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2022-05-08
Gilles Villeneuve: quarant'anni fa la morte di una leggenda
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Gilles Villeneuve in gara nel 1979 (Getty Images)
Quando Gilles Villeneuve corse per la prima volta su una monoposto Ferrari, per i tifosi e la stampa internazionale era solo il sostituto del mitico Niki Lauda, che a due gare dalla fine della stagione 1977 e già campione aveva deciso polemicamente di lasciare la scuderia di Maranello. Gilles era un perfetto sconosciuto che si presentava con il blasone più alto davanti ai suoi connazionali, sul circuito di Mosport in Ontario, Canada. Era il 9 ottobre 1977.
Quella prima volta in rosso il trionfo mancò. In una gara funestata da incidenti e guasti fu la trasmissione a tradire Gilles al settantaseiesimo giro. Durante il gran premio successivo, in Giappone, andò anche peggio. La gara fu segnata da un gravissimo incidente innescato proprio da Villeneuve che al sesto giro, dopo aver toccato la Tyrrell a sei ruote di Ronnie Peterson a causa della rottura dei freni decollò piombando in un’area a bordo pista che avrebbe dovuto essere sgombra uccidendo un fotografo e un commissario di gara. Fu l’ultima gara della stagione, e la Ferrari vinse il titolo con Lauda ormai alla Brabham.
Enzo Ferrari lo aveva scelto quasi come a sfidare il tradimento del campione austriaco, su consiglio dell’ex pilota del cavallino Chris Amon che lo aveva seguito nelle vittorie delle formule nordamericane. E prima dei trionfi con le monoposto Villeneuve era stato campione nelle gare di motoslitta, una specialità praticamente sconosciuta ai tifosi italiani della Ferrari. Ma il «Drake» ancora una volta ci aveva visto lungo. Su quel piccolo canadese ancora acerbo per il grande circo della Formula 1 aveva voluto scommettere, affezionandosi sempre più a quella recluta dal viso innocente. Riconfermato per la stagione 1978 al fianco di Carlos Reutemann, Gilles «l’aviatore» (soprannominato così per i frequenti voli durante le corse) affrontò le prime gare inanellando uscite di pista e incidenti. Tanto che Enzo Ferrari si chiese se ancora fosse il caso di puntare su quel temerario sfasciacarrozze che non concludeva una gara ma in compenso faceva lievitare i costi della scuderia Ferrari. Prima del Gp del Belgio, su quel circuito di Zolder che quattro anni più tardi gli sarà fatale, ricevette l’ultimatum: un altro incidente e Gilles sarebbe tornato a casa. Il canadese mantenne la promessa con una gara impeccabile ed emozionante. Arrivò quarto ma tagliò il traguardo, la prima volta di una serie di successi che incollarono milioni di telespettatori nelle domeniche del grande circo aspettando lo spettacolo di genio e follia del canadese volante. La vittoria arrivò, e nel miglior posto possibile per Gilles: il suo Canada, il suo Québec. A Montreal vinse esattamente ad un anno dall’esordio con la rossa di Maranello, il 9 ottobre 1978, dopo essere stato per la maggior parte della gara dietro alla Lotus di Jean-Pierre Jarier il canadese approfittò di un guasto al motore di quest’ultimo tagliando il traguardo da solo. Il mondiale lo vinse proprio la Lotus di Mario Andretti, ma Québec City esplose di gioia e così fecero i ferraristi italiani. L’astro nascente era finalmente nato e l’anno successivo avrebbe corso come spalla del nuovo pilota del cavallino rampante, Jody Scheckter. Gilles festeggiò quel primo podio aprendo non un magnum di champagne, ma una semplice bottiglia di birra. Una canadesissima Labatt, il cui nome campeggiava sopra la visiera del casco dell’«aviatore». Nella conferenza stampa dopo la vittoria, il giovane Gilles omaggiò il Drake e la scuderia per l’ottima vettura messa a sua disposizione in quel campionato del mondo. Era la 312/T3 con propulsore 12 cilindri messa a punto dall’ingegner Mauro Forghieri con i suggerimenti di Gilles. Una macchina prestante ma anche molto difficile da governare, cosa che evidenziò ancora di più le doti del canadese nel farla correre ai limiti, e spesso ben oltre.
