2025-03-16
«La Germania sui conti fa quello che le pare»
Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Il ministro dell’Economia Giorgetti: «Fanno tutto da soli. Le regole approvate 6 mesi fa non sono più valide perché i tedeschi hanno deciso di spendere per gli armamenti». E per ottenere il via libera dei Verdi a indebitarsi, Merz si è impegnato ad azzerare le emissioni.L’Unione europea corre alle armi e la Germania corre al debito per armarsi. Le ipocrisie della propaganda europeista vengono in piena luce in questi giorni. «Che improvvisamente si scopra che si devono spendere valangate di miliardi facendo debiti per la difesa è singolare, posto che la guerra in Ucraina c’è da tre anni», ha detto ieri ad Ancona il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’occasione era quella dell’evento della Lega «Tutta un’altra economia, la sfida del valore», nel quadro del percorso di avvicinamento al Congresso Federale del partito.«Allora, la Germania deve riarmarsi. Naturalmente questo a qualcuno dovrebbe in qualche modo... però...», ha proseguito Giorgetti lasciando la frase in sospeso, alludendo al fatto che il riarmo tedesco presenta un profilo storico poco rassicurante. «Quindi adesso il debito non è un problema, e la Von der Leyen rilancia con 800 miliardi. Ora i tedeschi hanno deciso che fanno quel cavolo che gli pare. Siccome non gli va bene a loro adesso, fanno il contrario naturalmente senza aver negoziato a livello europeo nulla», ha affermato il ministro dell’Economia riferendosi al nuovo Patto di stabilità approvato pochi mesi fa, che il nuovo governo tedesco vuole derogare per spese in armamenti. «Le regole europee sono scritte in inglese e pensate in tedesco», continua Giorgetti, «ma non è possibile che noi, che stiamo facendo una fatica tremenda per ridurre l’enorme fardello del nostro debito, adesso troviamo 10-20-30 miliardi per finanziare le armi». «Il ragionamento da fare è il contrario: chiederci di cosa abbiamo bisogno, dove andiamo a spendere e possibilmente, se dobbiamo spendere, che si spenda nell’industria italiana, nelle imprese italiane, creando lavoro e occupazione qua», ha concluso il ministro, che in precedenza aveva anche trovato spazio per un chiarimento di politica interna: «Io avrei litigato con Meloni sulle spese per la Difesa e naturalmente sono tutte balle. Ma se i giornalisti decidono che è così è inutile che smentisci».Giorgetti parla ad una platea amica ma tocca i nervi scoperti dell’Unione europea. Non c’è dubbio che l’ingresso di Donald Trump sulla scena internazionale abbia scosso alle fondamenta l’intera Unione Europea, che oggi si trova messa a forza davanti alle proprie contraddizioni intrinseche. L’Ue ora intende compiere uno sforzo accelerato per armarsi a qualunque costo. L’ennesimo Whatever It takes, mirato questa volta a riempire gli arsenali alla faccia dei settant’anni di pace di cui l’Ue si è sempre dichiarata portatrice. La vicenda tedesca è emblematica della doppiezza che domina a Berlino. Friedrich Merz, il leader della Cdu, il partito uscito con la maggioranza relativa dei voti dalle ultime elezioni di febbraio, sta imbastendo un governo di coalizione con i socialdemocratici della Spd, ignorando il malcontento che ha portato una forza come Alternative für Deutschland al 20% dei consensi popolari in Germania. Merz fa poi convocare il vecchio parlamento prima della partenza della nuova legislatura per far approvare la riforma costituzionale che annacqua le regole tedesche sul freno al debito. Il voto si terrà il 18 marzo con il Bundestag uscente, nel quale la Cdu, la Spd e i Verdi insieme dispongono della necessaria maggioranza dei due terzi per approvare i cambiamenti della costituzione.L’emendamento alle regole sul freno al debito consentirà alla Germania di indebitarsi per spendere in armamenti. A Berlino compaiono poi 500 miliardi di euro per un fondo con cui investire in infrastrutture. Il 20% di questi fondi sarà obbligatoriamente destinato a iniziative green: questo è il prezzo che i Verdi hanno preteso per dare il loro appoggio alla modifica costituzionale sul debito, pur restando fuori dal nuovo governo.Ma non è tutto: la riforma costituzionale tedesca prevede anche l’inserimento nella legge fondamentale dell’impegno al Net Zero. La costituzionalizzazione delle politiche climatiche è molto più pesante rispetto ai 100 miliardi di investimenti, poiché piegherà tutta l’economia alla pretesa di zero emissioni nette, appesantendola, e, chissà, potrebbe aprire a interminabili dispute legali davanti ai tribunali federali.La pretesa di Berlino di ignorare le regole del nuovo Patto di stabilità appena entrato in vigore si sposa perfettamente con la riforma delle regole sul divieto agli aiuti di stato, che è già in preparazione a Bruxelles. Le nuove regole permetteranno ampi interventi degli Stati per sussidiare le imprese nazionali, aiutando soprattutto i paesi che hanno già spazio fiscale. Questo altera il principio della concorrenza e mina alla base uno dei capisaldi della dottrina europeista, la competizione senza distorsioni. Non a caso la Germania anticipa i tempi e si predispone con i propri fondi, magari extra-bilancio.Con la modifica della disciplina europea degli aiuti di stato sarà mors tua vita mea. L’Ue sarà sempre più una tonnara in cui gli Stati si faranno concorrenza ad armi impari, con Bruxelles compiacente. La Commissione sega il totem del mercato unico fingendo di potenziarlo: chi ha spazio fiscale e aggira le regole avrà vita facile.Se si unisce questo aspetto ai continui richiami all’abolizione del principio dell’unanimità, cosa per la quale è sceso in campo anche il padre spirituale del partito democratico, Romano Prodi, si capisce che l’Ue si sta disfacendo dell’ultimo lacerto di pudore e sta svelando la sua natura, quella di un progetto illiberale. Mentre in Italia i dem manifestano per l’Ue, l’Ue ha già tracciato la strada per buggerarli.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)