2025-06-22
Giannini scambia i vip rossi per dissidenti
Massimo Giannini (Imagoeconomica)
Per difendere Stefano Massini da una censura che non esiste, l’editorialista di «Repubblica» si lancia in una invettiva furiosa contro i «nuovi Pavolini» di Fdi. E spaccia per martiri Fabio Fazio, Corrado Augias e Roberto Benigni: tutti in onda, ben pagati, qualcuno pure in Rai.In fondo deve essere piacevole vivere nei sobborghi della realtà, nella periferia dell'immaginario in cui i fatti scolorano e le piccole cose di tutti i giorni non hanno peso, perché le si può ignorare o cambiare a piacimento. È in questo giardino segreto che soggiornano gli intellettuali progressisti: un mondo immaginario, tipo quello di Shrek, in cui essi si vedono quali eroi senza macchia e senza paura in lotta contro la destra ferina e demoniaca. Prendiamo Massimo Giannini, biondo Lancillotto lisergico: nell’universo fatato di Repubblica egli può atteggiarsi a maestro del pensiero, e si è costruito un pulpito da cui arringare le folle con veemenza. Ieri, per dire, se la prendeva con «la becera idea di egemonia culturale di questa improbabile Banda Bassotti chiamata Fratelli d’Italia».Secondo Giannini, da quando la banda destrorsa «è entrata nella stanza dei bottoni ha solo un imperativo categorico, che non ha nulla a che vedere con i valori della Res Publica, con la maestà della sua Costituzione e con la dignità delle sue istituzioni: epurare e punire quelli che c’erano prima, occupare e sottomettere tutte le casematte del potere». Giannini ci va giù pesante, sostiene che la cultura dell’attuale destra sia tutta un «epurare e punire», tutta un distruggere e razziare: «È tutta cosa loro, dall’informazione al cinema, dalla Treccani alla Rai», lamenta. Viene quasi da dargli ragione: come si permette questa destra ignorante di aprire bocca sulle istituzioni culturali italiche? Non sanno, gli idioti fascisti, che queste ultime spettano alla sinistra per diritto divino?Giannini è pungente, ironizza su Giuli e La Russa, su Mollicone e persino sull’ex ministro Sangiuliano: lo definisce «l’intellettuale della Magna Grecia che discettava della Times Square di Londra e premiava i libri dello Strega senza averli letti». Sono frasi che colpiscono al cuore. Poi però ci ricordiamo che Giannini è lo stesso che su Repubblica sosteneva che Smirne fosse una città della Grecia e confondeva Catilina con Caligola, e allora la sua satira ne esce un filo depotenziata. In ogni caso, tocca chiedersi perché a Repubblica siano tanto inferociti da qualche giorno a questa parte. Presto detto: il motivo è che questo governo ha toccato un amico di famiglia. Come noto, il ministero della Cultura intende togliere lo status di Teatro nazionale alla Pergola di Firenze, di cui è direttore artistico Stefano Massini, fulgido intellettuale progressista e editorialista di rilievo della stessa Repubblica. Giannini è livido di rabbia: «È veramente da patrioti», scrive, «sparare a zero su Stefano Massini e i tre teatri toscani che dirige, tagliandogli venti punti di qualità per togliergli qualche milione di finanziamento. E pazienza se nel programma i della prossima stagione il pericoloso agit-prop della splendida Trilogia Lehman porterà sul palco Trump, i femminicidi, le guerre, con compagnie nazionali e internazionali. A dimostrare che non merita - quei soldi provvederanno i novelli Pavolini del Collegio Romano. Come l’apposito Gianmarco Mazzi, sottosegretario pupillo di Fazzolari: toccherà a lui eseguire l’ordine».L’intemerata è efficace, come no. Se fosse basata su qualche fatto e non su invenzioni, tuttavia, sarebbe ancora più potente. Come abbiamo spiegato ieri, nessuno intende colpire Massini, verso il quale da destra sono giunti per lo più attestati di stima. Il problema del teatro della Pergola è che perde soldi. E se li perde è colpa di chi lo ha gestito finora. E fra chi lo ha gestito non c’è nessuno che sia ascrivibile alla Banda Bassotti di destra. I politici dem, soprattutto toscani, prima hanno spinto affinché la Pergola ottenesse lo status di teatro nazionale anche se raggiungeva a malapena gli standard richiesti. Poi hanno voluto accorpare tre teatri, tra cui quello di Rifredi che non porta pubblico ma paga alcuni dipendenti anche 7.000 euro al mese. Poi hanno lasciato che il direttore generale Marco Giorgetti e il direttore artistico Massini (il cui incarico per altro non è previsto dallo statuto della fondazione che gestisce i teatri toscani) entrassero in conflitto, fino a che il primo non ha mollato, ottenendo comunque - e giustamente - il pagamento di una bella fetta dei soldi che gli spettavano. Che cosa c’entra la destra con tutto ciò? Assolutamente nulla. I cari democratici hanno fatto tutto da soli: hanno costruito il giocattolo e lo hanno rotto, e adesso frignano incolpando il governo per le loro stupidaggini. Giannini, invece di informarsi sui fatti e biasimare i veri colpevoli, preferisce mistificare per difendere la sua parrocchietta. Ma in fondo è un bene, un po’ perché ci fa molto divertire e un po’ perché dimostra ancora una volta quanto siano settari e in malafede i grandi ingegni progressisti. «Massini è “rosso”, quindi deve pagare», insiste Giannini. «Come Saviano e Scurati, come Augias e Benigni, come Gruber e Fazio. Come tutti i sovversivi e i dissidenti dell’infinita lista dei nemici squadernata magistralmente al Senato da Filippo Sensi. Questa è la destra reale, che gestisce dossier a Palazzo Chigi con lo stesso spirito di vendetta di quando covava rancori a Colle Oppio. Stanno facendo un deserto, e lo chiamano cultura». Davvero meraviglioso. Ci potrebbe spiegare, il Giannini, come stiano pagando Fazio, Augias e la Gruber? Incassando gli assegni di Cairo? Quanto a Benigni, la punizione è stata davvero terribile: un nuovo programma su Rai Uno in autunno. Solo che è una punizione per noi, mica per lui. Nel mondo immaginario di Repubblica, i vip ben pagati e ovunque celebrati sono «dissidenti»; la sinistra - che da anni emargina e censura chiunque non sia fedele alla linea - è «perseguitata»; i privilegiati frignanti del bel mondo culturale che dominano tutti i festival, tutti gli eventi e tutti i canali sono «la resistenza». Ci vuole davvero una fertile fantasia per partorire una realtà parallela di questo genere. E pensare che, nonostante questa strabiliante capacità di creare universi e di immaginare realtà alternative, i nostri eroi progressisti riescono comunque a sfornare film che nessuno vede e a gestire teatri che si svuotano. Viene il dubbio che lo facciano apposta: forse ritengono che il grande pubblico meriti i loro piagnistei ma non la loro arte.
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