2018-07-14
Giovanni XXIII, il primo Papa femminista
Angelo Giuseppe Roncalli fu considerato a suo tempo profetico e innovatore. Nel 1961 tenne un discorso in cui sosteneva che «non distinguere la complementarietà di funzioni di uomo e donna è mettersi contro natura» perché «il mondo ha bisogno di sensibilità materna».Il rapporto tra i sessi, comunque la si pensi, sta diventando o è già diventato uno dei temi inevitabili della politica e del dibattito culturale. L'utero in affitto e le nozze gay sono solo due delle ultime «conquiste sociali» che presentano un legame evidente tra sessualità e politica, ma anche tra politica ed etica.Un celebre testo di teologia, il Dizionario di teologia morale, diretto dal cardinal Francesco Roberti e pubblicato con l'approvazione di Pio XII, parla ripetutamente della questione femminile, della donna moderna e del femminismo. Se «l'emancipazione della donna deve molto al cristianesimo», il femminismo è però «fenomeno tipicamente moderno e non sempre di ispirazione cristiana». Anzi, secondo monsignor Pietro Palazzini, autore della voce, esso risale «alla Rivoluzione francese e alla Déclaration des droits de la femme che Olimpia de Gouges presentò all'Assemblea costituente del 1791».Il Palazzini è ponderato nella lettura del fenomeno e si chiede con una certa retorica: «Che dire di questo movimento? Non si vogliono negare i vantaggi. La condizione della donna è però divenuta migliore? (…). Al punto in cui ci troviamo (gli anni Cinquanta del secolo scorso, ndr), è opportuno giovarsi della presente condizione giuridico-sociale, pur cercando di rimettere in onore la missione della donna nel focolare domestico».Un Papa che fu considerato a suo tempo profetico e innovatore fu senz'altro Giovanni XXIII (1958-1963), il quale in soli cinque anni, e malgrado l'età avanzata, ebbe la ventura di essere chiamato dalla stampa il Papa buono, di convocare e aprire il XXI Concilio ecumenico della cristianità e di iniziare un dialogo politico e religioso a 360 gradi, sia con il mondo marxista-comunista, che protestante e ortodosso.Ma anche papa Giovanni si occupò, ripetutamente, della missione della donna, dei problemi della famiglia e delle richieste femministe, parlandone più volte nei discorsi, nelle encicliche e nelle sue storiche omelie.Per esempio, il 6 settembre 1961 nella residenza pontificia di Castel Gandolfo tenne un discorso ai partecipanti a un convegno promosso dalla Cattolica di Milano, intitolato proprio «La donna e la vita sociale».Il Papa vi lodava l'azione evangelizzatrice dell'Unione donne di Azione cattolica e del Centro femminile italiano, e notava che «il ritmo dinamico dell'evoluzione tecnica e sociale di questi ultimi 50 anni, ha avuto anche quest'effetto, di far uscire la donna dalle pareti domestiche e metterla a diretto contatto con la vita pubblica». Con lo stile volutamente non polemico che lo caratterizzava, il Pontefice aggiunge che non era il caso «di soffermarci a considerare se questo stato di cose corrisponda al vero ideale della donna».Secondo noi, le parole di Roncalli hanno quel buon senso dell'antico curato di campagna (Bernanos), oltre all'ispirazione di chi per missione e mandato è certamente super partes, e insegna senza interessi personali solo ciò che gli pare più giusto per il bene comune dei popoli.Così, «la professione della donna non può prescindere dai caratteri inconfondibili con cui il Creatore ha voluto contrassegnarne la fisionomia. È vero che le condizioni di vita tendono a introdurre praticamente la quasi assoluta parità dell'uomo e della donna. Tuttavia la parità di diritti giustamente proclamata (…), non implica in nessun modo parità di funzioni». Come dire che ci sono lavori tipicamente maschili e impieghi tipicamente femminili, e queste differenze congenite e naturali vanno rispettate e mantenute, non abolite in nome dell'astratto egalitarismo dei lumi e della modernità.Inoltre, prosegue il pontefice, «Il Creatore ha dato alla donna doti, inclinazioni che le sono proprie (…); ciò vuol dire che le sono stati assegnati compiti particolari. Non distinguere bene questa diversità delle rispettive funzioni dell'uomo e della donna, anzi la loro necessaria complementarietà, sarebbe mettersi contro natura». Il femminismo anarchico e (ri)vendicativo, che oggi egemonizza la politica la cultura e perfino la giustizia, nella misura in cui non rispetta le differenze insopprimibili tra i sessi, va esattamente contro la natura. E ciò che va contro natura è violenza e causa di violenza.Non esiste a ben vedere il «diritto a gestire il proprio corpo», fino al punto di sopprimere una vita altrui, e non deve esistere una legge - come la 194 - la quale esclude nel suo articolato stesso, il padre dalle decisioni circa l'avvenire del figlio. Queste violenze legali antimaschili si aggiungono alle altre violenze sociali, ormai arcinote agli specialisti (si veda il testo sintesi di Barbara Benedettelli, 50 sfumature di violenza. Femminicidio e maschicidio in Italia, Cairo, 2017). E debbono essere denunciate, affrontate e bandite al pari che quelle abiette contro le donne, senza però che le si chiami, con termine orwelliano e ideologico, «femminicidi».No, non è più grave uccidere una femmina che un maschio, né la donna viene uccisa da un uomo in quanto donna, come neppure l'uomo viene soppresso (da un altro uomo o da una donna) in quanto membro del sesso maschile.Per il Papa buono, «il fine a cui il Creatore ha voluto ordinare la donna è la maternità». Fine oggi rinnegato e perfino rifiutato per principio dalle neofemministe Childfree, come Cameron Diaz, Asia Argento e altre star.Dio perdona sempre, l'uomo qualche volta, ma la natura mai. Olympia de Gouges fu ghigliottinata dai rivoluzionari in quanto contraria al regicidio di Luigi XVI. La rivoluzione infatti, scalzando ogni moralità, finisce sempre per divorare i suoi figli, e i rivoluzionari di ieri parranno conservatori a quelli di domani, e questo perché non c'è un più un criterio univoco e stabile di giustizia. Se la società contemporanea si sta costruendo sul rifiuto scientifico delle differenze naturali tra i sessi, è complicato non intravvedere conseguenze negative, non solo nelle famiglie, ormai ridotte a unioni sessuali-sentimentali transitorie, ma dappertutto.Nasce da questo assetto antropologico anche la cosiddetta teoria del gender, che si consolida a volte in maestre che mettono lo smalto sulle unghie dei maschietti: se tra i sessi non esiste alcuna differenza, come predica il femminismo ateo, allora bisogna creare il più possibile l'androgino futuro per evitare ogni discriminazione, e far scegliere ai bambini se da grandi vorranno essere la mamma o il papà, o un po' l'uno e po' l'altro. «Anche oggi il mondo ha bisogno di sensibilità materna, per prevenire e dissipare quell'atmosfera di violenza» che lo caratterizza: così concludeva Giovanni XXIII e tutti noi possiamo costatare la profeticità del suo dire.
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