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2024-11-05
Giudici e clandestini: è guerra agli italiani
La stazione di Genova Rivarolo. Nel riquadro, un frame dei soccorsi al capotreno accoltellato da due nordafricani
Se pensate che un Paese nel quale i giudici applicano la legge ciascuno a modo suo non sia sicuro, allora potete essere certi che l’Italia non è un Paese sicuro. Sembra un paradosso, anzi lo è, eppure la situazione è esattamente quella che emerge dalle decisioni di vari giudici italiani in merito ai trattenimenti degli immigrati clandestini propedeutici alle procedure di rimpatrio.
Ieri si sono raggiunte nuove vette di creatività nell’applicazione della legge con la decisione del presidente della sezione immigrazione del tribunale di Catania, Massimo Escher, che non ha convalidato , a quanto riferito dall’Ansa, il trattenimento disposto dal questore di Ragusa di cinque migranti che hanno presentato domanda di riconoscimento di protezione internazionale. La decisione, con singoli provvedimenti, ha riguardato tre egiziani e due bengalesi. Egitto e Bangladesh, dunque, per i giudici etnei non sono sicuri, e la sfida al governo è quindi esplicita. Lo scorso 18 ottobre, infatti, la sezione per i diritti della persona e immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato nessuno dei dodici trattenimenti nei confronti di altrettanti migranti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania, provenienti proprio da Bangladesh e Egitto, Paesi che, secondo i giudici, che avevano fatto riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, non potevano essere ritenuti sicuri. Tre giorni dopo, il 21 ottobre, il governo ha approvato un decreto legge con la lista dei Paesi ritenuti sicuri, dove quindi gli immigrati clandestini possono essere rimpatriati: insieme a Egitto e Bangladesh, ci sono Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, , Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Tutto inutile: ieri il tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento di egiziani e bengalesi. Il giudice Escher scrive chiaro e tondo che è necessario, nel valutare il trattenimento, esaminare la qualifica data all’Egitto, con il decreto legge del 23 ottobre 2024, che lo include «in una lista che non prevede alcuna eccezione, né per aree territoriali né per caratteristiche personali», e che questa «qualificazione non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia europea nella sentenza della Gran Camera del 4 ottobre 2024». Inutile dire che per il magistrato di Catania l’Egitto non è sicuro, poiché «esistono gravi violazioni di diritti umani che, in contrasto con il diritto europeo citato, persistono in maniera generale e costante e investono non soltanto ampie e indefinite categorie di persone ma anche il nucleo delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico».
Se l’italiano almeno è ancora una lingua sicura, il giudice di Catania quindi sostiene che siano i magistrati a dover stabilire se un Paese è sicuro o no. Il che pone diversi interrogativi e altrettanti paradossi. Il primo: quali strumenti ha a disposizione un giudice italiano per stabilire la sicurezza di un Paese? Si baserà sui telegiornali locali? Sui libri di storia? Sui racconti degli amici che vi hanno trascorso le vacanze? Non si sa: quello che si sa è che a questo punto potrebbe esserci un altro paradosso, ovvero che l’Egitto (per fare l’esempio più attuale) potrebbe essere considerato sicuro da un giudice di Napoli e non sicuro da un giudice di Firenze. Che succederebbe, a quel punto? Risposta esatta: saremmo nel caos totale. Del resto, la confusione già regna sovrana, considerando che a differenza dei giudici di Catania, quelli di Bologna prima e Roma poi hanno invece rinviato la decisione sui Paesi sicuri alla Corte di Giustizia europea. Dal governo si reagisce con la strategia del bastone e della carota. Il vicepremier Matteo Salvini attacca: «Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi», argomenta Salvini, «il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo!». «L’Egitto è una meta sempre più gettonata per le vacanze», recita una nota della Lega, «tanto che nel 2023 ha segnato un numero record di visitatori: 14,9 milioni, di cui 850.000 dall’Italia. In altre parole, l’Egitto è un Paese sicuro per tutti, tranne che per i clandestini che, secondo alcuni giudici di sinistra, non possono tornarci. Pensare che, per la sinistra e l’Anm, a essere insicura dovrebbe essere l’Italia perché governata dal centrodestra. Eppure, per Pd e toghe rosse i clandestini devono rimanere tutti qui». Vanno giù pesante, con comunicati-fotocopia, decine di parlamentari di centrodestra.
