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2024-11-05
Giudici e clandestini: è guerra agli italiani
La stazione di Genova Rivarolo. Nel riquadro, un frame dei soccorsi al capotreno accoltellato da due nordafricani
Se pensate che un Paese nel quale i giudici applicano la legge ciascuno a modo suo non sia sicuro, allora potete essere certi che l’Italia non è un Paese sicuro. Sembra un paradosso, anzi lo è, eppure la situazione è esattamente quella che emerge dalle decisioni di vari giudici italiani in merito ai trattenimenti degli immigrati clandestini propedeutici alle procedure di rimpatrio.
Ieri si sono raggiunte nuove vette di creatività nell’applicazione della legge con la decisione del presidente della sezione immigrazione del tribunale di Catania, Massimo Escher, che non ha convalidato , a quanto riferito dall’Ansa, il trattenimento disposto dal questore di Ragusa di cinque migranti che hanno presentato domanda di riconoscimento di protezione internazionale. La decisione, con singoli provvedimenti, ha riguardato tre egiziani e due bengalesi. Egitto e Bangladesh, dunque, per i giudici etnei non sono sicuri, e la sfida al governo è quindi esplicita. Lo scorso 18 ottobre, infatti, la sezione per i diritti della persona e immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato nessuno dei dodici trattenimenti nei confronti di altrettanti migranti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania, provenienti proprio da Bangladesh e Egitto, Paesi che, secondo i giudici, che avevano fatto riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, non potevano essere ritenuti sicuri. Tre giorni dopo, il 21 ottobre, il governo ha approvato un decreto legge con la lista dei Paesi ritenuti sicuri, dove quindi gli immigrati clandestini possono essere rimpatriati: insieme a Egitto e Bangladesh, ci sono Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, , Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Tutto inutile: ieri il tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento di egiziani e bengalesi. Il giudice Escher scrive chiaro e tondo che è necessario, nel valutare il trattenimento, esaminare la qualifica data all’Egitto, con il decreto legge del 23 ottobre 2024, che lo include «in una lista che non prevede alcuna eccezione, né per aree territoriali né per caratteristiche personali», e che questa «qualificazione non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia europea nella sentenza della Gran Camera del 4 ottobre 2024». Inutile dire che per il magistrato di Catania l’Egitto non è sicuro, poiché «esistono gravi violazioni di diritti umani che, in contrasto con il diritto europeo citato, persistono in maniera generale e costante e investono non soltanto ampie e indefinite categorie di persone ma anche il nucleo delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico».
Se l’italiano almeno è ancora una lingua sicura, il giudice di Catania quindi sostiene che siano i magistrati a dover stabilire se un Paese è sicuro o no. Il che pone diversi interrogativi e altrettanti paradossi. Il primo: quali strumenti ha a disposizione un giudice italiano per stabilire la sicurezza di un Paese? Si baserà sui telegiornali locali? Sui libri di storia? Sui racconti degli amici che vi hanno trascorso le vacanze? Non si sa: quello che si sa è che a questo punto potrebbe esserci un altro paradosso, ovvero che l’Egitto (per fare l’esempio più attuale) potrebbe essere considerato sicuro da un giudice di Napoli e non sicuro da un giudice di Firenze. Che succederebbe, a quel punto? Risposta esatta: saremmo nel caos totale. Del resto, la confusione già regna sovrana, considerando che a differenza dei giudici di Catania, quelli di Bologna prima e Roma poi hanno invece rinviato la decisione sui Paesi sicuri alla Corte di Giustizia europea. Dal governo si reagisce con la strategia del bastone e della carota. Il vicepremier Matteo Salvini attacca: «Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi», argomenta Salvini, «il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo!». «L’Egitto è una meta sempre più gettonata per le vacanze», recita una nota della Lega, «tanto che nel 2023 ha segnato un numero record di visitatori: 14,9 milioni, di cui 850.000 dall’Italia. In altre parole, l’Egitto è un Paese sicuro per tutti, tranne che per i clandestini che, secondo alcuni giudici di sinistra, non possono tornarci. Pensare che, per la sinistra e l’Anm, a essere insicura dovrebbe essere l’Italia perché governata dal centrodestra. Eppure, per Pd e toghe rosse i clandestini devono rimanere tutti qui». Vanno giù pesante, con comunicati-fotocopia, decine di parlamentari di centrodestra.
