2022-03-06
Fucili a chiunque nella Kiev assediata. E si può essere uccisi per uno sguardo
Nella capitale pattugliata dalle milizie, pure una domanda di troppo scatena il sospetto. Le armi sono date liberamente, anche ai balordi. I volontari diretti al fronte dicono: «I russi sono pecore, noi odiamo il pastore».«Per noi hacker il pc è un proiettile». Un cyber attivista racconta: «Abbiamo ordinato alle agenzie di pompe funebri di Mosca 5.000 bare. Una beffa per far conoscere anche lì la verità su Putin».Lo speciale comprende due articoli e gallery fotografiche. Dalla finestra del ventitreesimo piano del grattacielo dove ci troviamo nel quartiere Podolski di Kiev, si vede la torre della televisione, accanto alla torre ancora una volta ben visibile un missile ha mancato l’obiettivo e così il razzo finisce, come è già accaduto, sui palazzi intorno.Le finestre continuano a vibrare anche se i botti dell’artiglieria sembrano un lontano temporale. Arriva la notizia di un elicottero abbattuto nell’area di Bucha, giusto fuori dalla città, a circa 20-30 km dal centro.I russi hanno distrutto la stazione di quel paesino da dove molti stanno fuggendo verso Ovest. È proprio in quel punto che si stanno intensificando i combattimenti e a complicare le cose, dalle 16 di ieri sera, ha ricominciato a nevicare, seppur lievemente.Qualche ora dopo sono arrivate notizie inquietanti da Mauripol, nel Sud-Est. In un’intervista di ieri sera il sindaco Sergeyevich Boychenko ha dichiarato che la tregua, contrariamente a quanto sostenuto da alcune fonti, non c’è mai stata e che i russi hanno tagliato, acqua, elettricità, gas e hanno bombardato circa la metà di 50 autobus che erano pronti in un piazzale per evacuare la popolazione. Le sue accuse, rilanciate da uno dei giornalisti ucraini più famosi, Dimitri Gardon, non sono finite: sostiene ci siano migliaia di feriti e dice di non volere parlare del numero dei morti, «troppo grave e doloroso».Così dal fronte. Ma torniamo a Kiev.La tensione ai posti di blocco è palpabile. In città sono schierati principalmente volontari locali che vengono messi a fianco di combattenti esperti come quelli del Donbass. Anche solo una domanda di troppo e, peggio ancora, una fotografia può scatenare il sospetto dei militari. Le milizie cittadine inoltre sono fatte di locali che conoscono la zona, ma le armi sono distribuite liberamente e c’è il rischio che il balordo di turno si faccia prendere la mano e per un sospetto spari solo perché magari hai la faccia che non gli piace. È successo anche questo, come racconta un cittadino che dalla finestra del quartiere dove ci troviamo ha visto una guardia civile sparare a sangue freddo ad un uomo disarmato. Seppur lontana dalla prima linea, alla stazione di Leopoli, città all’estremo Ovest del Paese, abbiamo trovato lo stesso clima di tensione.La polizia, nelle scorse ore ha arrestato una spia russa con passaporto spagnolo e tessera di giornalista. Così per salire sul treno ci hanno controllato il cellulare, messaggi, foto ultime chiamate, il portafogli, le borse.Qui, sul binario di chi non è defluito verso il sottopassaggio per dirigersi in città, abbiamo incontrato un po’ di quei volontari pronti ad andare in battaglia, con le sacche gonfie e gli occhi allerta su ogni persona intorno.Sashka, ha la barba curata, le unghie pulite così come i vestiti e uno sguardo intenso.