2024-08-01
Il giudice del Papa indagato per mafia
Giuseppe Pignatone (Imagoeconomica)
L’ex procuratore di Palermo e Roma, capo del Tribunale vaticano, accusato di aver favorito Cosa nostra insabbiando documenti di un fascicolo chiave. Non ha risposto ai pm. Contro di lui vari indizi, tra cui immobili di famiglia comprati da società legate ai boss.Chissà se, quando ha ottenuto la cittadinanza vaticana e il passaporto diplomatico, l’ex procuratore di Roma e attuale presidente del tribunale di papa Francesco immaginava tutto questo. Per anni, sulla sua esperienza di pm a Palermo, era stato detto tutto e il suo contrario. Erano emerse le critiche di Giovanni Falcone e alcune fastidiose accuse di pentiti eccellenti. Ma negli ultimi vent’anni era finito tutto in cavalleria e Giuseppe Pignatone era stato osannato dalle istituzioni e dai media. Per questo, quando ieri è arrivata la notizia del suo interrogatorio a Caltanissetta in un’inchiesta in cui è accusato di aver contribuito a insabbiare un’indagine di mafia, è dilagato lo sconcerto.L’ex capo dei pm capitolini ha ascoltato quasi imperturbabile per circa un’ora e mezza le fonti di prova raccolte contro di lui dai colleghi nisseni. Poi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Salvo buttar lì, prima di alzarsi, la frase subito ripresa da tutti i siti, come se avesse dato le dovute spiegazioni: «E comunque sono innocente».Il reato di favoreggiamento alle cosche è contestato a diversi indagati che si sono occupati di una costola del procedimento mafia e appalti, un filone investigativo avviato dai carabinieri del Ros (sotto la guida degli ufficiali Mario Mori e Giuseppe De Donno) e frettolosamente archiviato, dopo pochi mesi di lavoro. Un fascicolo che svelava anche i rapporti tra la Piovra e le grandi aziende del Nord, in particolare il gruppo Ferruzzi di Raul Gardini.Una saldatura che era avvenuta sotto le Alpi apuane, dove la cosca dei fratelli Buscemi aveva condiviso con il colosso industriale romagnolo la gestione delle cave di marmo.La famiglia dell’ex procuratore di Roma, a partire dal padre Francesco, politico democristiano, all’inizio degli anni Ottanta avrebbe acquistato più di venti immobili, tra appartamenti, locali commerciali, box e cantine, da una società di cui erano soci picciotti del calibro di Vincenzo Piazza, Francesco Bonura e Salvatore Buscemi, fratello del boss Antonino. Di tali compravendite si era già occupata la Procura di Caltanissetta negli anni Novanta. All’epoca, i pm acquisirono le matrici degli assegni consegnate dallo stesso Pignatone, ma non poterono verificare se fossero stati incassati, essendo già andata distrutta la documentazione bancaria, né effettuarono approfondimenti sulla congruità del prezzo convenuto.Ma torniamo alla presunta indagine insabbiata. Sollecitata alla Procura di Palermo dal pm di Massa-Carrara, Augusto Lama, fu chiusa dopo appena 40 giorni di intercettazioni con un numero di target non «sufficiente a garantire un livello di efficienza delle investigazioni» e l’allora sostituto procuratore, Gioacchino Natoli, ordinò «la smagnetizzazione dei nastri relativi alle intercettazioni telefoniche e/o ambientali» con una nota datata 25 giugno 1992. Quindi un mese dopo l’omicidio di Falcone e 24 giorni prima di quello di Paolo Borsellino. La giustificazione ufficiale è che ai tempi la formattazione di quel tipo di dispositivi, costosi e non molto diffusi, fosse la normalità. Ma a contraddire questa versione è un altro particolare contenuto nella richiesta di distruzione: in un secondo momento qualcuno dispose, con aggiunta a penna, pure «la distruzione dei brogliacci», ovvero del riassunto delle intercettazioni, documenti andati effettivamente perduti.Natoli ha negato di essere l’autore dell’appunto e lo stesso ha fatto il cancelliere da lui accusato (per questo l’ex pm è stato iscritto anche per calunnia). Ma probabilmente una consulenza grafologica ha portato i pm sulla pista giusta. Sembra, infatti, che i sospetti siano caduti proprio su Pignatone. Il quale ha deciso di rinviare il momento delle proprie dichiarazioni.La Procura di Caltanissetta, diretta da Salvatore De Luca, nell’invito a comparire a Natoli aveva già riassunto l’ipotesi accusatoria che adesso coinvolge anche l’ex procuratore capitolino.L’allora pm, in concorso con l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco (istigatore del presunto «disegno criminoso») e con l’ex capitano della Guardia di finanza Stefano Screpanti, oggi generale, avrebbe aiutato i boss Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’ex politico dc in odore di mafia Ernesto Di Fresco e i manager del gruppo Ferruzzi Raul Gardini, il «rosso» Lorenzo Panzavolta (collettore di tangenti per i partiti, compreso il Pci) e Giovanni Bini «a eludere le investigazioni delle autorità».La Procura guidata da Giammanco avrebbe volutamente ignorato le accertate infiltrazioni mafiose dei fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, fedeli tirapiedi di Salvatore Riina, nella gestione delle cave di marmo.La contestazione è, dunque, di aver condotto un’indagine solo apparente. Gli accusati non avrebbero fatto trascrivere importanti intercettazioni che, per l’accusa, costituivano vere e proprie notizie di reato e da cui si evinceva la «messa a disposizione» di Di Fresco a favore di Bonura, con tanto di tentativo