Palazzo Chigi invece diffonde una nota nella quale si fa sapere che «il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricevuto oggi (ieri, ndr) a Palazzo Chigi il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli. La visita si inserisce nell’ambito di una proficua e virtuosa collaborazione, nel rispetto dell’autonomia delle differenti istituzioni». Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, da parte sua afferma che «le operazioni di trasporto di migranti verso l’Albania possono riprendere ed avverranno appena ci saranno le condizioni logistiche di intercetto, di transito di migranti e poi il pre-screening di eventuali persone eleggibili per essere trasferite». Alcuni migranti ieri sono stati imbarcati sulla nave Libra della Marina Militare a sud di Lampedusa. Dopo lo screening a bordo, verranno trasferiti in Albania. La partita a scacchi tra governo e giudici continua, con il «blocco navale» che stavolta è prerogativa dei magistrati.
Capotreno accoltellato da due egiziani
L’accoltellamento di un capotreno a Rivarolo e lo stupro subito da una sedicenne nella sala d’attesa della stazione di Tivoli confermano che le tratte ferroviarie sono ormai in balia dell’immigrazione fuori controllo. La violenza, però, ora è entrata anche in chiesa e una suora, a Roma, è stata brutalmente aggredita. I tre episodi sono avvenuti tutti nelle ultime 48 ore, sollevando allarmanti preoccupazioni sulla sicurezza pubblica.
Ieri, intorno alle 13.30, un capotreno di 44 anni è stato accoltellato da un egiziano di 21 anni, che era in compagnia di una ragazza di 16 anni nata in Italia ma di origini egiziane, su un treno regionale diretto a Busalla mentre stava effettuando il consueto controllo dei biglietti. È in quel momento che lo straniero e la minorenne, alla richiesta di mostrare i titoli di viaggio, hanno risposto con ostilità. Nonostante l’invito a scendere dal treno, i due hanno reagito in modo violento. L’egiziano avrebbe tirato fuori un coltello e colpito il capostazione al fianco sinistro, proprio sotto al petto. L’aggressione ha lasciato i passeggeri sotto choc: alcuni hanno assistito impotenti mentre il capotreno barcollava, sanguinante. È stato immediatamente lanciato l’allarme. I carabinieri, grazie alle descrizioni dettagliate fornite dai testimoni, dopo aver bloccato tutte le vie d’uscita della stazione, sono riusciti a fermare i due aggressori poco dopo. Il capotreno, trasportato in codice rosso all’ospedale Villa Scassi, ha riportato ferite definite come particolarmente gravi. Gli inquirenti stanno valutando per l’accoltellatore la contestazione del reato di tentato omicidio. Sulla tratta il traffico è stato rallentato e sono state disposte diverse cancellazioni. Per oltre due ore il regionale è rimasto a disposizione dell’autorità giudiziaria per gli accertamenti tecnici e scientifici. Oggi, dalle 9 alle 17, il personale ferroviario di Trenitalia, Trenitalia tper, Fs security, Italo ntv e Trenord osserverà uno sciopero di otto ore proclamato dai sindacati di categoria.
Mentre il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha subito commentato: «Nessuna clemenza per i responsabili. Da parte nostra continueremo a fare il massimo per rendere l’Italia più sicura, a partire da treni e stazioni, come dimostra l’estensione del servizio di Fs security. Altro che tolleranza e accoglienza indiscriminata, dopo anni di scelte sbagliate della sinistra e di porti aperti, dobbiamo tornare a regole e buonsenso».
Protagonista un immigrato anche a Tivoli. I fatti risalgono al 2 novembre. La vittima stava attendendo un treno nella sala d’aspetto e si è trovata di fronte un ventiquattrenne senza fissa dimora e senza permesso di soggiorno originario del Bangladesh, che nelle ultime settimane è stato più volte identificato dalle Forze dell’ordine alla stazione Termini di Roma e in altri scali della provincia. Ubriaco, avrebbe approfittato della situazione aggredendo la ragazza in un’area isolata e semibuia della sala d’attesa (dove non c’erano altre persone). Le urla della minorenne hanno attirato l’attenzione di alcune persone che attendevano in auto all’uscita della stazione. Lo straniero si è ritrovato circondato, anche dal personale di sicurezza delle Ferrovie, ed è stato consegnato ai carabinieri. Era in stato confusionale per l’alcol assunto ed è stato portato in caserma, dove poco dopo è scattato l’arresto. La ragazza è stata assistita dai militari e successivamente trasportata in ospedale per gli accertamenti.