È nato a Kharkiv nel 1991, gli ultimi 8 li ha vissuti a Kiev dopo aver studiato cinematografia ed essere diventato regista.Mentre parliamo mi dice: «Non mi sento un eroe, sono qui solo per dare una mano, la mia famiglia è a Kharkiv, non si sono voluti mettere in salvo. Noi siamo contro i russi da sempre, non scappiamo neanche se ci distruggono la città come hanno appena fatto. Ho portato la mia fidanzata e le attrezzature della mia agenzia di produzione a Leopoli, poi lei che è bielorussa ed era scappata dal suo Paese pochi mesi fa è riuscita ad attraversare la frontiera a ritroso. Io ho fatto lo zaino e mi sono messo in viaggio». Sashka sta tornando a Kiev, dai suoi amici: «Non potevo stare a guardare. Non so se prenderò le armi, questa per me è l’ultima opzione, ma aiuterò i miei concittadini a fare barricate, a costruire molotov».Sua madre è chiusa in un bunker nella sua città natale che ormai è semi distrutta e suo zio invece sta a casa: «Odia i russi più di me e dice che li vuole guardare dalla finestra. Lui era un ingegnere di satelliti, ma poi l’ex presidente Viktor Janukovic ha chiuso l’istituto di ricerca dove lavorava e lui è diventato strano. Spero solo che non faccia stupidaggini perché i russi lo ucciderebbero subito. Anche io odio i russi o meglio la Russia, e “l’apparato di Stato” che ha provato a influenzare il mio Paese da sempre, conosco bene la storia del mio Paese e so che quella politica è una politica fatta di repressione e di propaganda. I russi sono pecore, ma io non ce l’ho con loro, ce l’ho con il loro pastore».Nello scomparto fumatori incontriamo Makar che vive in Italia vicino a Chioggia, a Sottomarina, e fa il pescatore di vongole, e tra una sigaretta e l’altra, con un italiano quasi incomprensibile ci spiega che appena ha avuto l’occasione di tornare ha preso il treno per Kiev e tornerà in Italia solo a guerra finita.Con lui ci sono due amici, le facce scavate i vestiti ridotti male, nella carrozza ci sono circa 30 uomini di ogni estrazione sociale e loro sono sicuramente quelli più disagiati.Non vogliono parlare, sì intravedono dei tatuaggi sulle braccia che coprono appena li guardiamo. Sono del Donbass e hanno già combattuto. Sì chiudono nel loro scompartimento e non rivolgono la parola neanche agli altri concittadini della carrozza.Sul treno per Kiev, quando è calato il buio, abbiamo dovuto abbassare le tende e le luci dì computer e cellulari, e metterci stesi sotto il livello del finestrino. Lungo il tragitto non ci sono combattimenti, ma c’è paura degli aerei.Peter è nato a Chernobyl nel 1963 e via via che racconta la sua storia sembra di entrare nella trama di un film.Era un ingegnere a Chernobyl, negli uffici della centrale nucleare fino al giorno in cui è esplosa, emigrato a Kiev si è riciclato come ingegnere per l’industria dell’acciaio e viveva una vita regolare, casa, ufficio, cinema e palestra.Fino a quando è scoppiata la guerra in Donbass, nel 2014, e si è arruolato nell’esercito, nel primo battaglione con il grado di soldato scelto nella fanteria.Ha combattuto per 5 lunghi anni e a giudicare dalle foto e i video che mostra sul cellulare si capisce perché dal suo sguardo non traspaia nessuna paura, nessuna emozione.Dà consigli a Max, il ragazzo più giovane del gruppo, come un padre ad un figlio. Racconta di quando esplose una bomba giusto accanto a lui e quella fu la fine della sua guerra, in un letto di ospedale per mesi e poi costretto a prendere delle pillole tutti i giorni.Il suo bagaglio è piccolo: uno zaino e un materassino, in una grossa parte dello zaino le medicine, nell’altra probabilmente solo un cambio di vestiti.È cattolico ed è nato nazionalista, cosi come dice che morirà nazionalista, del presidente Zelensky pensa che sia l’unico che ha votato con piacere. «Domani vengono a prendermi in stazione i miei compagni del primo battaglione, mi danno la mia attrezzatura e andiamo direttamente al nord di Kiev. Non vedo l’ora di arrivare» ci dice sorridendo, squadrandoci dalle lenti sporche degli occhiali.Ma non ha paura? «E di cosa? Morirò se Dio lo vorrà, l’unica cosa che non voglio è essere ucciso facilmente. Sono pronto e preparato: i russi dovranno essere tanti per ammazzarmi».Mentre parla della morte mangia un omogenizzato di frutta per bambini.
Ecco #DimmiLaVerità del 16 ottobre 2025. Ospite il deputato della Lega Davide Bergamini. L'argomento del giorno è: "La follia europea dei tagli all'agricoltura e le azioni messe in campo per scongiurarli".