Palazzo Chigi invece diffonde una nota nella quale si fa sapere che «il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricevuto oggi (ieri, ndr) a Palazzo Chigi il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli. La visita si inserisce nell’ambito di una proficua e virtuosa collaborazione, nel rispetto dell’autonomia delle differenti istituzioni». Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, da parte sua afferma che «le operazioni di trasporto di migranti verso l’Albania possono riprendere ed avverranno appena ci saranno le condizioni logistiche di intercetto, di transito di migranti e poi il pre-screening di eventuali persone eleggibili per essere trasferite». Alcuni migranti ieri sono stati imbarcati sulla nave Libra della Marina Militare a sud di Lampedusa. Dopo lo screening a bordo, verranno trasferiti in Albania. La partita a scacchi tra governo e giudici continua, con il «blocco navale» che stavolta è prerogativa dei magistrati.
Capotreno accoltellato da due egiziani
L’accoltellamento di un capotreno a Rivarolo e lo stupro subito da una sedicenne nella sala d’attesa della stazione di Tivoli confermano che le tratte ferroviarie sono ormai in balia dell’immigrazione fuori controllo. La violenza, però, ora è entrata anche in chiesa e una suora, a Roma, è stata brutalmente aggredita. I tre episodi sono avvenuti tutti nelle ultime 48 ore, sollevando allarmanti preoccupazioni sulla sicurezza pubblica.
Ieri, intorno alle 13.30, un capotreno di 44 anni è stato accoltellato da un egiziano di 21 anni, che era in compagnia di una ragazza di 16 anni nata in Italia ma di origini egiziane, su un treno regionale diretto a Busalla mentre stava effettuando il consueto controllo dei biglietti. È in quel momento che lo straniero e la minorenne, alla richiesta di mostrare i titoli di viaggio, hanno risposto con ostilità. Nonostante l’invito a scendere dal treno, i due hanno reagito in modo violento. L’egiziano avrebbe tirato fuori un coltello e colpito il capostazione al fianco sinistro, proprio sotto al petto. L’aggressione ha lasciato i passeggeri sotto choc: alcuni hanno assistito impotenti mentre il capotreno barcollava, sanguinante. È stato immediatamente lanciato l’allarme. I carabinieri, grazie alle descrizioni dettagliate fornite dai testimoni, dopo aver bloccato tutte le vie d’uscita della stazione, sono riusciti a fermare i due aggressori poco dopo. Il capotreno, trasportato in codice rosso all’ospedale Villa Scassi, ha riportato ferite definite come particolarmente gravi. Gli inquirenti stanno valutando per l’accoltellatore la contestazione del reato di tentato omicidio. Sulla tratta il traffico è stato rallentato e sono state disposte diverse cancellazioni. Per oltre due ore il regionale è rimasto a disposizione dell’autorità giudiziaria per gli accertamenti tecnici e scientifici. Oggi, dalle 9 alle 17, il personale ferroviario di Trenitalia, Trenitalia tper, Fs security, Italo ntv e Trenord osserverà uno sciopero di otto ore proclamato dai sindacati di categoria.
Mentre il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha subito commentato: «Nessuna clemenza per i responsabili. Da parte nostra continueremo a fare il massimo per rendere l’Italia più sicura, a partire da treni e stazioni, come dimostra l’estensione del servizio di Fs security. Altro che tolleranza e accoglienza indiscriminata, dopo anni di scelte sbagliate della sinistra e di porti aperti, dobbiamo tornare a regole e buonsenso».