Voleva probabilmente impossessarsi delle offerte, invece, il nigeriano che a Roma, in una chiesa di largo Torre Argentina, ha pestato la giovane suora che era presente nel luogo sacro. Mentre stava svolgendo le sue mansioni quotidiane in vista della messa che sarebbe stata celebrata poco dopo, la religiosa ha notato il nigeriano aggirarsi con fare sospetto: cercava di coprirsi il volto con il cappuccio e sollevando il colletto di una felpa. Preoccupata, con modi gentili ha chiesto allo straniero di allontanarsi. Il nigeriano, però, si è subito scagliato contro di lei, colpendola con pugni al volto e schiaffi. La violenza è stata tale che la suora è caduta a terra, mentre i passanti, attirati dalle grida d’aiuto, hanno immediatamente allertato le Forze dell’ordine. Nonostante la brutalità dell’aggressione, la religiosa, trasportata in ospedale per accertamenti, è risultata in buone condizioni generali. L’aggressore è stato arrestato poco dopo dagli agenti della sezione volanti grazie all’identikit fornito dai testimoni. È stato rintracciato e bloccato a poca distanza, in piazza del Monte di Pietà, dove si aggirava come se nulla fosse accaduto. Portato negli uffici del primo distretto di polizia Trevi Campo Marzio, è stato arrestato «perché gravemente indiziato» del reato di lesioni aggravate e portato nelle camere di sicurezza della questura in attesa del rito direttissimo in Tribunale, dopo il quale, ieri mattina, il giudice ha convalidato l’arresto.
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Riduci
Stupri, suora pestata in chiesa, controllore accoltellato in treno: è il bollettino delle «imprese» compiute da stranieri in sole 48 ore. Eppure i magistrati si ostinano a boicottare i rimpatri. Il tribunale di Catania straccia il decreto del governo: «L’Egitto non è Paese sicuro». E anche Roma si rivolge alla Corte europea.Se pensate che un Paese nel quale i giudici applicano la legge ciascuno a modo suo non sia sicuro, allora potete essere certi che l’Italia non è un Paese sicuro. Sembra un paradosso, anzi lo è, eppure la situazione è esattamente quella che emerge dalle decisioni di vari giudici italiani in merito ai trattenimenti degli immigrati clandestini propedeutici alle procedure di rimpatrio. Ieri si sono raggiunte nuove vette di creatività nell’applicazione della legge con la decisione del presidente della sezione immigrazione del tribunale di Catania, Massimo Escher, che non ha convalidato , a quanto riferito dall’Ansa, il trattenimento disposto dal questore di Ragusa di cinque migranti che hanno presentato domanda di riconoscimento di protezione internazionale. La decisione, con singoli provvedimenti, ha riguardato tre egiziani e due bengalesi. Egitto e Bangladesh, dunque, per i giudici etnei non sono sicuri, e la sfida al governo è quindi esplicita. Lo scorso 18 ottobre, infatti, la sezione per i diritti della persona e immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato nessuno dei dodici trattenimenti nei confronti di altrettanti migranti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania, provenienti proprio da Bangladesh e Egitto, Paesi che, secondo i giudici, che avevano fatto riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, non potevano essere ritenuti sicuri. Tre giorni dopo, il 21 ottobre, il governo ha approvato un decreto legge con la lista dei Paesi ritenuti sicuri, dove quindi gli immigrati clandestini possono essere rimpatriati: insieme a Egitto e Bangladesh, ci sono Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, , Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Tutto inutile: ieri il tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento di egiziani e bengalesi. Il giudice Escher scrive chiaro e tondo che è necessario, nel valutare il trattenimento, esaminare la qualifica data all’Egitto, con il decreto legge del 23 ottobre 2024, che lo include «in una lista che non prevede alcuna eccezione, né per aree territoriali né per caratteristiche personali», e che questa «qualificazione non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia europea nella sentenza della Gran Camera del 4 ottobre 2024». Inutile dire che per il magistrato di Catania l’Egitto non è sicuro, poiché «esistono