2021-11-12
Franco Fasano:«“Io amo” l’ho inventata in auto nella nebbia»
Franco Fasano. Sullo sfondo, Sanremo 1989: Anna Oxa e Fausto Leali vincitori con "Ti lascerò" (Getty Images)
Il cantautore che ha fatto la fortuna di tanti big: «Sognavo Billy Joel come interprete per la hit di Leali. Ho scritto con Bruno Lauzi per Mina: lei si presentò in grembiule, stava preparando il sugo. Il mio esordio a Sanremo? Un disastro, a cominciare dal vestito».Si starebbe per ore ad ascoltare le storie di Franco Fasano, giovane promessa del Festival di Sanremo (quattro partecipazioni tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta), autore di canzoni di successo per Mina, Arigliano, Leali, Drupi, Fiordaliso, e plurivincitore dello Zecchino d'oro. Per fortuna ha raccolto le sue divertenti avventure in un libro, Io amo (con Massimiliano Beneggi, edito da D'idee), in cui in controluce si racconta la storia della musica leggera italiana degli ultimi cinquant'anni.La sua vita è legata al Festival di Sanremo...«Io avevo un padre di una simpatia pazzesca che faceva il fotografo. Si era trasferito dalla Puglia alla Riviera di Ponente, passando per Torino, perché si era innamorato di mia madre e voleva che io nascessi in un posto dove non faceva freddo. Fin da ragazzo andava a Sanremo per lavoro, per cui a casa, da bambino, vedevo in anteprima le foto del festival da lui scattate. Quando avevo nove-dieci anni, mi vestiva con la giacca, mi consegnava il pass da fotografo e con un'Instamatic piccolina facevo le foto ai cantanti, poi mio padre me le scattava insieme a loro. Per tutti ero diventato il figlio del fotografo».Da fotografo a cantante non sembra un passo breve.«Nei primi anni Settanta c'era un maestro che era una specie di Stefano Bollani, Fiorello e Carlo Conti “shakerati" insieme: Enrico Simonetti, che era nato ad Alassio, la città dove vivevo. Quando frequentavo le medie, l'assessore Carlo Tomagnini, famoso per aver portato la nazionale di calcio nell'82 in ritiro prima che diventasse campione del mondo, invitò il suo amico Simonetti a incontrare gli studenti. I miei compagni di scuola mi spinsero sul palco, Simonetti mi chiese di cantare qualcosa e io gli dissi: “La conosce Mi va di cantare? ‒ Perché mio padre era un grande fan di Louis Armstrong e si dilettava a suonare la tromba. ‒ Però non so se sa la tonalità", e lui: “Ma… vediamo se sono fortunato!". Alla fine si complimentò con mio padre, che gli disse: “Cosa mi consiglia per mio figlio?". “In questo momento l'errore più grande è mandare suo figlio al Conservatorio, perché i ragazzini in questo periodo non hanno voglia di studiare la musica seriamente. Vada a nome mio dal maestro Pippo Barzizza"». Un gigante della musica.«Siccome io ero piccolino per andare a Sanremo, dove il maestro viveva in una villa costruita solo con i diritti di Paquito Lindo, fece venire a casa mia un allievo bravissimo di Barzizza. Quando questi disse: “È il momento che conosca Barzizza", fu lui stesso ad accompagnarmi. Da allora ho cominciato, dopo scuola, ad andare a lezione a Sanremo con il pullman, che ricordo impiegava un'ora e quaranta. Ho avuto la fortuna di essere stato instradato nel gusto e nella serietà in cui bisognerebbe prendere la musica dal maestro Barzizza, che mi scriveva di pugno gli esercizi da fare. Lui incarnava la musica perché l'aveva importata dall'America: andava a prendere i dischi di Glenn Miller al porto di Genova!».Com'è arrivato a esordire al Festival di Sanremo nel 1981, a nemmeno vent'anni?