2025-08-31
Freddato l’ex capo del Parlamento ucraino
Andriy Parubiy ucciso a Leopoli da un killer in abiti da rider. Vicino a Poroshenko (già sfidante di Zelensky), era stato neonazi, poi attivista pro Ue e sostenitore dei paramilitari del Donbass. I separatisti lo accusavano del rogo di Odessa. Non esclusa la pista. russa.Sono stati i russi? Oppure Andriy Parubiy è caduto per una resa dei conti interna? L’omicidio a Leopoli dell’ex presidente della Verkhovna Rada - il Parlamento ucraino - ha le caratteristiche un’agghiacciante esecuzione. In un video ripreso dalle telecamere di sorveglianza si vede l’assassino, vestito da fattorino di Glovo, il viso travisato da un casco, dapprima nascosto tra gli alberi, inseguire la vittima e spararle almeno cinque colpi di pistola alla testa, forse otto, poi allontanarsi in bici. Per catturarlo, è stata avviata l’operazione speciale Siren. Volodymyr Zelensky ha parlato di un attentato «meticolosamente pianificato». La Procura ha diffuso la foto del cadavere del deputato: maglietta e pantaloni corti, riverso su un fianco, il sangue ancora fresco scorso copioso dalla tempia.Parubiy, da sempre indipendentista, era passato dall’ultranazionalismo all’europeismo, fino a diventare un personaggio di spicco della rivoluzione antirussa di Euromaidan, nel 2014. Nel 1991 aveva fondato il Partito social-nazionale, Snpu, in seguito Svoboda, di ispirazione neonazista: il simbolo era il Wolfsangel, usato dagli hitleriani prima della svastica. Tra il 1998 e il 2004, si era messo alla guida dei Patrioti dell’Ucraina, un gruppo paramilitare confluito nel famigerato Battaglione Azov. Nel 2004, Parubiy prese parte alla rivoluzione arancione, che portò alla presidenza l’europeista Viktor Yushchenko. Nel 2007 venne eletto in Parlamento. Nel 2010, si fece notare per la richiesta all’Eurocamera di ritirare la condanna per il conferimento del titolo di «eroe dell’Ucraina», decisa da Yushchenko, a Stepan Bandera, collaborazionista dei tedeschi nel 1941. La svolta moderata nel 2012: il militante neonazi entrò nella formazione del primo ministro Yulia Tymoshenko, Batkivshchyna, con cui riottenne il seggio. In occasione delle proteste pro Ue del 2014, Parubiy fu alla testa del servizio d’ordine e venne poi nominato segretario del Consiglio per la sicurezza nazionale e la difesa dell’Ucraina. Si dimise poco dopo senza dare spiegazioni, limitandosi a una sibillina promessa: avrebbe «continuato ad assistere il fronte» già aperto nel Donbass, «in primis i battaglioni volontari». Tipo Azov. Non a caso, i separatisti filorussi gli rinfacciavano di aver ordinato il rogo nella Casa dei sindacati di Odessa, il 2 maggio 2014, in cui morirono 42 persone. Ed è lecito domandarsi se, nella parabola dell’ex presidente della Rada, non ci sia stata una sostanziale coerenza: uno spostamento tattico verso i partiti di sistema, mantenendo fede al nazionalismo radicale.Parubiy, scampato a un tentato omicidio undici anni fa, era rimasto al timone dell’assemblea legislativa dall’aprile 2016 all’agosto 2019. Nel mezzo, c’era stata un’inchiesta della Procura generale per odio etnico, per via delle accuse, da lui rivolte ai sacerdoti della Chiesa ortodossa legata a Mosca, di aver ucciso cittadini ucraini, nonché la paternità della legge che rese obbligatorio l’ucraino negli uffici pubblico, trasformandolo nella prima lingua del Paese. Al momento della sua morte, era un esponente di Solidarietà europea, lo schieramento di centrodestra dell’ex presidente Petro Poroshenko. Ossia, l’uomo sconfitto da Zelensky alle ultime elezioni di sei anni fa, che ieri lo ha compianto come un «compagno d’armi di lunga data, mio fratello».Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russi, non senza ironia ha indicato tra i possibili killer i sabotatori del Nord Stream.Parubiy non è la prima vittima tra gli ex neonazisti ucraini: a marzo, a Odessa, era toccato a Demyan Ganul, capofila dei paramilitari di estrema destra di Pravyj Sektor, pure lui considerato ispiratore della strage del 2014. Gli inquirenti hanno comunicato solo di non aver escluso la pista russa. Sulla quale si è tuffata la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno: «Il brutale assassinio», ha commentato, «è una ferita per l’Europa e per la democrazia», che «deve rendere ancora più forte e incisivo il nostro sostegno alla democrazia ucraina». L’importante è essere consapevoli di quale democrazia stiamo sostenendo: uno Stato ancora ostaggio della corruzione, di sicuro. Così, mentre Polonia e la presidenza danese dell’Unione contestano il veto ungherese al suo ingresso nel club europeo, la prudenza di Budapest appare semmai un atto di saggezza. Il Paese, dal conflitto, uscirà smembrato e lacerato. Non è assurdo immaginare che la guerra, nei prossimi anni, prosegua anche a colpi di faide. E che la democrazia liberale ucraina marci su una scia di sangue.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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