2022-09-21
La folla in fila ai funerali della regina smentisce lo stile di vita occidentale
Folla ai funerali di Elisabetta II (Ansa)
La partecipazione di popolo alle esequie di Elisabetta II è un gesto di rottura verso un sistema mediatico che nega il valore del sacrificio. E ha ridato significato alla morte, il grande tabù dell’epoca dei consumi.Le cronache di questi giorni hanno fornito un’immagine finora inedita. Si tratta delle decine di migliaia di persone che sono rimaste in fila dalle dodici alle ventiquattro ore di fila, quasi sempre in piedi, per partecipare ai funerali di Elisabetta II d’Inghilterra. Sembra difficile vedere in questa folla silenziosa e dolente solo il prodotto dei poteri televisivi, o dell’abilità mediatica della «ditta» dei Windsor, come ironicamente la chiamava già il padre di Elisabetta, prendendo le distanze dalle retoriche regali. Non è neppure solo l’«effetto miraggio» della civiltà dell’immagine. A smentirlo c’è di mezzo il corpo, lo sforzo collettivo e condiviso, la fame, il sonno che decidi di ridurre ai minimi termini: roba seria, che non ha nulla a che fare con categorie superficiali come gli status symbol o le suggestioni di massa. Appartiene piuttosto al cuore, e anche qui non come paccottiglia emotiva, ma come centro del sentire, che appunto sente di dover obbedire alla spinta (tutt'altro che semplice, anzi complicata e addirittura dolorosa) a fare qualcosa, anche se duro e difficile. C’entra, dunque, con il contrario del nostro abituale veleno quotidiano: la ricerca di gratificazione, di comodità, di facilità, che ci propone ininterrottamente il rammollimento come la più importante e ambita conquista. La dolorosa partecipazione ai funerali di Elisabetta è stata (magari inconsciamente) un gesto di rottura verso il comandamento dell’easy going, del farla facile e svelta; anche se a compierlo è stato un intero popolo, seguendo un copione accuratamente previsto da un’antica e ricca monarchia. Una parte importante l’ha avuta, anche, la valorizzazione del significato della morte (che è invece il grande terrore/tabù della società dei consumi e scientista) e in particolare della morte della regina (il capo amato e leale, che ha servito te e i tuoi genitori). Questo popolo in piedi e piangente ha dunque compiuto un gesto politico e culturale molto forte, che getta alle ortiche un sistema mediatico e di valori impegnato a negare il senso del sacrificio e del limite, affermandone invece il senso e il valore, personale e collettivo.La cultura occidentale, oggi, rimuove (perfino negli annunci funebri) la parola morte, se non come gesto di disprezzo per la vita, ora privata di ogni sacralità e quindi rifiutabile a piacere. Questo prolungato e solenne rito collettivo, invece, in omaggio alla vita lunga e impegnata di una regina che ha sempre vissuto senza sottrarsi ai suoi doveri verso i sudditi né intimorirsi per la sua prossima fine, è il rifiuto silenzioso e potente dello stile di vita dell’Occidente di oggi. Se ne ha abbastanza dell’istante, lo show, la retorica del godimento come scopo di vita, anche se la rende vuota e infelice (come accadde con Diana Spencer). In questo onorare le difficoltà della morte e dell’impegno e la regina che non ne ha avuto paura, c’è una forte - inutile negarlo - anche se silenziosa ribellione allo stile banalizzante della società dei consumi e dell’immagine. Il popolo ha bisogno di verità: solo questo gli dà la forza per affrontarla. La verità però - questa è un’altra lezione che viene dall’adesione popolare al lutto per Elisabetta - ha bisogno di tempo per prendere forma e manifestarsi. Il tempo è il grande Maestro dell’uomo e l’alleato delle monarchie sagge: Elisabetta lo sapeva benissimo e ne ha affrontato le prove con determinazione e coraggio. Senza manierismi, riconoscendo i problemi anche quando facevano parte della famiglia: Diana, Andrea, Harry, Meghan; come del resto aveva insegnato già secoli fa lo scrittore di corte, William Shakespeare con i suoi problematici personaggi regali. Chi non sta alle sue fatiche, non può fare il re. La devozione profonda di Elisabetta alla tradizione, manifestata anche nell’accurata predisposizione del proprio funerale, era parte integrante del suo essere regina, strumento della storia, che si svolge secondo regole trasmesse e verificate nel corso del tempo, non improvvisate dalle mode o dagli interessi dominanti. Il popolo in coda nella notte in attesa di inchinarsi alla bara testimonia anche di questo, ed è il contrario del popolo caotico che «come uno sciame di api infuriate che per aver perso la sua regina, si sparpaglia qua e là» nell’Enrico VI, ma anche nella storia. L’elaborazione del lutto, riconosciuta come tale e vissuta profondamente anche nei suoi aspetti dolorosi e scomodi, aiuta a ridurre i rischi delle società in crisi di autorità. Il senso del tempo e il valore della tradizione tocca ora anche al nuovo re Carlo III. Che sembra possederli entrambi sia per indole e gusti personali, sia perché Elisabetta e lo zio lord Mountbatten, fratello di Filippo di Edinburgo gli hanno fornito figure educative come il sudafricano Laurens van der Post (padrino di William), scrittore e esploratore, allievo diretto Carl G. Jung, dove si è alimentato il suo profondo rispetto per la natura. Il funerale di Elisabetta, così intensamente partecipato dal popolo è dunque stato il miglior inizio possibile per il nuovo regno. Come diceva sempre Shakespeare: «Cos’è infatti un paese, se non il suo popolo?»
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)
L'ad di Eni Claudio Descalzi (Ansa)