Nel mondiale 1979 Villeneuve è confermato alla Ferrari. Il compagno di scuderia Scheckter era un pilota agli antipodi rispetto a Gilles: esperto e prudente, pulito nella guida, mirava ai punti e ad arrivare sempre a tagliare il traguardo. Tra i due il rapporto fu ottimo, con il sudafricano spesso intento a consigliare il giovane compagno che nella prima parte del campionato pagò gli eccessi della sua guida spericolata con rotture e uscite di pista. La sfida del 1979 fu principalmente tra le Ferrari e le Renault di Jean-Pierre Jabouille e René Arnoux, per la prima volta in pista con il motore turbo che rendeva le monoposto francesi più performanti delle aspirate. Il 3 marzo 1979 Scheckter fece quasi tutta la gara in testa sotto una pioggia torrenziale davanti ai suoi tifosi sul circuito di Kyalami in Sudafrica. Jody conosceva alla perfezione il clima del suo Paese e sceglieva di tenere le gomme da asciutto senza fermarsi ai box, sapendo che al termine del rovescio la pista si sarebbe asciugata rapidamente, come effettivamente accadde. Ad un passo dal traguardo però le gomme del sudafricano, consunte al limite, cedettero. Da dietro piombò come un fulmine Gilles Villeneuve e la vittoria fu sua. Il canadese volante o il «pilota di motoslitte» come l’aveva definito sarcasticamente l’ex compagno Carlos Reutemann non si fermò neppure a Long Beach quando centrò nuovamente il trionfo spingendo la Ferrari ai limiti della resistenza. A questo punto Gilles era in testa alla classifica a punti, ma di nuovo quella «follia» impetuosa che si traduceva nel non staccare mai l’acceleratore e nel frenare all’ultimo istante lo portò nuovamente a fare la parte dello «sfasciacarrozze». Alla sfida di Monte Carlo la rossa di Gilles, stremata dalle sollecitazioni del suo pilota nel circuito cittadino, disintegrava il semiasse: gara finita. I tifosi del cavallino però, lungi dal voltare le spalle al pilota che butta i punti per strada, sono esaltati dallo spettacolo che Villeneuve regala ad ogni gran premio, che arrivi al traguardo oppure no. A Digione saranno ampiamente ripagati con quella che ancora oggi è considerata la più emozionante sfida del grande circo della Formula 1: la lotta non era per il primo posto, conquistato senza troppi problemi dalla Renault di Jabouille ma per il secondo e terzo posto sul podio. I protagonisti Villeneuve e René Arnoux con l’altra Renault bianca e gialla. Gli ultimi giri del gran premio di Francia sono una lotta a «sportellate» che si prolunga per diversi giri, con una serie di sorpassi e toccate al limite dell’uscita di pista. Poi l’allungo finale di Gilles che portava la Ferrari ad un secondo posto che per l’emozione regalata ai tifosi valeva una vittoria. A Zandvoort, in Olanda, il canadese ne regalava un altra delle sue: in testa dal primo giro, Gilles soffrì una foratura alla gomma posteriore sinistra. Fermo a bordo pista sembrò per un attimo abbandonare la scena ma un attimo dopo la Ferrari scivolava in retromarcia di nuovo verso la pista, e con il cerchione nudo e le scintille dell’attrito, Gilles guidò su tre ruote fino ai box, dove i meccanici constatarono che nella trance agonistica il canadese volante aveva disintegrato anche una sospensione. Villeneuve si sfogò contro i meccanici (scusandosi subito dopo). Il direttore tecnico Forghieri lo calmò con l’ironia, dicendo che se avesse voluto avrebbe potuto andarsi a cercare una macchina per finire la gara. Questo era Gilles Villeneuve, capace di esaltare le folle e di fare infuriare chi pure lo amava come un figlio come il commendatore Enzo Ferrari. Del resto Villeneuve dimostrerà la propria candida lealtà nella gara di Monza, quando il compagno di scuderia Scheckter aveva ormai in pugno il mondiale. Rispettò fino in fondo le consegne della scuderia, lasciando vincere e proteggendo il sudafricano fino alla fine della gara, terminata con una doppietta rossa che mandò in visibilio i tifosi italiani. La stagione terminò con Villeneuve staccato di soli quattro punti da Scheckter. Un memorabile gesto di sportività suggellò l’amore per l’ormai ex sconosciuto «pilota di motoslitte».
