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2022-11-05
Berlino tratta da sola e strappa al Dragone il no all’arma nucleare
Olaf Scholz e Xi Jinping (Ansa)
Mentre rafforzano le loro relazioni, Germania e Cina guardano anche alla crisi ucraina. Non a caso, il tema è emerso ieri, durante un incontro a Pechino tra Olaf Scholz e Xi Jinping. In particolare, il cancelliere tedesco ha esortato il presidente cinese a utilizzare «la sua influenza sulla Russia» per far concludere la «guerra di aggressione» contro l’Ucraina. «Questo riguarda la necessità di rispettare i principi della Carta dell’Onu che tutti abbiamo sottoscritto», ha proseguito Scholz. «Si tratta», ha aggiunto, «di principi come quello della sovranità e dell’integrità territoriale, importanti anche per la Cina». Il cancelliere ha inoltre affrontato la questione taiwanese, adottando una posizione fondamentalmente ambigua: da una parte, ha ribadito fedeltà al principio dell’«unica Cina»; dall’altra, ha affermato che «qualsiasi cambiamento dello status quo delle relazioni nello Stretto di Taiwan deve essere pacifico e consensuale».
«Al momento, la situazione internazionale è complessa e mutevole», ha detto Xi al cancelliere, «in quanto potenze influenti, Cina e Germania dovrebbero lavorare insieme in tempi di cambiamento e caos per dare più contributi alla pace e allo sviluppo nel mondo». Il leader cinese ha poi sottolineato che «la Cina sostiene la Germania e l’Ue nello svolgere un ruolo importante nella promozione dei colloqui di pace e nella promozione della costruzione di un quadro di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile». Secondo Xi, la comunità internazionale dovrebbe infine puntare a «creare le condizioni per la ripresa dei negoziati e opporsi congiuntamente all’uso o alla minaccia dell’uso di armi nucleari».
Questa sponda tra il cancelliere tedesco e il presidente cinese è ricca di implicazioni dal punto di vista politico. Innanzitutto non si tratta di una novità. Già Angela Merkel (di cui Scholz è stato vicecancelliere dal marzo 2018) aveva fortemente avvicinato Berlino alla Repubblica popolare (si pensi soltanto al controverso accordo sugli investimenti che, proprio su input tedesco, venne siglato con Pechino dalla Commissione europea nel dicembre del 2020). Non è d’altronde un mistero che la Germania intrattenga stretti legami economici con il Dragone. È in tal senso che, in questo viaggio cinese, nella delegazione di Scholz sono stati inclusi alti dirigenti di alcune importanti aziende tedesche operanti nei più disparati settori: pensiamo solo a Bayer, Biontech, Merck, Adidas, Bmw, Volkswagen, Deutsche Bank e Siemens. Il viaggio del cancelliere viene quindi a inserirsi all’interno di questo quadro strutturale, che evidenzia un deciso consolidamento dei rapporti tra Berlino e la Repubblica popolare.
In secondo luogo, è chiaro che, con questa visita a Xi, Scholz punta (almeno in parte) a sganciarsi dagli Stati Uniti per quanto riguarda la crisi ucraina. Non è un mistero che l’asse franco-tedesco non abbia mai digerito la linea severa, promossa nei mesi scorsi da Regno Unito e Polonia: una linea che, pur con qualche tentennamento e non sempre in modo lineare, è stata alla fine abbracciata anche dall’amministrazione Biden. Ebbene, il fatto che Scholz abbia dedicato grande attenzione al dossier ucraino nell’incontro con Xi evidenzia una sorta di presa di distanza dalla Casa bianca.
