2025-08-09
Gaza e Cisgiordania, ipotesi beduina per il dopo Hamas
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Le forze israeliane presidianola Città Vecchia di Hebron, in Cisgiordania (Getty Images)
Netanyahu esclude Hamas e Anp dalla gestione di Gaza, puntando sui Tarabin, beduini del nord della Striscia. Intanto, in Cisgiordania lo sceicco Wadee al-Jabaari guida un gruppo di dignitari dei clan del deserto che propongono un Emirato di Hebron autonomo, in accordo con Israele.
Netanyahu esclude Hamas e Anp dalla gestione di Gaza, puntando sui Tarabin, beduini del nord della Striscia. Intanto, in Cisgiordania lo sceicco Wadee al-Jabaari guida un gruppo di dignitari dei clan del deserto che propongono un Emirato di Hebron autonomo, in accordo con Israele.Uno dei cinque principi enunciati da Benjamin Netanyahu chiarisce esplicitamente che la gestione di Gaza non verrà più affidata né ad Hamas né all’Autorita nazionale palestinese. Escludendo queste due entità appare chiaro che il leader israeliano punti a un coinvolgimento diretto e a una responsabilizzazione politica dei clan beduini presenti sia nella Striscia che in Cisgiordania.Il progetto politico, che per il momento riguarda soltanto Gaza, nell’idea di molti ministri israeliani comprenderà anche la Cisgiordania. A Gaza il governo israeliano ha da tempo iniziato colloqui con la tribù Tarabin, un clan beduino presente anche in Giordania ed Egitto. Nella Striscia il suo leader è Yasser Abu Shabab, arrestato più volte per traffico di droga e di armi. Anche il clan di Beit Lahia, comandato da Hussein Hamouda, potrebbe essere coinvolto soprattutto in funzione anti Hamas, ma alcuni ministri del gabinetto di Netanyahu sono contrari ad affidarsi a questi personaggi.Anticipando i tempi cinque sceicchi della città di Hebron e di Nablus, importanti centri della Cisgiordania, si erano già proposti come nuovi amministratori. Wadee al-Jabaari è l’uomo che guida questo gruppo di dignitari dei clan del deserto e non si nasconde nonostante poche settimane fa la sua auto sia stata data alle fiamme a Gerusalemme.«Io parlo a nome di cinque sceicchi della città di Hebron, la seconda per importanza di tutta la Cisgiordania. Abbiamo un progetto che propone il pieno riconoscimento di Israele come stato ebraico con una rottura pacifica con l'Autorità Nazionale Palestinese per formare un Emirato di Hebron totalmente autonomo. Siamo in contatto anche con altri capi tribù della zona e potremmo creare una specie di federazione di emirati. Il primo punto del nostro programma politico è la lotta ad ogni forma di terrorismo: il nostro slogan sarà tolleranza zero!». Lo sceicco al-Jabaari ha ripetuto più volte la sua idea e ha ricevuto fortissime critiche anche da alcuni membri del suo clan che anni fa avevano aderito ad Hamas. «Uno stato palestinese non ci sarà nemmeno fra 1000 anni-continua lo storico dignitario- quindi è inutile continuare a sperare in qualcosa che non potrà mai accadere dopo i fatti del 7 ottobre,. Ho inviato una lettera al ministro dell’economia di Tel Aviv Nir Barkat che ha apprezzato molto il nostro progetto. Con il ministro Barkat ci siamo incontrati molte volte in questi mesi e lui ha dichiarato che ormai Abu Mazen non ha più credibilità, mentre la nostra proposta potrebbe essere risolutiva».In realtà l’idea di questo gruppo di sceicchi non è così nuova, perché era stata già presentata nel 2012 quando il padre di Wadee al-Jaabari, lo sceicco Farid Jaabari, aveva tentato di convincere Israele a sostenere la creazione di questa federazione di emirati. Anche quella volta l’idea era stata respinta con sdegno dai palestinesi che accusano i beduini di essersi venduti ad Israele. «Vogliamo riportare la nostra terra a quell’epoca d’oro che dagli anni 40 è arrivata agli anni Settanta, quando erano i clan a governare, quando non esisteva il terrorismo, quando vivevamo in pace. Il nostro piano ha una visione sia per il presente che per il futuro ed include una proposta che consentirebbe inizialmente a 1.000 residenti di Hebron di andare a lavorare in Israele, con l'obiettivo di aumentare gradualmente fino a 50.000 lavoratori. Dal 7 ottobre noi non possiamo più andare a lavorare in Israele e questo ha gravemente danneggiato la nostra economia, mettendo in difficoltà molte famiglie della nostra tribù. Vogliamo la creazione di quella che potrebbe essere definita come una zona economica congiunta su oltre 1.000 acri vicino alla barriera di sicurezza tra Hebron e Israele, che dovrebbe dare lavoro a decine di migliaia di persone. Si chiamerà chiamarlo “Piano Hebron” e lo proponiamo come modello per tutte le province della Cisgiordania, che dovrebbero diventare tanti emirati indipendenti, ma collegati fra di loro. Si tratta di una proposta a cui stiamo lavorando da anni e che ha già avuto l’approvazione del Presidente del Consiglio Regionale di Samaria, Yossi Dagan e crediamo che sia davvero l’unica strada per il futuro della nostra terra».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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