Il 1980 fu l’annus horribilis per le Ferrari e per tutta la Formula 1. La nuova T5 con il motore turbo era piena di difetti e estremamente delicata, difficile da portare intatta fino al termine della gara in una stagione che fu funestata da gravi incidenti, come quello che condannò Clay Regazzoni alla sedia a rotelle e quello che costò la vita a Patrick Depailler, morto durante le prove ai Hockenheim con l’Alfa Romeo in un incidente che causò forti polemiche per la mancata sicurezza della pista. Il mondiale fu vinto da Alan Jones e alla fine della stagione, amareggiato e spaventato dalla carneficina di quell’anno, Jody Scheckter annunciò il suo ritiro definitivo dalle corse. Al suo posto Enzo Ferrari ingaggiò il parigino Didier Pironi, proveniente dalla scuderia Ligier. Pur molto diversi per carattere ed estrazione, i due ferraristi con il mito della velocità divennero buoni amici. All’appuntamento con il circuito cittadino di Monte Carlo Villeneuve riusciva a vincere in una gara dominata dai ritiri. Quando tagliò il traguardo le vetture in gara erano rimaste soltanto sette e la vittoria del canadese parve come un evidente segno di raggiunta maturità agonistica. I fan in visibilio assistettero al prodigio nel successivo Gp del Canada disputato il 27 settembre 1981. Le condizioni meteo e la pista allagata dalla pioggia non spaventarono Gilles, che a casa sua lottò tenacemente pur essendo partito in undicesima posizione. In recupero costante, nel tentativo di doppiare la Lotus di Elio De Angelis Gilles danneggiò l’alettone anteriore che qualche giro dopo si impennò ostruendo quasi totalmente la visuale del canadese. Lungi dal volersi ritirare, Villeneuve portò la rossa in quelle condizioni per tre lunghissimi giri con una potenziale lama di fronte alla testa. Alla fine degli interminabili giri alla cieca che tennero i tifosi di tutto il mondo con il fiato sospeso lo stabilizzatore si staccò, fortunatamente cadendo lateralmente alla vettura. Gilles Villeneuve portò la Ferrari ormai fortemente instabile a tagliare il traguardo in terza posizione. Molti pensarono che quel campione ormai affermato e che era entrato nel mito avesse fatto tesoro del suo «umile» passato sulle motoslitte, dove aveva imparato a guidare ai limiti sotto le bufere di neve con una visibilità prossima allo zero. La stagione si concluse con la vittoria di Nelson Piquet, in una stagione deludente per le rosse che videro Gilles settimo e Pironi solamente tredicesimo.
Nel 1982 la squadra Ferrari fu confermata in una stagione che si caratterizzò subito per il clima di estrema tensione fra le scuderie che ad Imola si concretizzò nello sciopero dei team britannici. Proprio il circuito di San Marino significherà un punto di non ritorno per il canadese, che nelle prime tre gare della stagione sembrò essere entrato in una parabola discendente. Ad Imola Gilles parve avere la possibilità di riscattarsi: ottimo tempo nelle prove (3°) e altrettanto in gara, dove negli ultimi giri staccava tutti assieme all’amico Didier Pironi. Il duetto Ferrari pareva non avere rivali e, con Villeneuve in testa, dai box venne impartito l’ordine di tenere le posizioni e preservare le vetture con l’esposizione del cartello «slow». Fu Pironi per primo a provocare, non rispettando l’ordine di scuderia e passando per la prima volta il canadese, il quale parve stare al gioco del compagno per dare un po’ di spettacolo ad una gara ormai scontata. All’ultimo giro, il colpo di scena: Pironi sorpassava il compagno ormai in vista del traguardo, soffiandogli la vittoria. Gilles infuriato salì sul podio soltanto per non fare torto agli organizzatori sanmarinesi. L’amicizia con Didier era finita, il suo compagno aveva tradito la sua onestà e lo aveva ferito davanti a tutto il mondo. Il canadese sperò in una sua difesa da parte del Drake Ferrari, che non arrivò mai perché al patron del