della sezione Immigrazione di Bologna) ha dichiarato che «sarà sempre un pm a decidere nel merito, le nuove norme sono a rischio incostituzionalità». In questo caso la sinistra si schiera acriticamente contro i giudici lussemburghesi e a favore di quelli italiani, dei quali è spesso succube. Di conseguenza, i polacchi vanno puniti perché non rispettano il primato di Bruxelles, il governo Meloni va punito perché lo rispetta. Titolo consigliato e tratto da una massima di Luciano De Crescenzo: «Eppure è sempre vero anche il contrario».