Ricordiamo d’altronde che Pechino non ha mai condannato l’invasione russa dell’Ucraina e che, anzi, negli scorsi mesi ha spesso strizzato l’occhio al Cremlino. Il leader cinese ha d’altronde sempre visto nella crisi in corso un modo per scardinare l’ordine internazionale occidentale, rendendo al contempo la Russia sempre più subordinata allo stesso Dragone. Dall’altra parte, è pur vero che, a partire da settembre, qualcosa sembra essersi incrinato. Xi ha espresso preoccupazioni a Putin sull’andamento della guerra e si è mostrato relativamente freddo sull’annessione delle quattro regioni ucraine da parte della Federazione russa. Le sue stesse parole di ieri contro l’uso delle armi nucleari potrebbero essere lette come una sottile bacchettata al Cremlino. Ovviamente non è che Xi si sia improvvisamente convertito alla causa occidentale. È semmai più probabile che sia opportunisticamente impensierito dalle difficoltà che Mosca sta incontrando sul campo.
Come che sia, il viaggio cinese di Scholz è uno schiaffo in piena regola a Joe Biden, inferto, tra l’altro, a pochi giorni dalle elezioni di midterm, in cui i democratici, secondo i sondaggi, rischiano una ben magra performance.
A rendere più rilevante la questione sta il fatto che, come riferito da Abc News, l’attuale cancelliere tedesco è il primo leader europeo a visitare la Cina dall’inizio dell’invasione russa. Non dimentichiamo inoltre che Berlino e Pechino si stanno avvicinando in una fase in cui i rapporti tra gli Usa e la Repubblica popolare sono tesi su vari dossier: da Taiwan all’approvvigionamento di microchip, passando per la violazione dei diritti umani nello Xinjiang. Sotto sotto, Scholz approfitta della debole leadership di Biden, che finora non è stata realmente in grado di consolidare le relazioni transatlantiche. Dall’altra parte però la linea del cancelliere è azzardata. La Merkel rese la Germania e l’Ue troppo dipendenti da Putin (in barba agli avvertimenti di Donald Trump). Scholz rischia di fare altrettanto oggi con Xi. Il pericolo è quello di cadere dalla padella nella brace.
Usa, altri 400 milioni di aiuti militari
Vladimir Putin ha firmato una legge che abolisce il divieto di arruolamento nell’esercito russo dei cittadini che hanno riportato «una condanna non cancellata o in sospeso» per reati considerati «gravi». Il divieto permane «per chi è stato condannato per abusi su minori e per altri reati». Il presidente russo ha anche parlato del conflitto: «Lo scontro con il regime neonazista emerso sul territorio dell’Ucraina era inevitabile, se a febbraio non fossero state intraprese azioni appropriate da parte nostra, sarebbe stato lo stesso, solo da una posizione peggiore per noi». In attesa che dalle carceri arrivino gli uomini al fronte, le forze russe stanno continuando a ritirare alcuni elementi dal Nordovest della Regione di Kherson, dove ieri gli occupanti hanno prima annunciato e poi smentito il coprifuoco.
Importanti novità sono arrivate dall’Aie, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che ha reso noto: «Gli ispettori nucleari non hanno trovato prove di attività nucleari non dichiarate in tre centrali in Ucraina». Sempre difficile la situazione a Kiev, dove da ieri mattina almeno 450.000 case sono senza corrente elettrica. I danni alle strutture che producono e distribuiscono energia sono dovuti alla recrudescenza degli attacchi dell’esercito invasore, che tra il 27 ottobre e il 3 novembre ha utilizzato 68 missili e 30 droni suicidi, secondo il vicecapo del Dipartimento delle operazioni principali dello Stato maggiore delle forze armate ucraine, Oleksii Hromov.