cavallino interessava più la doppietta delle sue monoposto che l’ordine di arrivo. Gilles arrivò all’appuntamento seguente con la voglia di riscattare l’onta subita dall’ex amico. Era l’8 maggio 1982 quando sul circuito di Zolder si disputarono le prove per il Gp del Belgio e Gilles apparve ancora turbato. Alla notizia che l’ormai rivale Pironi aveva fatto meglio, il canadese ripartì per un ultimo giro nel tentativo di abbattere i suoi tempi. Il direttore tecnico Mauro Forghieri lo avvisò dello stato delle gomme ormai al limite della sua Ferrari ma come era nella sua natura, Villeneuve non ascoltò ragioni. Quando mancavano pochi secondi al termine dell’ultimo giro di prova la Ferrari di Villeneuve, in uscita da una curva, si trovò in rotta di collisione con la March del tedesco Jochen Mass che procedeva a velocità ridotta, già in fase di raffreddamento delle gomme prima del rientro ai box. L’impatto fu inevitabile e da un punto di vista dinamico avvenne nella modalità più pericolosa. Il contatto tra la ruota anteriore di Villeneuve e quella posteriore di Mass fece da trampolino alla Ferrari lanciata a 245 km/h, che decollò ripiombando rovinosamente a bordo pista ruotando più volte su sé stessa. Le immagini drammatiche dell’incidente mostrarono Villeneuve nel momento in cui fu proiettato fuori dall’abitacolo assieme al sedile e scagliato in volo attraverso la pista, finendo poi violentemente la parabola contro uno dei paletti metallici delle protezioni di pista. Le sue condizione apparvero subito disperate. Gilles fu raccolto dai soccorsi in arresto cardiocircolatorio a causa della frattura delle vertebre cervicali. Trasportato in elicottero all’ospedale di Lovanio fu raggiunto dalla moglie Joann accompagnata da Pam Scheckter , consorte del grande amico Jody. All’ospedale Gilles fu tenuto in vita artificialmente in una condizione clinica di morte cerebrale. Alle 21:12 Joann diede il consenso allo spegnimento delle apparecchiature. La notizia della morte di Villeneuve lasciò il mondo sotto choc. Il giorno successivo la Ferrari si ritirò dalla gara, con Enzo Ferrari distrutto dal dolore per avere perduto un figlioccio (dopo aver perso realmente un figlio, Dino) e in assoluto silenzio stampa. Il rumore venne soprattutto da fuori, esito della rabbia per la fine di una leggenda della Formula 1 che aveva saputo conquistare i cuori anche senza mai aver vinto un mondiale. Accuse pesanti, in un clima già tesissimo, caddero sugli organizzatori e sull’ex amico Didier Pironi, indicato in diverse occasioni come il responsabile del crollo psicologico di Gilles. Il destino volle che durante quella sfortunata stagione, con l’ombra dell’«aviatore» sempre presente, Pironi lanciato verso il titolo subisse a sua volta un gravissimo incidente per dinamica simile a quello del suo compagno scomparso. Dopo un decollo e una caduta rovinosa in seguito ad un tamponamento ad alta velocità, il pilota Ferrari fu estratto con le gambe maciullate. Salvato in extremis e scongiurata l’amputazione, ne uscì tuttavia con la carriera troncata. Un epoca era finita in pochi gran premi, ma il mito del grande Gilles non tramontò mai. Il suo dna nelle vene del figlio Jacques Villeneuve, un grande campione che crebbe nel motorhome seguendo le trasferte del padre, fu presente quando il cognome Villeneuve venne scritto nell’albo dei campioni mondiali nel 1997 al volante della Williams. Esattamente vent’anni dopo l’esordio in Formula Uno di uno sconosciuto «pilota di motoslitte», che fu «aviatore» e che seppe poi conquistare milioni di tifosi con le sue spettacolari «follie» che lasciavano tutti a bocca aperta.
Per un ulteriore approfondimento su Gilles Villeneuve, un libro ripercorre la parabola sportiva e umana di un campione intramontabile: Gilles Villeneuve: l'uomo, il pilota e la sua leggenda (Luca dal Monte e Umberto Zapelloni - Baldini+Castoldi).