di «aggiustamento» di un processo per omicidio a carico del boss.Natoli è accusato anche di non aver avviato le indagini su altri due imprenditori «risultati a completa disposizione di Bonura» ma, soprattutto, di aver chiesto l’archiviazione della costola del fascicolo mafia e appalti «senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale» del procedimento parallelo portato avanti dalla Procura di Massa-Carrara. Adesso, più o meno le stesse accuse sono state rivolte a Pignatone.Lui e Guido Lo Forte sono stati titolari sin dall’inizio del procedimento 2811/89 poi confluito nel numero 2789/90 denominato «Mafia e appalti», assegnato sempre a loro due i quali, nel maggio del 1991, chiesero, dopo una clamorosa fuga di notizie, la misura cautelare solo per cinque indagati e depositarono tutti gli atti. Nello stesso anno arrivò da Massa-Carrara il fascicolo sui rapporti dei Buscemi con il gruppo Ferruzzi. Venne così aperto il procedimento 3589/91 che venne, però, assegnato al pm Natoli e alla Guardia di finanza, anziché al Ros di Mori e De Donno.Ascoltato negli uffici del Csm il 30 luglio 1992, Pignatone disse di non essersi più occupato della vicenda mafia e appalti dal novembre del 1991.Quel che è emerso in tempi recenti è che, per indolenza o insubordinazione, l’ordine di distruzione delle bobine non fu mai eseguito e così, dopo che la famiglia Borsellino aveva riacceso un faro su quella vecchia vicenda, la Procura di Caltanissetta, decisa a vederci chiaro, ha recuperato il prezioso materiale.In commissione Antimafia, Natoli ha parlato di 29 bobine, ma in realtà sembra che quelle ritrovate siano molte di più e che il loro contenuto sia tutt’altro che trascurabile. L’ex sostituto procuratore, il 5 luglio scorso, si è presentato a Caltanissetta deciso a difendersi ma quando i colleghi hanno elencato anche a lui le cospicue fonti di prova, comprese le intercettazioni in cui l’indagato contattava i colleghi dell’epoca, ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. La stessa scelta fatta ieri da Pignatone.Ma che cosa si sente in quelle conversazioni? Tentativi di concordare una versione comune o di ricostruire insieme fatti così lontani nel tempo? Al momento non ci sono risposte ufficiali. Si sa solo che un paio di settimane fa è stato convocato pure il generale Stefano Screpanti, il quale, al contrario dei magistrati, ha accettato di rispondere alle domande. L’interrogatorio è durato circa tre ore e l’ufficiale ha anche spiegato agli inquirenti il significato di un appunto, scritto all’inizio dell’indagine, in cui aveva fatto riferimento allo «scetticismo della Procura» e aveva aggiunto che bisognava «fare le investigazioni per evitare polemiche». Un consiglio che sarebbe arrivato proprio da Natoli.All’epoca Screpanti aveva pochi uomini a disposizione e il suggerimento che l’ufficiale avrebbe ricevuto era stato quello di intercettare solo un piccolo campione di utenze.A Caltanissetta sono stati sentiti come persone informate dei fatti altri magistrati che lavoravano nel biennio 1991-1992 alla Procura di Palermo. Tra questi anche Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia.Al momento pare assodato che la Procura di Palermo trascurò le scoperte fatte dai colleghi di Massa-Carrara. I quali avevano accertato che la piccola società di Palermo che aveva acquistato a prezzo vile le concessioni minerarie faceva capo alla famiglia mafiosa dei fratelli Salvatore, Antonino e Giuseppe Buscemi e in parte anche alla famiglia Bonura in particolare a Francesco Bonura, indicati dai collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno, Antonino Calderone e Francesco Marino Mannoia come i reggenti del mandamento mafioso denominato «Passo di Rigano-Uditore» dopo l’eliminazione, ad opera dei corleonesi di Totò Riina, dell’ex capo Salvatore Inzerillo (ucciso l’11 maggio 1981) e dei suoi familiari e sodali.Pentiti ritenuti credibili in molti processi, come Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi, indicarono Pignatone come «canale privilegiato» proprio dei Buscemi.A pagina 145 del decreto di proscioglimento di Pignatone, firmato dal gip di Caltanissetta Gilda Loforti nel febbraio 1999, si legge: «Salvatore Cancemi aveva riferito che in Cosa nostra era “notorio” che il dottor Pignatone “fosse nelle mani” dell’imprenditore Vincenzo Piazza (uomo d’onore del medesimo mandamento di Boccadifalco di cui Salvatore Buscemi era il capo), il quale - secondo il collaborante - aveva persino donato un appartamento al detto magistrato».Brusca, invece, disse ai magistrati: «Il giudice Pignatone ho dichiarato che era vicino ai Buscemi e questo canale se lo tenevano chiuso e Salvatore Riina, quando ha scoperto di questo canale […] dice “Come? Voi avete questo canale e ve lo tenete stretto per voi?” e oltre a questo aggiungeva che loro avevano i contatti con i Gardini, cioè il gruppo Ferruzzi […] cioè era incavolato forte nei confronti dei […] Buscemi e di Angelo La Barbera, perché avevano questi contatti e se li tenevano stretti». Sempre l’assassino di Falcone, dopo aver citato anche un’altra toga, aveva ribadito: «L’altro riferimento era Pignatone per coprire Gardini, per coprire il suo gruppo politico, cioè il suo gruppo di amici. Salvatore Riina ce l’aveva con i Buscemi sotto questo punto di vista…».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.