Novità anche sul fronte del grano: il G7, dopo aver chiesto ancora una volta alla Russia di fermare immediatamente la sua guerra di aggressione contro l'Ucraina e di ritirare tutte le sue forze e l’equipaggiamento militare, ha anche esortato Mosca a prolungare l’accordo che consente il passaggio sicuro delle spedizioni di grano dall'Ucraina: lo ha detto un alto funzionario del Dipartimento di Stato americano al G7 Esteri in corso a Munster (Germania). «Tutti hanno concordato sulla necessità di prolungare l’iniziativa sui cereali del Mar Nero», ha affermato il funzionario. E di grano hanno parlato turchi e russi che hanno trovato un accordo per inviarlo gratuitamente ai Paesi che più ne hanno bisogno, in particolare l’Africa. Lo ha annunciato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, all’agenzia Anadolu, affermando di aver parlato di questo direttamente con Putin: «Abbiamo trovato un consenso su come utilizzare maggiormente il corridoio nel mar Nerodove, dove passano le navi che trasportano grano». Una mossa che servirà anche ad aumentare l’influenza turca e russa in Africa.
Mentre il G7 annuncia che aiuterà Kiev a riparare le infrastrutture, non si ferma l’invio di armi da parte degli Stati Uniti. Gli Usa manderanno infatti a Kiev altri 400 milioni di aiuti militari e creeranno un quartier generale in Germania per l’assistenza, la sicurezza e l’addestramento militare per l’Ucraina. Immediato il ringraziamento del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky: «Sono grato al presidente Biden e ai cittadini americani. I veicoli blindati ci aiuteranno a liberare la terra ucraina», ha twittato.
Sullo stesso tema è intervenuto, su Avvenire, il ministro della Difesa, Guido Crosetto: «In una fase così complessa la sola cosa che non possiamo fare è perdere il contatto con i nostri alleati internazionali, l’Ue e l’Alleanza atlantica e dunque c’è un solo modo di muoversi e di decidere: se non cambierà la situazione in Ucraina ci sarà un sesto decreto per un nuovo invio di aiuti militari». Il ministro della Difesa ha poi aggiunto: «Se devo fare una previsione sincera, dico che ci sarà. E sarà giusto e dovuto».
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Olaf Scholz vola a Pechino, chiede a Xi Jinping di fermare Mosca, resta ambiguo su Taiwan e parla di affari: snobbati gli Stati Uniti.Volodymyr Zelensky ringrazia: «Con i blindati libereremo l’Ucraina». Guido Crosetto: «Roma pronta all’invio». Asse russo-turco per regalare il grano all’Africa. Vladimir Putin arruola i carcerati.Lo speciale contiene due articoli.Mentre rafforzano le loro relazioni, Germania e Cina guardano anche alla crisi ucraina. Non a caso, il tema è emerso ieri, durante un incontro a Pechino tra Olaf Scholz e Xi Jinping. In particolare, il cancelliere tedesco ha esortato il presidente cinese a utilizzare «la sua influenza sulla Russia» per far concludere la «guerra di aggressione» contro l’Ucraina. «Questo riguarda la necessità di rispettare i principi della Carta dell’Onu che tutti abbiamo sottoscritto», ha proseguito Scholz. «Si tratta», ha aggiunto, «di principi come quello della sovranità e dell’integrità territoriale, importanti anche per la Cina». Il cancelliere ha inoltre affrontato la questione taiwanese, adottando una posizione fondamentalmente ambigua: da una parte, ha ribadito fedeltà al principio dell’«unica Cina»; dall’altra, ha affermato che «qualsiasi cambiamento dello status quo delle relazioni nello Stretto di Taiwan deve essere pacifico e consensuale». «Al momento, la situazione internazionale è complessa e mutevole», ha detto Xi al cancelliere, «in quanto potenze influenti, Cina e Germania dovrebbero lavorare insieme in tempi di cambiamento e caos per dare più contributi alla pace e allo sviluppo nel mondo». Il leader cinese ha poi sottolineato che «la Cina sostiene la Germania e l’Ue nello svolgere un ruolo importante nella promozione dei colloqui di pace e nella promozione della costruzione di un quadro