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Il pilota canadese arrivò da sconosciuto in F1, per sostituire il grande Niki Lauda. Conquistò i tifosi con il suo stile di guida spettacolare, che regalò sfide indimenticabili. Enzo Ferrari lo considerava come un figlio. Morì a Zolder, in Belgio, durante le prove.Quando Gilles Villeneuve corse per la prima volta su una monoposto Ferrari, per i tifosi e la stampa internazionale era solo il sostituto del mitico Niki Lauda, che a due gare dalla fine della stagione 1977 e già campione aveva deciso polemicamente di lasciare la scuderia di Maranello. Gilles era un perfetto sconosciuto che si presentava con il blasone più alto davanti ai suoi connazionali, sul circuito di Mosport in Ontario, Canada. Era il 9 ottobre 1977.Quella prima volta in rosso il trionfo mancò. In una gara funestata da incidenti e guasti fu la trasmissione a tradire Gilles al settantaseiesimo giro. Durante il gran premio successivo, in Giappone, andò anche peggio. La gara fu segnata da un gravissimo incidente innescato proprio da Villeneuve che al sesto giro, dopo aver toccato la Tyrrell a sei ruote di Ronnie Peterson a causa della rottura dei freni decollò piombando in un’area a bordo pista che avrebbe dovuto essere sgombra uccidendo un fotografo e un commissario di gara. Fu l’ultima gara della stagione, e la Ferrari vinse il titolo con Lauda ormai alla Brabham. Enzo Ferrari lo aveva scelto quasi come a sfidare il tradimento del campione austriaco, su consiglio dell’ex pilota del cavallino Chris Amon che lo aveva seguito nelle vittorie delle formule nordamericane. E prima dei trionfi con le monoposto Villeneuve era stato campione nelle gare di motoslitta, una specialità praticamente sconosciuta ai tifosi italiani della Ferrari. Ma il «Drake» ancora una volta ci aveva visto lungo. Su quel piccolo canadese ancora acerbo per il grande circo della Formula 1 aveva voluto scommettere, affezionandosi sempre più a quella recluta dal viso innocente. Riconfermato per la stagione 1978 al fianco di Carlos Reutemann, Gilles «l’aviatore» (soprannominato così per i frequenti voli durante le corse) affrontò le prime gare inanellando uscite di pista e incidenti. Tanto che Enzo Ferrari si chiese se ancora fosse il caso di puntare su quel temerario sfasciacarrozze che non concludeva una gara ma in compenso faceva lievitare i costi della scuderia Ferrari. Prima del Gp del Belgio, su quel circuito di Zolder che quattro anni più tardi gli sarà fatale, ricevette l’ultimatum: un altro incidente e Gilles sarebbe tornato a casa. Il canadese mantenne la promessa con una gara impeccabile ed emozionante. Arrivò quarto ma tagliò il traguardo, la prima volta di una serie di successi che incollarono milioni di telespettatori nelle domeniche del grande circo aspettando lo spettacolo di genio e follia del canadese volante. La vittoria arrivò, e nel miglior posto possibile per Gilles: il suo Canada, il suo Québec. A Montreal vinse esattamente ad un anno dall’esordio con la rossa di Maranello, il 9 ottobre 1978, dopo essere stato per la maggior parte della gara dietro alla Lotus di Jean-Pierre Jarier il canadese approfittò di un guasto al motore di quest’ultimo tagliando il traguardo da solo. Il mondiale lo vinse proprio la Lotus di Mario Andretti, ma Québec City esplose di gioia e così fecero i ferraristi italiani. L’astro nascente era finalmente nato e l’anno successivo avrebbe corso come spalla del nuovo pilota del cavallino rampante, Jody Scheckter. Gilles festeggiò quel primo podio aprendo non un magnum di champagne, ma una semplice bottiglia di birra. Una canadesissima Labatt, il cui nome campeggiava sopra la visiera del casco dell’«aviatore». Nella conferenza stampa dopo la vittoria, il giovane Gilles omaggiò il Drake e la scuderia per l’ottima vettura messa a sua disposizione in quel campionato del mondo. Era la 312/T3 con propulsore 12 cilindri messa a punto dall’ingegner Mauro Forghieri con i suggerimenti di Gilles. Una macchina prestante ma anche molto difficile