2020-08-19
Genocidio in Vandea una strage negata dalla storia di regime
Vandea:Henri de la Rochejaquelein ( Raphael Gaillarde:Gamma-Rapho via Getty Images)
Non fu un incidente della Rivoluzione ma una scelta politica e per quasi 200 anni la Francia ne ha cancellato la memoria.Ex parlamentareCaro direttore, sto seguendo il «Dizionario di Silvana» e ho letto l'articolo «Due rivoluzioni, un genocidio. Dei cristiani», nel quale si cita molto di passaggio quello vandeano. Mi permetto perciò proporle un mio contributo tratto dal libro Rivoluzioni e dintorni (Editoriale Pantheon), su quella che fu, oltre che un genocidio, una vera e propria epopea di quel popolo. È il marzo 1793. Sul territorio che si estende tra la Loira e Saint-Nazaire, tra Les Ponts-de Ce e Parthenay e Saint-Gilles-Croix de Vie arriva la notizia che a Parigi è stata votata la legge Jourdan. Il provvedimento, che impone l'arruolamento forzato di 300.000 uomini per far fronte alla guerra sciagurata dichiarata il 20 aprile di un anno prima dal governo giacobino al re di Boemia e d'Ungheria, sconvolge la vita degli abitanti di quella che successivamente sarà chiamata la Vandea militare.Il 6 marzo tutte le chiese e le cappelle vengono chiuse dai sacerdoti refrattari (che cioè non si erano sottoposti al giuramento repubblicano), il 7 e 8 marzo la notizia del reclutamento generale si diffonde e ovunque si verificano assembramenti e i primi incidenti. Le campane di tutte le parrocchie vandeane suonano a martello: la guerra è ormai iniziata. I vandeani non hanno altra scelta: o arruolarsi sotto le bandiere repubblicane o ribellarsi e prendere le armi contro il governo centrale.La scelta è automatica e spontanea, ma anche legittima e legale perché la stessa Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino prevede che «quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione è per il popolo e per ogni parte del popolo, il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri». Scoppia così la guerra di Vandea, che covava da tempo, cioè almeno dal 12 luglio 1790, data del varo della cosiddetta Costituzione civile del clero e che dovrà durare fino al 21 dicembre 1793 come guerra guerreggiata. Dopo, e per lunghi anni, sarà ancora sterminio programmato e violenze indiscriminate.Quei primi fuochi di rivolta ben presto infiammeranno tutto il resto della Francia e non solamente i 10.000 chilometri quadrati vandeani: a Caen e Bordeaux vengono dichiarati governi indipendenti, Tolone si consegna agli inglesi, Lione erige barricate e si isola dal resto del Paese controllato dai repubblicani, che restano ormai vincenti solamente in una trentina di dipartimenti. Quegli avvenimenti diedero luogo a una delle pagine più eroiche ed esaltanti della storia della Controrivoluzione legittimista e cattolica di tutti i tempi. Un'epoca che da allora ha rappresentato un esempio e un ideale da esaltare e imitare da parte di tutti coloro che si richiamano ai valori eterni della Tradizione. Eppure, fino a qualche anno fa quei fatti erano stati avvolti dalla nebbia più profonda della menzogna della storiografia ufficiale di stampo illuministico e progressista.«La Vandea», scrive Pierre Chaunu che è membro dell'Istitut de France, «è un luogo tradito dalla memoria della Francia». Da poco tempo, però, e precisamente dal 21 settembre 1985 è entrata alla Sorbona dalla porta principale. Da Aulard fino ad Albert Saboul passando per Albert Mathiez e George Lefevre questa era una pagina del tutto dimenticata. La Vandea apparteneva alla storia non ufficiale dei dilettanti di talento, da Pierre Gaxotte a J.F. Chiappe e ultimamente all'eccellente trilogia di Elie Fournier, Ouragan sur la Vendée, La terreur bleu, Turreau et les colonnes infernales. L'ostracismo veniva da lontano e Michelet aveva dettato legge