di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile». Secondo Xi, la comunità internazionale dovrebbe infine puntare a «creare le condizioni per la ripresa dei negoziati e opporsi congiuntamente all’uso o alla minaccia dell’uso di armi nucleari». Questa sponda tra il cancelliere tedesco e il presidente cinese è ricca di implicazioni dal punto di vista politico. Innanzitutto non si tratta di una novità. Già Angela Merkel (di cui Scholz è stato vicecancelliere dal marzo 2018) aveva fortemente avvicinato Berlino alla Repubblica popolare (si pensi soltanto al controverso accordo sugli investimenti che, proprio su input tedesco, venne siglato con Pechino dalla Commissione europea nel dicembre del 2020). Non è d’altronde un mistero che la Germania intrattenga stretti legami economici con il Dragone. È in tal senso che, in questo viaggio cinese, nella delegazione di Scholz sono stati inclusi alti dirigenti di alcune importanti aziende tedesche operanti nei più disparati settori: pensiamo solo a Bayer, Biontech, Merck, Adidas, Bmw, Volkswagen, Deutsche Bank e Siemens. Il viaggio del cancelliere viene quindi a inserirsi all’interno di questo quadro strutturale, che evidenzia un deciso consolidamento dei rapporti tra Berlino e la Repubblica popolare. In secondo luogo, è chiaro che, con questa visita a Xi, Scholz punta (almeno in parte) a sganciarsi dagli Stati Uniti per quanto riguarda la crisi ucraina. Non è un mistero che l’asse franco-tedesco non abbia mai digerito la linea severa, promossa nei mesi scorsi da Regno Unito e Polonia: una linea che, pur con qualche tentennamento e non sempre in modo lineare, è stata alla fine abbracciata anche dall’amministrazione Biden. Ebbene, il fatto che Scholz abbia dedicato grande attenzione al dossier ucraino nell’incontro con Xi evidenzia una sorta di presa di distanza dalla Casa bianca. Ricordiamo d’altronde che Pechino non ha mai condannato l’invasione russa dell’Ucraina e che, anzi, negli scorsi mesi ha spesso strizzato l’occhio al Cremlino. Il leader cinese ha d’altronde sempre visto nella crisi in corso un modo per scardinare l’ordine internazionale occidentale, rendendo al contempo la Russia sempre più subordinata allo stesso Dragone. Dall’altra parte, è pur vero che, a partire da settembre, qualcosa sembra essersi incrinato. Xi ha espresso preoccupazioni a Putin sull’andamento della guerra e si è mostrato relativamente freddo sull’annessione delle quattro regioni ucraine da parte della Federazione russa. Le sue stesse parole di ieri contro l’uso delle armi nucleari potrebbero essere lette come una sottile bacchettata al Cremlino. Ovviamente non è che Xi si sia improvvisamente convertito alla causa occidentale. È semmai più probabile che sia opportunisticamente impensierito dalle difficoltà che Mosca sta incontrando sul campo. Come che sia, il viaggio cinese di Scholz è uno schiaffo in piena regola a Joe Biden, inferto, tra l’altro, a pochi giorni dalle elezioni di midterm, in cui i democratici, secondo i sondaggi, rischiano una ben magra performance. A rendere più rilevante la questione sta il fatto che, come riferito da Abc News, l’attuale cancelliere tedesco è il primo leader europeo a visitare la Cina dall’inizio dell’invasione russa. Non dimentichiamo inoltre che Berlino e Pechino si stanno avvicinando in una fase in cui i rapporti tra gli Usa e la Repubblica popolare sono tesi su vari dossier: da Taiwan all’approvvigionamento di microchip, passando per la violazione dei diritti umani nello Xinjiang. Sotto sotto, Scholz approfitta della debole leadership di Biden, che finora non è stata realmente in grado di consolidare le relazioni transatlantiche. Dall’altra parte però la linea del cancelliere è azzardata. La Merkel rese la Germania e l’Ue troppo dipendenti da Putin (in barba agli avvertimenti di Donald Trump). Scholz rischia di fare altrettanto oggi con Xi. Il pericolo è quello di cadere dalla padella nella brace. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/germania-cina-russia-affari-2658602239.