2023-05-18
Tamponi e mascherine, un’altra presa in «giro»
Dopo l’assurdo ritiro della maglia rosa e la ridicola imposizione del bavaglio, spuntano ciclisti positivi al virus che invece restano in gara. Evviva. Ma la quarantena non è mai stata revocata: vale solo per i cittadini fessi?Via di volata fra tamponi e pasticci. A prima vista la fuga di Remco Evenepoel dal Giro d’Italia non somiglia a quelle dei campioni eroici sul pavé verso Roubaix ma a uno scatto dello struzzo dei cartoni inseguito da Wyle Coyote. Il fuoriclasse belga ha messo la bici sul camion dopo la cronometro di Cesena, ha piegato in valigia la maglia rosa ed è tornato a casa perché positivo al Covid. Come ha rivelato la moglie Oumi «temeva di avere preso un’influenza». Niente di più. Ieri il medico della squadra, Yvan Vanmol, ha ammesso che «adesso Remco sta bene, non ha più il raffreddore». Bastavano i suffumigi. Evenepoel ha voluto andarsene, perché le regole dello sport tornato libero dopo la pandemia non prevedono l’obbligo di comunicare i test antigenici agli organizzatori e alle federazioni, in questo caso all’Unione ciclistica internazionale. Il corridore positivo non è costretto a ritirarsi, la decisione spetta al medico della squadra. Questo libero arbitrio ritrovato ha creato immediatamente un caso. L’altroieri il norvegese Sven Erik Bystroem ha confessato di essere positivo ma di non avere alcuna intenzione di lasciare la corsa. Poiché per l’Oms la pandemia non c’è più e l’Uci non ha protocolli restrittivi, lui pedala verso le Alpi. E lo sottolinea così: «Se avessi avuto la febbre e fossi stato male ci avrei pensato, ma ho solo un po’ di stanchezza. Poi passa. Se tutti dovessero andarsene per un test positivo non ci sarebbero quasi più corridori quando arriveremo a Roma».In un mondo che scivola verso l’ipocondria, con tamponi a raffica a chi è sano come un pesce, quelle di Bystroem sono parole di buon senso. Ma la sua scelta crea un ulteriore corto circuito, anzi la tempesta perfetta. Secondo il protocollo sanitario del ministero della Salute in vigore in Italia, per i positivi al Covid c’è ancora l’obbligo di quarantena per cinque giorni. «I pazienti asintomatici positivi, dopo 5 giorni di isolamento possono tornare all’attività normale senza tampone, ma con la mascherina», ha spiegato Orazio Schillaci illustrando la circolare del 31 dicembre 2022 con le regole d’ingaggio. Valide per tutti i cittadini tranne che per Bystroem e i corridori che, da positivi, decidono comunque di provare a vincere una tappa o addirittura il Giro. Perché non toglierle definitivamente, come accade nel resto del mondo? Il controsenso è evidente e dimostra una volta di più il pasticcio istituzionale con il quale il ministero (prigioniero dei fantasmi lasciati da Roberto Speranza) sta affrontando il dopo Covid. La carovana rosa si barcamena senza certezze. Il ritorno in auge della parola Covid ha terrorizzato l’organizzazione della corsa sponsorizzata dalla Gazzetta dello Sport, che ha deciso di reintrodurre l’obbligo di mascherina in luogo pubblico (per atleti e tifosi), mentre la ventata di paura pandemica sta moltiplicando all’interno delle squadre la pratica dei tamponi anche ai corridori sani, alla ricerca del contagiato come ai tempi cupi dei lockdown. Con un effetto straniante: il luogo dell’eccellenza sportiva diventa un ipotetico ospedale che viaggia per l’Italia, una bolla di pseudo-contagiati che al massimo hanno un raffreddore. In questo contesto da film catastrofico Evenepoel è tornato a casa. Il giovane fenomeno fiammingo (a soli 23 anni ha già vinto due mondiali e la Vuelta) ha comunque deciso di abbandonare la corsa in tutta fretta: «Sono davvero dispiaciuto. Come parte del protocollo del team ho fatto un test di routine, che purtroppo è risultato positivo. Farò il tifo per i miei compagni». Non ne restano molti perché altri quattro ciclisti della Soudal Quick-Step trasformatasi in tamponificio si sono ritirati ieri prima della tappa Camaiore-Tortona (a casa di Fausto Coppi): sono Mattia Cattaneo, Jan Hirt, Josef Cerny e Louis Vervaeke. Loro, dopo altri sei per i sintomi insorgenti del virus, fra i quali il locomotore a cronometro Filippo Ganna. Una volta le grandi corse erano falcidiate dalle cadute, dalle leggendarie follie di chi rischiava la pelle in discesa, dai blitz alla ricerca del doping con le fiale gettate delle finestre. Tempi a loro modo epici, percorsi da un’umanità che cercava il limite, se confrontati con l’ambulatoriale Giro d’Italia di oggi sconvolto dai costipati. Le imprese di Felice Gimondi in solitaria, di Eddy Merchx il cannibale, dei matti in fuga per ore sotto la tempesta, ci parlano di un altro sport, oggi anestetizzato dal «dica trentatrè». Roba da ragionieri che arrancano al Ghisallo con l’aspirina in tasca e la pancera sotto la maglia. Francesco Moser ricorda: «Nel ‘79 avevo la congiuntivite, mi facevano male gli occhi. Ho messo gli occhiali e ho continuato a correre. Il Covid non è quello di tre anni fa». C’è qualcosa di surreale in tutto questo, anche per la prudenza dei medici al seguito, che sembrano usciti dalla scuola di Matteo Bassetti e Massimo Galli. Il dottor Vanmol - quello che ha imposto a mezza Soudal Quick-Step di abbandonare - addossa la colpa agli organizzatori di Urbano Cairo: «Avevamo chiesto di fare le conferenze in videochiamata ma ci hanno detto di no. Non dico che i contagi di Remco e Ganna si sarebbero potuti evitare, ma le possibilità potevano essere ridotte». Dopo l’11ª tappa del Giro Covid è al comando l’inglese Geraint Thomas. Per tenere la maglia rosa dovrà resistere sul monte Bondone e sulle Tre cime di Lavaredo. E non starnutire.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)