in Francia e all'estero, al punto di classificare gli annegamenti nella Loira di donne e bambini vandeani come casi di «filantropica eutanasia», giustificandone lo sterminio, poiché non era stato possibile convertirli «democraticamente» al Giusto, al Bene e al Bello della Rivoluzione. I democratici giacobini si comportarono con i vandeani così come a distanza di decenni avrebbero agito i criminali dei campi di concentramento e dei gulag, ma nessuno se ne ricordava e nessuno riusciva nemmeno a intravedere nello sterminio vandeano il preludio e l'antecedente logico degli stermini del ventesimo secolo. Tutto era stato rimosso dalla memoria e i martiri, dopo essere stati fucilati, strangolati, bruciati vivi, fatti a pezzi e scuoiati, erano stati anche dimenticati.Ora per fortuna non è più così e persino il grande pubblico ha appreso che in Vandea i democratici operarono un vero e proprio genocidio, scientemente voluto e quindi freddamente deliberato. Non fu cioè un incidente di percorso della Rivoluzione, né un errore di valutazione di qualche generale sanguinario e, nemmeno, un eccesso di zelo di certi politici giacobini. «Soldati della libertà», proclamava solennemente la Convenzione il 1° ottobre 1793, «bisogna che i briganti della Vandea siano sterminati; lo esige la difesa della patria, lo comanda l'impazienza del popolo francese, deve compierlo il suo coraggio».Fu, perciò, una vera e propria scelta politica che, del resto, si giustificava e si inseriva bene nella logica e nella filosofia della Rivoluzione. Da allora, scrive Secher in Il genocidio vandeano, la missione terrorista ha la precedenza sulle operazioni militari: «Spopolare la Vandea», afferma Francastel il 4 gennaio 1794; «purgare interamente il suolo della libertà da questa razza maledetta», secondo il generale Beaufort il 30 gennaio 1794. Carrier si impone di non avere il minimo sentimento di generosità: «Non ci si venga dunque a parlare di umanità verso questi feroci vandeani; saranno tutti sterminati; le misure adottate ci assicurano un pronto ritorno alla tranquillità; ma non bisogna lasciare un solo ribelle, perché il loro pentimento non sarà mai sincero».Il bilancio di questa opera di «spopolamento» che si è riusciti a ricostruire attraverso documenti dell'epoca trovati in archivi privati, parrocchiali, e di enti locali, è ormai abbastanza preciso e chiaro: il clero fu praticamente decimato, dal momento che veniva considerato il nemico numero uno; nei 773 Comuni interessati agli scontri, quasi il 15% della popolazione, pari a 117.257 su 815.029 abitanti, fu ucciso o massacrato; il patrimonio immobiliare fu distrutto o reso inutilizzabile per oltre il 20% (cioè 10.308 immobili su 532.673), con punte che in alcuni Comuni, come quelli della Deux-Sèvres, raggiunsero il 35%. Ogni cantone ebbe i suoi martiri e le sue distruzioni, ogni Comune dovette contare i suoi perseguitati e i suoi desaparecidos, ogni villaggio assistette alle violenze e all'uccisione di centinaia di donne, anche incinte. Fu una lotta senza quartiere, il primo esempio di guerra totale.Fu d'altro canto una guerra popolare e rurale per le origini e l'estrazione sociale dei suoi partecipanti e per lo scenario nel quale si svolse, ed ebbe anche un'ispirazione ideologica, per gli ideali che sostenevano i due schieramenti contrapposti. Fu soprattutto, infine, una guerra di religione per il movente originario che l'aveva scatenata. La guerra di Vandea, insomma, fu una vera e propria crociata non solo per la religione cattolica, ma anche per la libertà individuale, per la sicurezza delle famiglie, per la difesa dei propri beni e della propria terra, per la tutela dell'identità di un popolo e per la salvaguardia di tradizioni radicate e consolidate.
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