2019-04-05
Giovani piloti al comando degli aerei dopo poche centinaia di ore di volo
Le catastrofi di Lion Air 610 ed Ethiopian 302 rivelano che chi li manovrava non era in grado di gestire le emergenze. Le compagnie spingono sulla formazione rapida per far fronte al bisogno di nuovi equipaggi.Esiste un problema di addestramento dei piloti professionisti. La domanda di migliaia di nuovi equipaggi da parte delle compagnie ha spinto le autorità aeronautiche, e in particolare quella europea Easa, a inventare un modo per mettere nelle cabine di pilotaggio giovani professionisti in tempi brevi. Ma se sul piano nozionistico costoro hanno seguito un programma quasi di tipo universitario, con un percorso standardizzato fatto da 14 esami teorici da superare dopo 650 ore di lezione, che ne fa quasi dei manager, su quello pratico i neofiti possono avere poche centinaia di ore d'esperienza, anche meno di 200, e soprattutto pochissime ore volate da soli su un aeroplano, proprio la condizione che più di altre rende «comandanti» perché implica il dover prendere decisioni per la propria sicurezza prima che su quella altrui. Le catastrofi dei voli Lion Air 610 ed Ethiopian 302 hanno svelato sia problemi tecnici che ora Boeing deve affrettarsi a risolvere, sia problemi di sorveglianza da parte dell'autorità aeronautica americana Faa, ma soprattutto ancora una volta sta emergendo che chi era ai comandi poteva non avere tutta l'esperienza che serviva per gestire emergenze come quelle. Secondo i media specializzati pare che il primo ufficiale del volo etiope avesse meno di 300 ore d'esperienza di volo, troppo poche per gli standard Usa ma sufficienti secondo quelli europei per conseguire per possedere la licenza Mpl (Multicrew pilot lincese) che per la parte pratica si consegue con sole 70 ore di volo da pilota in comando e altre 150 circa al simulatore. Troppo poco per sviluppare la qualità principale di un aviatore, la sua capacità di vivere e governare appieno l'aeroplano, ciò che non si può imparare con la teoria e quello che gli anglosassoni definiscono Airmanship, intraducibile in italiano se non con «aeronauticità».Una lacuna normativa alla quale molti piloti sono spinti da un'altra norma Easa senza senso: l'impossibilità per gli allievi e per i neo piloti non ancora fregiati dal titolo di «commerciale» di accumulare esperienza facendo i più semplici lavori aerei, come il traino degli striscioni o il lancio dei paracadutisti, metodi con i quali le generazioni precedenti hanno accumulato quel migliaio di ore di volo che consente una piena maturità. E anche dal fatto che se prima l'industria del trasporto aereo attingeva da ex piloti militari, ora anche a chi ha passato migliaia di ore su un caccia viene richiesto di rifare percorso ed esami.A prescindere da ciò che le trascrizioni dei registratori di volo riusciranno a svelarci sulle azioni degli equipaggi durante gli ultimi voli del B737 Max 8, resta un fatto ineluttabile scritto anche sui quotidiani Usa nientemeno che da Chelsey Sullenberger, proprio Sully, il comandante del «miracolo sul fiume Hudson», che ha spiegato: «Chiunque abbia a che fare con la vita dei passeggeri e dell'equipaggio stando al posto di pilotaggio di un aereo di linea deve essere armato di conoscenza, abilità, esperienza e giudizio per essere in grado di gestire l'imprevedibile ed essere il padrone assoluto dell'aereo, di tutti i suoi sistemi e della situazione. Un equipaggio di cabina deve essere composto da una squadra di esperti, non da un comandante e da un apprendista. Nelle emergenze estreme, quando non c'è tempo per la discussione o per il comandante di dirigere ogni azione del primo ufficiale, i piloti devono essere in grado di sapere cosa fare per lavorare insieme. Devono essere in grado di collaborare anche senza parlarsi».Certo non una capacità di chi ha soltanto poche centinaia di ore di volo, su pochissimi modelli di aeroplano, che ha trascorso quel tempo principalmente all'interno di un ambiente di addestramento sorvegliato e non nel complesso mondo reale, senza mai dover giocoforza imparare a decidere, a gestire un malfunzionamento o semplicemente vivere almeno per un anno i cambiamenti climatici, tra atterraggi con raffiche di vento e temporali improvvisi. E ancora, volando assistito dall'autopilota per quasi tutta la durata dei voli. Sully spiega: «Le compagnie aeree hanno l'obbligo di non mettere i piloti in quella posizione di grande responsabilità prima che siano completamente pronti. Certo, ancora non sappiamo quale ruolo abbia giocato l'esperienza del copilota nel caso dell'Et 302, ma quell'obbligo dovrebbe sempre essere una priorità assoluta in ogni compagnia aerea». Riguardo al B737 Max 8, dalle indagini condotte sul fronte americano sta emergendo una situazione imbarazzante: secondo Max Siegel del Seattle Times, Boeing nel 2015 doveva certificare i nuovi B737 Max 8 prima che Airbus facesse altrettanto con i concorrenti A320 Neo e per questo i funzionari della Federal aviation administration spinsero i loro manager a delegare le valutazioni di sicurezza alla stessa Boeing e ad approvare rapidamente l'analisi, che però nel caso del sistema incriminato, il sistema Mcas, era descritta in modo lacunoso nel rapporto oggi sotto esame, sempre secondo le fonti che il Seattle Times mantiene riservate. Dai rapporti di collaudo si leggerebbe che durante le prove del sistema Mcas questo sia entrato in funzione con una rapidità quattro volte superiore di quella prevista, e che nei manuali operativi, prima dell'incidente Lion Air 610 non era stato indicato come bloccarlo. Nella valutazione del rischio relativa allo Mcas questo comportamento anomalo era comunque classificato come «pericoloso» e non come «catastrofico»; quindi, secondo le norme di progettazione aeronautica, il sistema non avrebbe dovuto potersi attivare in base a un segnale proveniente da un singolo sensore di bordo (l'AoA, misuratore dell'angolo d'attacco), eppure così sarebbe stato fatto e incredibilmente accettato dalla Faa.Da parte sua Boeing, dopo aver diffuso una lettera di cordoglio e una comunicazione ufficiale sugli interventi tecnici che riguarderanno la flotta mondiale di 737 Max 8 ancora a terra, ha precisato: «La Faa ha considerato la configurazione finale e i parametri operativi dello Mcas durante la certificazione e ha concluso che soddisfaceva tutti i requisiti di certificazione e normativi». Sullenberger ha commentato: «Rischiamo di giocarci la credibilità nazionale».