Protagonista un immigrato anche a Tivoli. I fatti risalgono al 2 novembre. La vittima stava attendendo un treno nella sala d’aspetto e si è trovata di fronte un ventiquattrenne senza fissa dimora e senza permesso di soggiorno originario del Bangladesh, che nelle ultime settimane è stato più volte identificato dalle Forze dell’ordine alla stazione Termini di Roma e in altri scali della provincia. Ubriaco, avrebbe approfittato della situazione aggredendo la ragazza in un’area isolata e semibuia della sala d’attesa (dove non c’erano altre persone). Le urla della minorenne hanno attirato l’attenzione di alcune persone che attendevano in auto all’uscita della stazione. Lo straniero si è ritrovato circondato, anche dal personale di sicurezza delle Ferrovie, ed è stato consegnato ai carabinieri. Era in stato confusionale per l’alcol assunto ed è stato portato in caserma, dove poco dopo è scattato l’arresto. La ragazza è stata assistita dai militari e successivamente trasportata in ospedale per gli accertamenti.
Voleva probabilmente impossessarsi delle offerte, invece, il nigeriano che a Roma, in una chiesa di largo Torre Argentina, ha pestato la giovane suora che era presente nel luogo sacro. Mentre stava svolgendo le sue mansioni quotidiane in vista della messa che sarebbe stata celebrata poco dopo, la religiosa ha notato il nigeriano aggirarsi con fare sospetto: cercava di coprirsi il volto con il cappuccio e sollevando il colletto di una felpa. Preoccupata, con modi gentili ha chiesto allo straniero di allontanarsi. Il nigeriano, però, si è subito scagliato contro di lei, colpendola con pugni al volto e schiaffi. La violenza è stata tale che la suora è caduta a terra, mentre i passanti, attirati dalle grida d’aiuto, hanno immediatamente allertato le Forze dell’ordine. Nonostante la brutalità dell’aggressione, la religiosa, trasportata in ospedale per accertamenti, è risultata in buone condizioni generali. L’aggressore è stato arrestato poco dopo dagli agenti della sezione volanti grazie all’identikit fornito dai testimoni. È stato rintracciato e bloccato a poca distanza, in piazza del Monte di Pietà, dove si aggirava come se nulla fosse accaduto. Portato negli uffici del primo distretto di polizia Trevi Campo Marzio, è stato arrestato «perché gravemente indiziato» del reato di lesioni aggravate e portato nelle camere di sicurezza della questura in attesa del rito direttissimo in Tribunale, dopo il quale, ieri mattina, il giudice ha convalidato l’arresto.
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Riduci
Stupri, suora pestata in chiesa, controllore accoltellato in treno: è il bollettino delle «imprese» compiute da stranieri in sole 48 ore. Eppure i magistrati si ostinano a boicottare i rimpatri. Il tribunale di Catania straccia il decreto del governo: «L’Egitto non è Paese sicuro». E anche Roma si rivolge alla Corte europea.Se pensate che un Paese nel quale i giudici applicano la legge ciascuno a modo suo non sia sicuro, allora potete essere certi che l’Italia non è un Paese sicuro. Sembra un paradosso, anzi lo è, eppure la situazione è esattamente quella che emerge dalle decisioni di vari giudici italiani in merito ai trattenimenti degli immigrati clandestini propedeutici alle procedure di rimpatrio. Ieri si sono raggiunte nuove vette di creatività nell’applicazione della legge con la decisione del presidente della sezione immigrazione del tribunale di Catania, Massimo Escher, che non ha convalidato , a quanto riferito dall’Ansa, il trattenimento disposto dal questore di Ragusa di cinque migranti che hanno presentato domanda di riconoscimento di protezione internazionale. La decisione, con singoli provvedimenti, ha riguardato tre egiziani e due bengalesi. Egitto e Bangladesh, dunque, per i giudici etnei non sono sicuri, e la sfida al governo è quindi esplicita. Lo scorso 18 ottobre, infatti, la sezione per i diritti della persona e immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato nessuno dei dodici trattenimenti nei confronti di altrettanti migranti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader, in Albania, provenienti proprio da Bangladesh e Egitto, Paesi che, secondo i giudici, che avevano fatto riferimento a una sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, non potevano essere ritenuti sicuri. Tre giorni dopo, il 21 ottobre, il governo ha approvato un decreto legge con la lista dei Paesi ritenuti sicuri, dove quindi gli immigrati clandestini possono essere rimpatriati: insieme a Egitto e Bangladesh, ci sono Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, , Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Tutto inutile: ieri il tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento di egiziani e bengalesi. Il giudice Escher scrive chiaro e tondo che è necessario, nel valutare il trattenimento, esaminare la qualifica data all’Egitto, con il decreto legge del 23 ottobre 2024, che lo include «in una lista che non prevede alcuna eccezione, né per aree territoriali né per caratteristiche personali», e che questa «qualificazione non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia europea nella sentenza della Gran Camera del 4 ottobre 2024». Inutile dire che per il magistrato di Catania l’Egitto non è sicuro, poiché «esistono gravi violazioni di diritti umani che, in contrasto con il diritto europeo citato, persistono in maniera generale e costante e investono non soltanto ampie e indefinite categorie di persone ma anche il nucleo delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico». Se l’italiano almeno è ancora una lingua sicura, il giudice di Catania quindi sostiene che siano i magistrati a dover stabilire se un Paese è sicuro o no. Il che pone diversi interrogativi e altrettanti paradossi. Il primo: quali strumenti ha a disposizione un giudice italiano per stabilire la sicurezza di un Paese? Si baserà sui telegiornali locali? Sui libri di storia? Sui racconti degli amici che vi hanno trascorso le vacanze? Non si sa: quello che si sa è che a questo punto potrebbe esserci un altro paradosso, ovvero che l’Egitto (per fare l’esempio più attuale) potrebbe essere considerato sicuro da un giudice di Napoli e non sicuro da un giudice di Firenze. Che succederebbe, a quel punto? Risposta esatta: saremmo nel caos totale. Del resto, la confusione già regna sovrana, considerando che a differenza dei giudici di Catania, quelli di Bologna prima e Roma poi hanno invece rinviato la decisione sui Paesi sicuri alla Corte di Giustizia europea. Dal governo si reagisce con la strategia del bastone e della carota. Il vicepremier Matteo Salvini attacca: «Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi», argomenta Salvini, «il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo!». «L’Egitto è una meta sempre più gettonata per le vacanze», recita una nota della Lega, «tanto che nel 2023 ha segnato un numero record di visitatori: 14,9 milioni, di cui 850.000 dall’Italia. In altre parole, l’Egitto è un Paese sicuro per tutti, tranne che per i clandestini che, secondo alcuni giudici di sinistra, non possono tornarci. Pensare che, per la sinistra e l’Anm, a essere insicura dovrebbe essere l’Italia perché governata dal centrodestra. Eppure, per Pd e toghe rosse i clandestini devono rimanere tutti qui». Vanno giù pesante, con comunicati-fotocopia, decine di parlamentari di centrodestra. Palazzo Chigi invece diffonde una nota nella quale si fa sapere che «il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricevuto oggi (ieri, ndr) a Palazzo Chigi il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli. La visita si inserisce nell’ambito di una proficua e virtuosa collaborazione, nel rispetto dell’autonomia delle differenti istituzioni». Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, da parte sua afferma che «le operazioni di trasporto di migranti verso l’Albania possono riprendere ed avverranno appena ci saranno le condizioni logistiche di intercetto, di transito di migranti e poi il pre-screening di eventuali persone eleggibili per essere trasferite». Alcuni migranti ieri sono stati imbarcati sulla nave Libra della Marina Militare a sud di Lampedusa. Dopo lo screening a bordo, verranno trasferiti in Albania. La partita a scacchi tra governo e giudici continua, con il «blocco navale» che stavolta è prerogativa dei magistrati.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/giudici-e-clandestini-e-guerra-agli-italiani-2669586679.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="capotreno-accoltellato-da-due-egiziani" data-post-id="2669586679" data-published-at="1730759398" data-use-pagination="False"> Capotreno accoltellato da due egiziani L’accoltellamento di un capotreno a Rivarolo e lo stupro subito da una sedicenne nella sala d’attesa della stazione di Tivoli confermano che le tratte ferroviarie sono ormai in balia dell’immigrazione fuori controllo. La violenza, però, ora è entrata anche in chiesa e una suora, a Roma, è stata brutalmente aggredita. I tre episodi sono avvenuti tutti nelle ultime 48 ore, sollevando allarmanti preoccupazioni sulla sicurezza pubblica. Ieri, intorno alle 13.30, un capotreno di 44 anni è stato accoltellato da un egiziano di 21 anni, che era in compagnia di una ragazza di 16 anni nata in Italia ma di origini egiziane, su un treno regionale diretto a Busalla mentre stava effettuando il consueto controllo dei biglietti. È in quel momento che lo straniero e la minorenne, alla richiesta di mostrare i titoli di viaggio, hanno risposto con ostilità. Nonostante l’invito a scendere dal treno, i due hanno reagito in modo violento. L’egiziano avrebbe tirato fuori un coltello e colpito il capostazione al fianco sinistro, proprio sotto al petto. L’aggressione ha lasciato i passeggeri sotto choc: alcuni hanno assistito impotenti mentre il capotreno barcollava, sanguinante. È stato immediatamente lanciato l’allarme. I carabinieri, grazie alle descrizioni dettagliate fornite dai testimoni, dopo aver bloccato tutte le vie d’uscita della stazione, sono riusciti a fermare i due aggressori poco dopo. Il capotreno, trasportato in codice rosso all’ospedale Villa Scassi, ha riportato ferite definite come particolarmente gravi. Gli inquirenti stanno valutando per l’accoltellatore la contestazione del reato di tentato omicidio. Sulla tratta il traffico è stato rallentato e sono state disposte diverse cancellazioni. Per oltre due ore il regionale è rimasto a disposizione dell’autorità giudiziaria per gli accertamenti tecnici e scientifici. Oggi, dalle 9 alle 17, il personale ferroviario di Trenitalia, Trenitalia tper, Fs security, Italo ntv e Trenord osserverà uno sciopero di otto ore proclamato dai sindacati di categoria. Mentre il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha subito commentato: «Nessuna clemenza per i responsabili. Da parte nostra continueremo a fare il massimo per rendere l’Italia più sicura, a partire da treni e stazioni, come dimostra l’estensione del servizio di Fs security. Altro che tolleranza e accoglienza indiscriminata, dopo anni di scelte sbagliate della sinistra e di porti aperti, dobbiamo tornare a regole e buonsenso». Protagonista un immigrato anche a Tivoli. I fatti risalgono al 2 novembre. La vittima stava attendendo un treno nella sala d’aspetto e si è trovata di fronte un ventiquattrenne senza fissa dimora e senza permesso di soggiorno originario del Bangladesh, che nelle ultime settimane è stato più volte identificato dalle Forze dell’ordine alla stazione Termini di Roma e in altri scali della provincia. Ubriaco, avrebbe approfittato della situazione aggredendo la ragazza in un’area isolata e semibuia della sala d’attesa (dove non c’erano altre persone). Le urla della minorenne hanno attirato l’attenzione di alcune persone che attendevano in auto all’uscita della stazione. Lo straniero si è