da governare, cosa che evidenziò ancora di più le doti del canadese nel farla correre ai limiti, e spesso ben oltre. Nel mondiale 1979 Villeneuve è confermato alla Ferrari. Il compagno di scuderia Scheckter era un pilota agli antipodi rispetto a Gilles: esperto e prudente, pulito nella guida, mirava ai punti e ad arrivare sempre a tagliare il traguardo. Tra i due il rapporto fu ottimo, con il sudafricano spesso intento a consigliare il giovane compagno che nella prima parte del campionato pagò gli eccessi della sua guida spericolata con rotture e uscite di pista. La sfida del 1979 fu principalmente tra le Ferrari e le Renault di Jean-Pierre Jabouille e René Arnoux, per la prima volta in pista con il motore turbo che rendeva le monoposto francesi più performanti delle aspirate. Il 3 marzo 1979 Scheckter fece quasi tutta la gara in testa sotto una pioggia torrenziale davanti ai suoi tifosi sul circuito di Kyalami in Sudafrica. Jody conosceva alla perfezione il clima del suo Paese e sceglieva di tenere le gomme da asciutto senza fermarsi ai box, sapendo che al termine del rovescio la pista si sarebbe asciugata rapidamente, come effettivamente accadde. Ad un passo dal traguardo però le gomme del sudafricano, consunte al limite, cedettero. Da dietro piombò come un fulmine Gilles Villeneuve e la vittoria fu sua. Il canadese volante o il «pilota di motoslitte» come l’aveva definito sarcasticamente l’ex compagno Carlos Reutemann non si fermò neppure a Long Beach quando centrò nuovamente il trionfo spingendo la Ferrari ai limiti della resistenza. A questo punto Gilles era in testa alla classifica a punti, ma di nuovo quella «follia» impetuosa che si traduceva nel non staccare mai l’acceleratore e nel frenare all’ultimo istante lo portò nuovamente a fare la parte dello «sfasciacarrozze». Alla sfida di Monte Carlo la rossa di Gilles, stremata dalle sollecitazioni del suo pilota nel circuito cittadino, disintegrava il semiasse: gara finita. I tifosi del cavallino però, lungi dal voltare le spalle al pilota che butta i punti per strada, sono esaltati dallo spettacolo che Villeneuve regala ad ogni gran premio, che arrivi al traguardo oppure no. A Digione saranno ampiamente ripagati con quella che ancora oggi è considerata la più emozionante sfida del grande circo della Formula 1: la lotta non era per il primo posto, conquistato senza troppi problemi dalla Renault di Jabouille ma per il secondo e terzo posto sul podio. I protagonisti Villeneuve e René Arnoux con l’altra Renault bianca e gialla. Gli ultimi giri del gran premio di Francia sono una lotta a «sportellate» che si prolunga per diversi giri, con una serie di sorpassi e toccate al limite dell’uscita di pista. Poi l’allungo finale di Gilles che portava la Ferrari ad un secondo posto che per l’emozione regalata ai tifosi valeva una vittoria. A Zandvoort, in Olanda, il canadese ne regalava un altra delle sue: in testa dal primo giro, Gilles soffrì una foratura alla gomma posteriore sinistra. Fermo a bordo pista sembrò per un attimo abbandonare la scena ma un attimo dopo la Ferrari scivolava in retromarcia di nuovo verso la pista, e con il cerchione nudo e le scintille dell’attrito, Gilles guidò su tre ruote fino ai box, dove i meccanici constatarono che nella trance agonistica il canadese volante aveva disintegrato anche una sospensione. Villeneuve si sfogò contro i meccanici (scusandosi subito dopo). Il direttore tecnico Forghieri lo calmò con l’ironia, dicendo che se avesse voluto avrebbe potuto andarsi a cercare una macchina per finire la gara. Questo era Gilles Villeneuve, capace di esaltare le folle e di fare infuriare chi pure lo amava come un figlio come il commendatore Enzo Ferrari. Del resto Villeneuve dimostrerà la propria candida lealtà nella gara di Monza, quando il compagno di scuderia Scheckter aveva ormai in pugno il mondiale. Rispettò fino in fondo le consegne della scuderia, lasciando vincere e proteggendo il sudafricano fino alla fine della gara, terminata con una doppietta rossa che mandò in visibilio