Franco-tedeschi inviperiti con Vance che dà il benservito a élite già decotte

Il discorso pronunciato a Monaco da J.D. Vance non è passato inosservato. E una certa vulgata lo sta già dipingendo come uno sforzo trumpista, volto a dividere l’Ue, alimentando gli estremismi di destra. In realtà, le cose non stanno così. Innanzitutto, l’Ue non ha alcun bisogno di essere scardinata da qualcuno: è già disarticolata per conto suo. Ha una struttura di governance inadeguata, non ha una politica estera comune né, di conseguenza, una politica di difesa. L’Ue semplicemente non esiste come soggetto geopolitico ed è costantemente stata sottoposta agli interessi dei più forti, vale a dire Francia e Germania. Ed è qui che arriviamo al punto. Le principali reazioni negative al discorso di Vance sono arrivate proprio da Parigi e Berlino.
L’altro ieri, il vicepresidente Usa non solo ha accusato l’Ue di promuovere attività di censura ma ha anche avuto un incontro con la leader di Afd, Alice Weidel, auspicando che il suo partito non venga più colpito dalla conventio ad excludendum. Una serie di mosse che ha scatenato il putiferio. «Vance aveva visitato il campo di concentramento di Dachau pochi giorni fa e in seguito aveva affermato che il memoriale dimostrava perché dovremmo impegnarci affinché qualcosa del genere non accada mai più. Sono grato a Vance per averlo detto. Questo impegno non può essere conciliato con il sostegno ad Afd. Ecco perché non accetteremo che degli estranei intervengano nella nostra democrazia», ha detto Olaf Scholz. «Non è compito del governo statunitense spiegare qui in Germania come dovremmo proteggere le istituzioni democratiche», ha rincarato la dose il leader della Cdu, Friedrich Merz. «La libertà di espressione è garantita in Europa», ha aggiunto il ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot.
Ecco, che le reazioni più astiose siano arrivate da Parigi e Berlino la dice lunga sul vero intento dell’amministrazione Trump. L’inquilino della Casa Bianca non ha mai considerato l’Ue un interlocutore, privilegiando gli accordi bilaterali. Ne consegue che non ha alcun interesse a scardinare un soggetto già scardinato di suo. Ciò che Trump vuole fare è, semmai, colpire il vecchio establishment politico dell’asse franco-tedesco: un establishment che, per inciso, è già da molti anni in rotta di collisione con Washington. Barack Obama ebbe grossi problemi con Angela Merkel: dal surplus commerciale tedesco al caso Snowden, passando per lo scandalo Dieselgate. Inoltre, pur tenendo una linea più morbida con Berlino, Joe Biden ha avuto delle notevoli tensioni con Parigi, soprattutto a causa della crisi dei sottomarini del 2021. Non dimentichiamo infine che Emmanuel Macron non digerì le politiche economiche previste dall’Inflation reduction act, firmato dallo stesso Biden nel 2022.
Quello che sta succedendo oggi non nasce, quindi, dal nulla. Si tratta semmai di un passo ulteriore. A Washington hanno capito che il vecchio establishment europeo è ormai al tramonto. E stanno quindi cercando nuovi interlocutori: interlocutori che o sono già al governo (si pensi all’esecutivo di Giorgia Meloni) o hanno elettoralmente il vento a favore (come Afd). «Non abbiamo imparato nulla sul fatto che mandati esili producono risultati instabili?», si è chiesto Vance a Monaco. Non è forse un caso che Antonio Tajani abbia assunto una posizione più conciliante verso le parole del vicepresidente americano. «Qua non si tratta di fare polemiche, si tratta di confrontarsi sulle idee e sulle posizioni», ha detto.
D’altronde, che non si tratti semplicemente di una questione di maggiori o minori affinità ideologiche, lo dimostra il ruolo di Elon Musk. Quest’ultimo ha rilanciato il discorso di Vance su X e ha recentemente avviato l’iniziativa «Make Europe great again», appoggiando Afd in Germania. Ricordiamo che, a prescindere dal suo attuale ruolo come capo del Doge, Musk vanta storici legami con gli apparati del Pentagono: legami che, risalenti a Obama, riguardano principalmente SpaceX. Non è forse un caso che la sua conversione al trumpismo sia avvenuta proprio mentre questi stessi apparati si riposizionavano a favore del tycoon tra il 2021 e il 2024. È quindi possibile che tale dinamica si stia ripresentando oggi nel Vecchio continente: gli apparati americani, in altre parole, stanno cercando nuovi interlocutori politici in Europa, tenendo in considerazione la crisi in cui sono piombati tanto Macron quanto Scholz.
Insomma, l’obiettivo di Trump non è né disarticolare l’Ue né favorire un presunto autoritarismo. È semmai quello di trovare nuove sponde politiche per inserire le relazioni transatlantiche in un rinnovato quadro di priorità: a cominciare dalla questione cinese. Sì, perché né Macron né Scholz né la Merkel, alla prova dei fatti, si sono dimostrati alla fin fine granché severi nei confronti di Pechino. Tra l’altro, nonostante Trump avesse lanciato l’allarme in tal senso già nel 2018, la Merkel e Scholz hanno avuto responsabilità enormi nell’aver reso l’Europa dipendente dal gas russo. Resta quindi un mistero come qualcuno, ancora oggi, possa considerare questi due signori dei paladini dell’Occidente.