ritrovato circondato, anche dal personale di sicurezza delle Ferrovie, ed è stato consegnato ai carabinieri. Era in stato confusionale per l’alcol assunto ed è stato portato in caserma, dove poco dopo è scattato l’arresto. La ragazza è stata assistita dai militari e successivamente trasportata in ospedale per gli accertamenti. Voleva probabilmente impossessarsi delle offerte, invece, il nigeriano che a Roma, in una chiesa di largo Torre Argentina, ha pestato la giovane suora che era presente nel luogo sacro. Mentre stava svolgendo le sue mansioni quotidiane in vista della messa che sarebbe stata celebrata poco dopo, la religiosa ha notato il nigeriano aggirarsi con fare sospetto: cercava di coprirsi il volto con il cappuccio e sollevando il colletto di una felpa. Preoccupata, con modi gentili ha chiesto allo straniero di allontanarsi. Il nigeriano, però, si è subito scagliato contro di lei, colpendola con pugni al volto e schiaffi. La violenza è stata tale che la suora è caduta a terra, mentre i passanti, attirati dalle grida d’aiuto, hanno immediatamente allertato le Forze dell’ordine. Nonostante la brutalità dell’aggressione, la religiosa, trasportata in ospedale per accertamenti, è risultata in buone condizioni generali. L’aggressore è stato arrestato poco dopo dagli agenti della sezione volanti grazie all’identikit fornito dai testimoni. È stato rintracciato e bloccato a poca distanza, in piazza del Monte di Pietà, dove si aggirava come se nulla fosse accaduto. Portato negli uffici del primo distretto di polizia Trevi Campo Marzio, è stato arrestato «perché gravemente indiziato» del reato di lesioni aggravate e portato nelle camere di sicurezza della questura in attesa del rito direttissimo in Tribunale, dopo il quale, ieri mattina, il giudice ha convalidato l’arresto.
Nel riquadro, l'attivista Blm Tashella Sheri Amore Dickerson (Ansa)
Tashella Sheri Amore Dickerson, 52 anni, storica leader di Black lives matter a Oklaoma City è stata accusata da un Gran giurì federale di frode telematica e riciclaggio di denaro. Secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Fbi di Oklahoma City e dall’Irs-Criminal Investigation e affidata procuratori aggiunti degli Stati Uniti Matt Dillon e Jessica L. Perry, Dickerson si sarebbe appropriata di oltre 3 milioni di dollari di fondi raccolti e destinati al pagamento delle cauzioni degli attivisti arrestati e li avrebbe investiti in immobili e spesi per vacanze e spese personali. Il 3 dicembre 2025, un Gran giurì federale ha emesso nei confronti dell’attivista un atto d’accusa di 25 capi, di cui 20 di frode telematica e cinque di riciclaggio di denaro. Per ogni accusa di frode telematica, Dickerson rischia fino a 20 anni di carcere federale e una multa fino a 250.000 dollari. Per ogni accusa di riciclaggio di denaro, l’attivista rischia fino a dieci anni di carcere e una multa fino a 250.000 dollari o il doppio dell’importo della proprietà di derivazione penale coinvolta nella transazione. Secondo gli inquirenti, a partire almeno dal 2016, Dickerson è stata direttore esecutivo di Black lives matter Okc (Blmokc). Grazie a quel ruolo Dickerson aveva accesso ai conti bancari, PayPal e Cash App di Blmokc.
L’atto d’accusa, la cui sintesi è stata resa nota dalle autorità federali, sostiene che, sebbene Blmokc non fosse un’organizzazione esente da imposte registrata ai sensi della sezione 501(c)(3) dell’Internal revenue code (la legge tributaria federale americana), accettava donazioni di beneficenza attraverso la sua affiliazione con l’Alliance for global justice (Afgj), con sede in Arizona. L’Afgj fungeva da sponsor fiscale per Blmokc, alla quale imponeva di utilizzare i suoi fondi solo nei limiti consentiti dalla sezione 501(c)(3). L’Afgj richiedeva inoltre a Blmokc di rendere conto, su richiesta, dell’erogazione di tutti i fondi ricevuti e vietava a Blmokc di utilizzare i suoi fondi per acquistare immobili senza il consenso dell’Afgj.