i tifosi italiani. La stagione terminò con Villeneuve staccato di soli quattro punti da Scheckter. Un memorabile gesto di sportività suggellò l’amore per l’ormai ex sconosciuto «pilota di motoslitte». Il 1980 fu l’annus horribilis per le Ferrari e per tutta la Formula 1. La nuova T5 con il motore turbo era piena di difetti e estremamente delicata, difficile da portare intatta fino al termine della gara in una stagione che fu funestata da gravi incidenti, come quello che condannò Clay Regazzoni alla sedia a rotelle e quello che costò la vita a Patrick Depailler, morto durante le prove ai Hockenheim con l’Alfa Romeo in un incidente che causò forti polemiche per la mancata sicurezza della pista. Il mondiale fu vinto da Alan Jones e alla fine della stagione, amareggiato e spaventato dalla carneficina di quell’anno, Jody Scheckter annunciò il suo ritiro definitivo dalle corse. Al suo posto Enzo Ferrari ingaggiò il parigino Didier Pironi, proveniente dalla scuderia Ligier. Pur molto diversi per carattere ed estrazione, i due ferraristi con il mito della velocità divennero buoni amici. All’appuntamento con il circuito cittadino di Monte Carlo Villeneuve riusciva a vincere in una gara dominata dai ritiri. Quando tagliò il traguardo le vetture in gara erano rimaste soltanto sette e la vittoria del canadese parve come un evidente segno di raggiunta maturità agonistica. I fan in visibilio assistettero al prodigio nel successivo Gp del Canada disputato il 27 settembre 1981. Le condizioni meteo e la pista allagata dalla pioggia non spaventarono Gilles, che a casa sua lottò tenacemente pur essendo partito in undicesima posizione. In recupero costante, nel tentativo di doppiare la Lotus di Elio De Angelis Gilles danneggiò l’alettone anteriore che qualche giro dopo si impennò ostruendo quasi totalmente la visuale del canadese. Lungi dal volersi ritirare, Villeneuve portò la rossa in quelle condizioni per tre lunghissimi giri con una potenziale lama di fronte alla testa. Alla fine degli interminabili giri alla cieca che tennero i tifosi di tutto il mondo con il fiato sospeso lo stabilizzatore si staccò, fortunatamente cadendo lateralmente alla vettura. Gilles Villeneuve portò la Ferrari ormai fortemente instabile a tagliare il traguardo in terza posizione. Molti pensarono che quel campione ormai affermato e che era entrato nel mito avesse fatto tesoro del suo «umile» passato sulle motoslitte, dove aveva imparato a guidare ai limiti sotto le bufere di neve con una visibilità prossima allo zero. La stagione si concluse con la vittoria di Nelson Piquet, in una stagione deludente per le rosse che videro Gilles settimo e Pironi solamente tredicesimo. Nel 1982 la squadra Ferrari fu confermata in una stagione che si caratterizzò subito per il clima di estrema tensione fra le scuderie che ad Imola si concretizzò nello sciopero dei team britannici. Proprio il circuito di San Marino significherà un punto di non ritorno per il canadese, che nelle prime tre gare della stagione sembrò essere entrato in una parabola discendente. Ad Imola Gilles parve avere la possibilità di riscattarsi: ottimo tempo nelle prove (3°) e altrettanto in gara, dove negli ultimi giri staccava tutti assieme all’amico Didier Pironi. Il duetto Ferrari pareva non avere rivali e, con Villeneuve in testa, dai box venne impartito l’ordine di tenere le posizioni e preservare le vetture con l’esposizione del cartello «slow». Fu Pironi per primo a provocare, non rispettando l’ordine di scuderia e passando per la prima volta il canadese, il quale parve stare al gioco del compagno per dare un po’ di spettacolo ad una gara ormai scontata. All’ultimo giro, il colpo di scena: Pironi sorpassava il compagno ormai in vista del traguardo, soffiandogli la vittoria. Gilles infuriato salì sul podio soltanto per non fare torto agli organizzatori sanmarinesi. L’amicizia con Didier era finita, il suo compagno aveva tradito la sua onestà e lo aveva ferito davanti a tutto il mondo. Il canadese sperò in una sua difesa da parte del Drake