gravi violazioni di diritti umani che, in contrasto con il diritto europeo citato, persistono in maniera generale e costante e investono non soltanto ampie e indefinite categorie di persone ma anche il nucleo delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico». Se l’italiano almeno è ancora una lingua sicura, il giudice di Catania quindi sostiene che siano i magistrati a dover stabilire se un Paese è sicuro o no. Il che pone diversi interrogativi e altrettanti paradossi. Il primo: quali strumenti ha a disposizione un giudice italiano per stabilire la sicurezza di un Paese? Si baserà sui telegiornali locali? Sui libri di storia? Sui racconti degli amici che vi hanno trascorso le vacanze? Non si sa: quello che si sa è che a questo punto potrebbe esserci un altro paradosso, ovvero che l’Egitto (per fare l’esempio più attuale) potrebbe essere considerato sicuro da un giudice di Napoli e non sicuro da un giudice di Firenze. Che succederebbe, a quel punto? Risposta esatta: saremmo nel caos totale. Del resto, la confusione già regna sovrana, considerando che a differenza dei giudici di Catania, quelli di Bologna prima e Roma poi hanno invece rinviato la decisione sui Paesi sicuri alla Corte di Giustizia europea. Dal governo si reagisce con la strategia del bastone e della carota. Il vicepremier Matteo Salvini attacca: «Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi», argomenta Salvini, «il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo!». «L’Egitto è una meta sempre più gettonata per le vacanze», recita una nota della Lega, «tanto che nel 2023 ha segnato un numero record di visitatori: 14,9 milioni, di cui 850.000 dall’Italia. In altre parole, l’Egitto è un Paese sicuro per tutti, tranne che per i clandestini che, secondo alcuni giudici di sinistra, non possono tornarci. Pensare che, per la sinistra e l’Anm, a essere insicura dovrebbe essere l’Italia perché governata dal centrodestra. Eppure, per Pd e toghe rosse i clandestini devono rimanere tutti qui». Vanno giù pesante, con comunicati-fotocopia, decine di parlamentari di centrodestra. Palazzo Chigi invece diffonde una nota nella quale si fa sapere che «il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricevuto oggi (ieri, ndr) a Palazzo Chigi il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli. La visita si inserisce nell’ambito di una proficua e virtuosa collaborazione, nel rispetto dell’autonomia delle differenti istituzioni». Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, da parte sua afferma che «le operazioni di trasporto di migranti verso l’Albania possono riprendere ed avverranno appena ci saranno le condizioni logistiche di intercetto, di transito di migranti e poi il pre-screening di eventuali persone eleggibili per essere trasferite». Alcuni migranti ieri sono stati imbarcati sulla nave Libra della Marina Militare a sud di Lampedusa. Dopo lo screening a bordo, verranno trasferiti in Albania. La partita a scacchi tra governo e giudici continua, con il «blocco navale» che stavolta è prerogativa dei magistrati.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/giudici-e-clandestini-e-guerra-agli-italiani-2669586679.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="capotreno-accoltellato-da-due-egiziani" data-post-id="2669586679" data-published-at="1730759398" data-use-pagination="False"> Capotreno accoltellato da due egiziani L’accoltellamento di un capotreno a Rivarolo e lo stupro subito da una sedicenne nella sala d’attesa della stazione di Tivoli confermano che le tratte ferroviarie sono ormai in balia dell’immigrazione fuori controllo. La violenza, però, ora è entrata anche in chiesa e una suora, a Roma, è stata brutalmente aggredita. I tre episodi sono avvenuti tutti nelle ultime 48 ore, sollevando allarmanti preoccupazioni sulla sicurezza pubblica. Ieri, intorno alle 13.30, un capotreno di 44 anni è stato accoltellato da un egiziano di 21 anni, che era in compagnia di una ragazza di 16 anni nata in Italia ma di origini egiziane, su un treno regionale diretto a Busalla mentre stava effettuando il consueto controllo dei biglietti. È in quel momento che lo straniero e la minorenne, alla richiesta di mostrare i titoli di viaggio, hanno risposto con