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="usa-altri-400-milioni-di-aiuti-militari" data-post-id="2658602239" data-published-at="1667598132" data-use-pagination="False"> Usa, altri 400 milioni di aiuti militari Vladimir Putin ha firmato una legge che abolisce il divieto di arruolamento nell’esercito russo dei cittadini che hanno riportato «una condanna non cancellata o in sospeso» per reati considerati «gravi». Il divieto permane «per chi è stato condannato per abusi su minori e per altri reati». Il presidente russo ha anche parlato del conflitto: «Lo scontro con il regime neonazista emerso sul territorio dell’Ucraina era inevitabile, se a febbraio non fossero state intraprese azioni appropriate da parte nostra, sarebbe stato lo stesso, solo da una posizione peggiore per noi». In attesa che dalle carceri arrivino gli uomini al fronte, le forze russe stanno continuando a ritirare alcuni elementi dal Nordovest della Regione di Kherson, dove ieri gli occupanti hanno prima annunciato e poi smentito il coprifuoco. Importanti novità sono arrivate dall’Aie, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che ha reso noto: «Gli ispettori nucleari non hanno trovato prove di attività nucleari non dichiarate in tre centrali in Ucraina». Sempre difficile la situazione a Kiev, dove da ieri mattina almeno 450.000 case sono senza corrente elettrica. I danni alle strutture che producono e distribuiscono energia sono dovuti alla recrudescenza degli attacchi dell’esercito invasore, che tra il 27 ottobre e il 3 novembre ha utilizzato 68 missili e 30 droni suicidi, secondo il vicecapo del Dipartimento delle operazioni principali dello Stato maggiore delle forze armate ucraine, Oleksii Hromov. Novità anche sul fronte del grano: il G7, dopo aver chiesto ancora una volta alla Russia di fermare immediatamente la sua guerra di aggressione contro l'Ucraina e di ritirare tutte le sue forze e l’equipaggiamento militare, ha anche esortato Mosca a prolungare l’accordo che consente il passaggio sicuro delle spedizioni di grano dall'Ucraina: lo ha detto un alto funzionario del Dipartimento di Stato americano al G7 Esteri in corso a Munster (Germania). «Tutti hanno concordato sulla necessità di prolungare l’iniziativa sui cereali del Mar Nero», ha affermato il funzionario. E di grano hanno parlato turchi e russi che hanno trovato un accordo per inviarlo gratuitamente ai Paesi che più ne hanno bisogno, in particolare l’Africa. Lo ha annunciato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, all’agenzia Anadolu, affermando di aver parlato di questo direttamente con Putin: «Abbiamo trovato un consenso su come utilizzare maggiormente il corridoio nel mar Nerodove, dove passano le navi che trasportano grano». Una mossa che servirà anche ad aumentare l’influenza turca e russa in Africa. Mentre il G7 annuncia che aiuterà Kiev a riparare le infrastrutture, non si ferma l’invio di armi da parte degli Stati Uniti. Gli Usa manderanno infatti a Kiev altri 400 milioni di aiuti militari e creeranno un quartier generale in Germania per l’assistenza, la sicurezza e l’addestramento militare per l’Ucraina. Immediato il ringraziamento del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky: «Sono grato al presidente Biden e ai cittadini americani. I veicoli blindati ci aiuteranno a liberare la terra ucraina», ha twittato. Sullo stesso tema è intervenuto, su Avvenire, il ministro della Difesa, Guido Crosetto: «In una fase così complessa la sola cosa che non possiamo fare è perdere il contatto con i nostri alleati internazionali, l’Ue e l’Alleanza atlantica e dunque c’è un solo modo di muoversi e di decidere: se non cambierà la situazione in Ucraina ci sarà un sesto decreto per un nuovo invio di aiuti militari». Il ministro della Difesa ha poi aggiunto: «Se devo fare una previsione sincera, dico che ci sarà. E sarà giusto e dovuto».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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