A partire dalla tarda primavera del 2020, Blmokc ha raccolto fondi per sostenere la sua presunta missione di giustizia sociale da donatori online e da fondi nazionali per le cauzioni. In totale, Blmokc ha raccolto oltre 5,6 milioni di dollari, inclusi finanziamenti da fondi nazionali per le cauzioni, tra cui il Community Justice Exchange, il Massachusetts Bail Fund e il Minnesota Freedom Fund. La maggior parte di questi fondi è stata indirizzata a Blmokc tramite Afgj, in qualità di sponsor fiscale.
Secondo l’atto d’accusa, il Blmokc avrebbe dovuto utilizzare queste sovvenzioni del fondo nazionale per le cauzioni per pagare la cauzione preventiva per le persone arrestate in relazione alle proteste per la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd. Quando i fondi per le cauzioni venivano restituiti al Blmokc, i fondi nazionali per le cauzioni talvolta consentivano al Blmokc di trattenere tutto o parte del finanziamento della sovvenzione per istituire un fondo rotativo per le cauzioni, o per la missione di giustizia sociale del Blmokc, come consentito dalla Sezione 501(c)(3).
Nonostante lo scopo dichiarato del denaro raccolto e i termini e le condizioni delle sovvenzioni, l’atto d’accusa sostiene che a partire da giugno 2020 e almeno fino a ottobre 2025, Dickerson si è appropriata di fondi dai conti di Blmokc a proprio vantaggio personale. L’atto d’accusa sostiene che Dickerson abbia depositato almeno 3,15 milioni di dollari in assegni di cauzione restituiti sui suoi conti personali, anziché sui conti di Blmokc. Tra le altre cose, Dickerson avrebbe poi utilizzato questi fondi per pagare: viaggi ricreativi in Giamaica e nella Repubblica Dominicana per sé e i suoi soci; decine di migliaia di dollari in acquisti al dettaglio; almeno 50.000 dollari in consegne di cibo e generi alimentari per sé e i suoi figli; un veicolo personale registrato a suo nome; sei proprietà immobiliari a Oklahoma City intestate a suo nome o a nome di Equity International, Llc, un’entità da lei controllata in esclusiva. L’atto d’accusa sostiene inoltre che Dickerson abbia utilizzato comunicazioni interstatali via cavo per presentare due false relazioni annuali all’Afgj per conto del Blmokc. Dickerson ha dichiarato di aver utilizzato i fondi del Blmokc solo per scopi esenti da imposte. Non ha rivelato di aver utilizzato i fondi per il proprio tornaconto personale.
Tre anni fa una vicenda simile aveva travolto la cofondatrice di Black lives matter Patrisse Cullors, anche lei accusata di aver utilizzato i fondi donati per beneficenza al movimento per pagare incredibili somme di denaro a suo fratello e al padre di suo figlio per vari «servizi». Secondo le ricostruzioni del 2022, Paul Cullors, fratello di Patrisse, ha ricevuto 840.000 dollari sul suo conto corrente per aver presumibilmente fornito servizi di sicurezza al movimento, secondo i documenti fiscali visionati dal New York Post. Nel frattempo, l’organizzazione ha pagato una società di proprietà di Damon Turner, padre del figlio di Patrisse Cullors, quasi 970.000 dollari per aiutare a «produrre eventi dal vivo» e altri «servizi creativi». Notizie che, all’epoca, avevano provocato non pochi malumori, alimentate anche dal fatto che la Cullors si professava marxista e sosteneva di combattere per gli oppressi e le ingiustizie sociali.
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Riduci
Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
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Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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