Ferrari, che non arrivò mai perché al patron del cavallino interessava più la doppietta delle sue monoposto che l’ordine di arrivo. Gilles arrivò all’appuntamento seguente con la voglia di riscattare l’onta subita dall’ex amico. Era l’8 maggio 1982 quando sul circuito di Zolder si disputarono le prove per il Gp del Belgio e Gilles apparve ancora turbato. Alla notizia che l’ormai rivale Pironi aveva fatto meglio, il canadese ripartì per un ultimo giro nel tentativo di abbattere i suoi tempi. Il direttore tecnico Mauro Forghieri lo avvisò dello stato delle gomme ormai al limite della sua Ferrari ma come era nella sua natura, Villeneuve non ascoltò ragioni. Quando mancavano pochi secondi al termine dell’ultimo giro di prova la Ferrari di Villeneuve, in uscita da una curva, si trovò in rotta di collisione con la March del tedesco Jochen Mass che procedeva a velocità ridotta, già in fase di raffreddamento delle gomme prima del rientro ai box. L’impatto fu inevitabile e da un punto di vista dinamico avvenne nella modalità più pericolosa. Il contatto tra la ruota anteriore di Villeneuve e quella posteriore di Mass fece da trampolino alla Ferrari lanciata a 245 km/h, che decollò ripiombando rovinosamente a bordo pista ruotando più volte su sé stessa. Le immagini drammatiche dell’incidente mostrarono Villeneuve nel momento in cui fu proiettato fuori dall’abitacolo assieme al sedile e scagliato in volo attraverso la pista, finendo poi violentemente la parabola contro uno dei paletti metallici delle protezioni di pista. Le sue condizione apparvero subito disperate. Gilles fu raccolto dai soccorsi in arresto cardiocircolatorio a causa della frattura delle vertebre cervicali. Trasportato in elicottero all’ospedale di Lovanio fu raggiunto dalla moglie Joann accompagnata da Pam Scheckter , consorte del grande amico Jody. All’ospedale Gilles fu tenuto in vita artificialmente in una condizione clinica di morte cerebrale. Alle 21:12 Joann diede il consenso allo spegnimento delle apparecchiature. La notizia della morte di Villeneuve lasciò il mondo sotto choc. Il giorno successivo la Ferrari si ritirò dalla gara, con Enzo Ferrari distrutto dal dolore per avere perduto un figlioccio (dopo aver perso realmente un figlio, Dino) e in assoluto silenzio stampa. Il rumore venne soprattutto da fuori, esito della rabbia per la fine di una leggenda della Formula 1 che aveva saputo conquistare i cuori anche senza mai aver vinto un mondiale. Accuse pesanti, in un clima già tesissimo, caddero sugli organizzatori e sull’ex amico Didier Pironi, indicato in diverse occasioni come il responsabile del crollo psicologico di Gilles. Il destino volle che durante quella sfortunata stagione, con l’ombra dell’«aviatore» sempre presente, Pironi lanciato verso il titolo subisse a sua volta un gravissimo incidente per dinamica simile a quello del suo compagno scomparso. Dopo un decollo e una caduta rovinosa in seguito ad un tamponamento ad alta velocità, il pilota Ferrari fu estratto con le gambe maciullate. Salvato in extremis e scongiurata l’amputazione, ne uscì tuttavia con la carriera troncata. Un epoca era finita in pochi gran premi, ma il mito del grande Gilles non tramontò mai. Il suo dna nelle vene del figlio Jacques Villeneuve, un grande campione che crebbe nel motorhome seguendo le trasferte del padre, fu presente quando il cognome Villeneuve venne scritto nell’albo dei campioni mondiali nel 1997 al volante della Williams. Esattamente vent’anni dopo l’esordio in Formula Uno di uno sconosciuto «pilota di motoslitte», che fu «aviatore» e che seppe poi conquistare milioni di tifosi con le sue spettacolari «follie» che lasciavano tutti a bocca aperta.Per un ulteriore approfondimento su Gilles Villeneuve, un libro ripercorre la parabola sportiva e umana di un campione intramontabile: Gilles Villeneuve: l'uomo, il pilota e la sua leggenda (Luca dal Monte e Umberto Zapelloni - Baldini+Castoldi).
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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