ostilità. Nonostante l’invito a scendere dal treno, i due hanno reagito in modo violento. L’egiziano avrebbe tirato fuori un coltello e colpito il capostazione al fianco sinistro, proprio sotto al petto. L’aggressione ha lasciato i passeggeri sotto choc: alcuni hanno assistito impotenti mentre il capotreno barcollava, sanguinante. È stato immediatamente lanciato l’allarme. I carabinieri, grazie alle descrizioni dettagliate fornite dai testimoni, dopo aver bloccato tutte le vie d’uscita della stazione, sono riusciti a fermare i due aggressori poco dopo. Il capotreno, trasportato in codice rosso all’ospedale Villa Scassi, ha riportato ferite definite come particolarmente gravi. Gli inquirenti stanno valutando per l’accoltellatore la contestazione del reato di tentato omicidio. Sulla tratta il traffico è stato rallentato e sono state disposte diverse cancellazioni. Per oltre due ore il regionale è rimasto a disposizione dell’autorità giudiziaria per gli accertamenti tecnici e scientifici. Oggi, dalle 9 alle 17, il personale ferroviario di Trenitalia, Trenitalia tper, Fs security, Italo ntv e Trenord osserverà uno sciopero di otto ore proclamato dai sindacati di categoria. Mentre il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha subito commentato: «Nessuna clemenza per i responsabili. Da parte nostra continueremo a fare il massimo per rendere l’Italia più sicura, a partire da treni e stazioni, come dimostra l’estensione del servizio di Fs security. Altro che tolleranza e accoglienza indiscriminata, dopo anni di scelte sbagliate della sinistra e di porti aperti, dobbiamo tornare a regole e buonsenso». Protagonista un immigrato anche a Tivoli. I fatti risalgono al 2 novembre. La vittima stava attendendo un treno nella sala d’aspetto e si è trovata di fronte un ventiquattrenne senza fissa dimora e senza permesso di soggiorno originario del Bangladesh, che nelle ultime settimane è stato più volte identificato dalle Forze dell’ordine alla stazione Termini di Roma e in altri scali della provincia. Ubriaco, avrebbe approfittato della situazione aggredendo la ragazza in un’area isolata e semibuia della sala d’attesa (dove non c’erano altre persone). Le urla della minorenne hanno attirato l’attenzione di alcune persone che attendevano in auto all’uscita della stazione. Lo straniero si è ritrovato circondato, anche dal personale di sicurezza delle Ferrovie, ed è stato consegnato ai carabinieri. Era in stato confusionale per l’alcol assunto ed è stato portato in caserma, dove poco dopo è scattato l’arresto. La ragazza è stata assistita dai militari e successivamente trasportata in ospedale per gli accertamenti. Voleva probabilmente impossessarsi delle offerte, invece, il nigeriano che a Roma, in una chiesa di largo Torre Argentina, ha pestato la giovane suora che era presente nel luogo sacro. Mentre stava svolgendo le sue mansioni quotidiane in vista della messa che sarebbe stata celebrata poco dopo, la religiosa ha notato il nigeriano aggirarsi con fare sospetto: cercava di coprirsi il volto con il cappuccio e sollevando il colletto di una felpa. Preoccupata, con modi gentili ha chiesto allo straniero di allontanarsi. Il nigeriano, però, si è subito scagliato contro di lei, colpendola con pugni al volto e schiaffi. La violenza è stata tale che la suora è caduta a terra, mentre i passanti, attirati dalle grida d’aiuto, hanno immediatamente allertato le Forze dell’ordine. Nonostante la brutalità dell’aggressione, la religiosa, trasportata in ospedale per accertamenti, è risultata in buone condizioni generali. L’aggressore è stato arrestato poco dopo dagli agenti della sezione volanti grazie all’identikit fornito dai testimoni. È stato rintracciato e bloccato a poca distanza, in piazza del Monte di Pietà, dove si aggirava come se nulla fosse accaduto. Portato negli uffici del primo distretto di polizia Trevi Campo Marzio, è stato arrestato «perché gravemente indiziato» del reato di lesioni aggravate e portato nelle camere di sicurezza della questura in attesa del rito direttissimo in Tribunale, dopo il quale, ieri mattina, il giudice ha convalidato l’arresto.
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
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