2024-01-05
Oggi urlano alla «legge bavaglio» ma ieri lustravano le scarpe a Draghi
I giornalisti italiani si indignano a targhe alterne: quelli che hanno disertato la conferenza di Giorgia Meloni sono gli stessi che due anni fa accolsero Supermario con applausi scroscianti al discorso di fine anno.È davvero emozionante notare come i giornalisti italiani abbiano sempre la schiena dritta tranne quando non ce l’hanno. Ieri la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) ha disertato la conferenza stampa di Giorgia Meloni. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, aprendo l’incontro ha sintetizzato le ragioni dell’assenza: «In questa sala ci sono alcuni banchi vuoti: la Fnsi ha inteso disertare per protesta la conferenza. Una protesta che nella sostanza condivido», ha detto. «Ci allarma l’approvazione di un emendamento che rischia di far calare il sipario sull’informazione in materia giudiziaria. Chiediamo di ripensare a fondo la riforma della diffamazione in discussione al Senato, una proposta che non disincentiva in maniera seria le liti temerarie e comprime invece il diritto dei cittadini a un’informazione libera». Dal canto suo, il sindacato ha fatto sapere che «Fnsi e Associazioni regionali di stampa promuoveranno presidi in tutte le regioni, davanti alle prefetture, per riunire la categoria sui temi della dignità della professione, dal contratto alla crisi dell’informazione, e contro ogni censura». Del resto è risaputo che la stampa non gradisca granché l’idea - portata avanti dal governo - di una norma che vieti di pubblicare il testo delle ordinanze di custodia cautelare, tanto che da settimane si parla di «legge bavaglio». La Meloni ha precisato che la legge non scaturisce da una sua iniziativa, ma resta in ogni caso una «norma di equilibrio tra il diritto di informare e il diritto del cittadino prima che sia condannato a non trovare sui giornali particolari che possono ledere la sua dignità». Sull’argomento si potrebbe discutere a lungo, e anche questo giornale ha avanzato diverse perplessità sulle restrizioni volute dal governo. Dunque è assolutamente legittimo che il sindacato protesti e critichi tutto ciò che non gradisce. Il punto è che sarebbe bello, almeno ogni tanto, osservare lo stesso coraggio e la stessa determinazione anche di fronte a governi e istituzioni di segno differente, e non soltanto in circostanze che coinvolgano il centrodestra. Non si tratta - intendiamoci - di prendere le parti dell’attuale esecutivo: semmai si tratta di ricordare che la dignità della professione non può essere difesa a corrente alternata. Ieri alla conferenza meloniana si contava qualche scranno vuoto (non troppi, per la verità). Ma un paio d’anni fa, alla conferenza stampa di fine anno di Mario Draghi, i cronisti c’erano tutti e molti di loro all’ingresso del premier esplosero in uno scrosciante applauso. La categoria che dovrebbe, in teoria, tenere i politici sulla graticola e fungere da argine alle esondazioni del potere si esibì in un raccapricciante spettacolo di servilismo. Che fu giustificato dal segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso: «Questo è un rituale, io credo che in passato gli applausi li abbiano presi anche altri presidenti del Consiglio all’ingresso in sala», disse. «Credo sia stato un applauso di cortesia e di saluto, ed è avvenuto anche negli anni precedenti, e con altri presidenti del Consiglio. Non ci ho visto nulla di eclatante». Curiosamente (e giustamente) nessuno si è sognato di applaudire Giorgia Meloni. Siamo di fronte, insomma, alla consueta esibizione di ipocrisia pelosetta: la coraggiosa stampa italica non si ferma di fronte a nessuno, fatta esclusione per gli amici. Proprio in queste ore assistiamo all’ennesima conferma di tale esecrabile tendenza. Tutti i principali quotidiani si stanno occupando, più o meno superficialmente, del caso del deputato di Fdi Emanuele Pozzolo e del famigerato «sparo di Capodanno». E fanno benissimo, per carità, visto che si tratta di una storia rilevante. Si registrano tuttavia un’attenzione e un’indignazione decisamente minori nei riguardi della incredibile vicenda del giudice Marcello Degni, che sarà pure meno spettacolare me è sicuramente più rilevante dal punto di vista politico. E lo è, beninteso, a prescindere dall’appartenenza politica: se Degni avesse snocciolato le stesse esternazioni sbilanciandosi a destra, la sua posizione sarebbe la medesima. Eppure, guarda un po’, fior di quotidiani sorvolano sulle sue responsabilità, non stanno a fargli le pulci o addirittura ne prendono le difese, da bravi barboncini da borsetta del potere. Questo è solo l’ultimo episodio. A proposito di libertà di stampa potremmo citare innumerevoli sconcezze osservate negli anni dell’emergenza Covid, o potremmo citare gli elenchi di presunti fiancheggiatori di Vladimir Putin pubblicati dopo la deflagrazione del conflitto ucraino. Dov’erano, allora, i giornalisti con la schiena dritta e i paladini del libero pensiero? Oggi insorgono, e fanno anche bene, come no. Ma sembra proprio che ogni scatto d’orgoglio vada compensato da robuste dosi di sonno, da cui gli impavidi intellettuali nostrani vengono colti soprattutto quando le magagne sono progressiste.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
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