2025-04-26
Funerali da sovrano per il Papa «degli ultimi». Jorge Mario Bergoglio (1936-2025)
Nonostante le promesse di un rito sobrio, le esequie si preannunciano imponenti. Previsto un percorso di un’ora per la salma, in stile Pio XII. All’arrivo trans, poveri e migranti. Già in 250.000 hanno reso omaggio al pontefice, 170 le delegazioni presenti.E per fortuna che Jorge Mario Bergoglio voleva semplicità, modestia, un funerale «semplificato», dopo un pontificato all’insegna della sobrietà. Oltre al milione di fedeli accorsi, 170 delegazioni ufficiali di Paesi stranieri si trovano nella Capitale per partecipare alle esequie del Santo Padre. Tra cerimoniale da gestire, singoli arrivi e ripartenze da seguire negli aeroporti di Fiumicino, Ciampino, Pratica di Mare ma anche negli scali di Napoli, Pisa, Firenze, alloggi da presidiare, la macchina di sicurezza che si avvale di quasi 11.000 uomini (1.000 solo per seguire le delegazioni) è alle prese con uno sforzo considerevole. Soprattutto per presidiare il corteo funebre che si snoderà lungo sei chilometri, da San Pietro, luogo della cerimonia celebrata sul sagrato dal cardinale decano Giovanni Battista Re, alla Basilica di Santa Maria Maggiore, dove avrà luogo la sepoltura. Certo, ci sono una quarantina di «ultimi» ad aspettare le spoglie di Francesco, con il quale avevano avuto un rapporto di amicizia, ciascuno con una rosa bianca in mano, il fiore di santa Teresina di Lisieux cui il Papa era molto devoto. Detenuti, migranti, trans, poveri e senza fissa dimora in attesa sui gradini della Basilica, avranno il privilegio di essere loro a dare l’estremo saluto, dopo un’infinita passerella di celebrità per ore sotto l’occhio delle telecamere. Però un funerale da un milione e mezzo di euro papa Francesco non l’avrebbe voluto. La sua tomba l’ha chiesta semplice, è di marmo con la sola scritta Franciscus (pare troppo chiara, sul marmo non risalta) e la riproduzione della sua croce pettorale. Le spese del sepolcro sono coperte da un benefattore. Si continua a parlare di costi contenuti per le esequie, paragonandoli ai 5 milioni di euro spesi per Giovanni Paolo II nel 2005, in ogni caso è una cifra esorbitante dovuta a un apparato mastodontico. La presenza di 250.000 persone durante la cerimonia di commiato (lo stesso numero che in questi giorni ha reso omaggio alla bara di Francesco) e di almeno altre 300.000 lungo il passaggio del carro funebre papale richiedono una logistica e misure di sicurezza altamente dispendiose. La stessa modalità del corteo, un tragitto «a passo d’uomo» dai 5 ai 10 chilometri orari, impone una vigilanza estrema da parte delle forze dell’ordine, controllando con elicotteri e droni il percorso. «Impiegherà poco più un’ora», ha fatto sapere il prefetto di Roma, Lamberto Giannini. Due soli precedenti ci sono stati, di feretri papali trasportati per l’Urbe. Il primo era stato quello di Pio IX, ultimo Papa re dopo la breccia di Porta Pia, dal Vaticano alla Basilica di San Lorenzo fuori le mura, la notte del 13 luglio 1881 (passaggio avvenuto tra scontri e disordini); il secondo corteo funebre ebbe luogo per Pio XII, nel 1958, lungo le principali vie della Capitale con mezzo milione di fedeli a rendere l’ultimo omaggio al pontefice. Oggi, per migliaia di persone che non hanno trovato posto in piazza San Pietro, l’opportunità di salutare il Papa è lungo il tragitto che in parte ripercorre l’antica Via Papalis. Il mezzo sul quale verrà posta la bara, ben visibile, uscirà dalla Porta del Perugino e non passerà per la piazza San Pietro, dove ancora saranno presenti le autorità e le delegazioni che avranno partecipato ai funerali e i 2.700 giornalisti accreditati.Al posto d’onore siede la delegazione del Paese natale di Francesco, l’Argentina, guidata dal presidente della Repubblica, Javier Milei. Quindi quella italiana, con in testa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, assieme alla figlia Laura e il premier, Giorgia Meloni. I sovrani regnanti presenti sono re Felipe VI con Letizia di Spagna; re Filippo del Belgio; la regina Mary di Danimarca; re Carlo Gustavo di Svezia con la regina Silvia; re Abdullah II di Giordania accompagnato dalla consorte Rania; il principe Alberto di Monaco con Charlene.Tra i capi di Stato, il presidente Donald Trump con la consorte Melania; il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier con il cancelliere Olaf Scholz; dalla Francia è arrivato Emmanuel Macron con la consorte Brigitte; dall’Ungheria Tamas Sulyok con il primo ministro, Viktor Orbán; dal Brasile Luiz Inácio Lula da Silva. In forse l’arrivo dall’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Ieri è filtrata l’ipotesi di un clamoroso forfait. La Cina è rappresentata dal vicepresidente Chen Chin-Jen. Partecipano all’ultimo saluto al Papa anche Ursula Von der Leyen e Antonio Costa, presidenti rispettivamente della Commissione europea e del Consiglio europeo; l’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Callas e il presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola. Per l’Onu ci sarà il segretario generale, Antonio Guterres. Sulla sicurezza dei fedeli e delle autorità vigilerà anche un cacciatorpediniere della Marina militare al largo della costa di Fiumicino, con sistemi anti missile e di intercettazione rapida, ed è in massima allerta l’aeroporto militare di Pratica di Mare. Da Grosseto, sede del 4° Stormo dell’Aeronautica militare, uno squadrone di Eurofighter è pronto al decollo.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
Continua a leggereRiduci
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
Continua a leggereRiduci