«Dopo aver inciso il mio primo 45 giri, Splash, mio padre mi fissò un appuntamento al Teatro Ariston con Carlo De Siena, che organizzava il Girofestival, presentato da Pippo Baudo. Io avevo con me un registratore a cassetta per fargli ascoltare il brano. A un certo punto, mentre lo stavo aspettando, arrivò da me un signore che mi chiese in prestito il registratore perché era prevista la consegna di un mazzo di fiori ai Boney M. Mio padre molto gentilmente gli disse: “Il tempo di far ascoltare questa canzone e glielo porto io". Questo signore era un dirigente della casa discografica Durium. Quando gli riportò il registratore, disse: “Ho trovato dentro questa cassetta", e mio padre: “La faccia ascoltare al direttore artistico". Pensa la fortuna: in quel periodo era appena arrivato alla Durium Salvatore De Pasquale, detto Depsa, che era stato il direttore artistico della casa discografica Splash di Peppino di Capri, e su quella cassetta c'era scritto proprio “Splash"! Depsa si è incuriosito e mi ha chiamato alla Durium, per la quale ho inciso un singolo estivo, Mi piaci tu, che è entrato nella top 20 di tutte le radio private d'Italia».A cui ha fatto seguito Un'isola alle Hawaii, sempre per la Durium, che ha presentato a Sanremo.«Ma io volevo andare a Sanremo con un brano che si chiamava Esami di maturità, che avevo scritto, parole e musica, proprio durante gli esami di maturità, quindi alcuni anni prima di Notte prima degli esami di Venditti. Invece Depsa credeva molto in Un'isola alle Hawaii perché aveva la forza dei ritornelli dei successi commerciali dell'epoca, tanto che lo fece sentire a Pinuccio Pirazzoli, il quale disse: “Questo pezzo potrebbe andare bene per Celentano", ma Adriano era impegnato al cinema. Allora la Durium l'ha proposta per Sanremo. Penso ancora oggi che Esami di maturità era più adatto alla mia faccia e alla mia età, mentre Un'isola alle Hawaii era un vestito elegante cantato da uno con la faccia da bambino».Infatti era vestito in modo insolito per un ventenne... «La storia del vestito è meravigliosa. Leggemmo il regolamento: era tassativamente vietato avere un abbigliamento non adeguato a un palco in mondovisione, per cui erano rigorosamente vietati i blue jeans. Io non sono mai stato uno che andava in giro in blue jeans, però nemmeno in smoking! Quando mi accompagnarono a vedere il vestito sotto a via Montenapoleone, dissi: “È una roba da Prima Comunione!". De Pasquale mi disse: “Ti conviene giocarti lo smoking la prima serata", perché era convinto che sarei stato eliminato. Il pomeriggio delle prove mi chiesero: “Vuoi cantare dal vivo o in playback?", perché uno, se voleva, poteva cantare in playback. Risposi: “Io so fare due cose: una è baciare e l'altra cantare! Preferisco cantare dal vivo". “Sicuro? Guarda che ti caghi sotto". “Ma no, fatemi cantare". Credimi, sono salito sul palco e sembrava di non essere sulla terra: ho cominciato ad avere la salivazione azzerata, a non sentirci più. Ho fatto le prove stonando più di Sibilla nel 1983!».In gara poi come andò?«Era la prima volta che venivano trasmesse in diretta anche le serate precedenti alla finale. Io purtroppo fui sorteggiato per primo e inaugurai il Festival. Quel giovedì la Rai si collegò con Sanremo dopo il telequiz Flash, per cui la linea ce la diede Mike Bongiorno. Tu devi immaginare me dietro il palco, dopo la figura di m... delle prove, con Claudio Cecchetto, jeans e giacca blu, che arriva, mi vede e commenta: “Fasano, ma come ti sei vestito?". Poi entra in scena e canta Gioca jouer, ma dentro di me sentivo ancora: “Buona fortuna Sanremo" (imita la voce di Mike, ndr). Mentre mi gira in testa un sacco di roba e cerco di ripassare il testo, Gianni Ravera, il patron del festival, il quale sapeva che ero il figlio del fotografo, mi dà una pacca sulla spalla e mi dice: “Fasano, mi raccomando, non farmi fare brutta figura". Io sono uscito e ho cantato come fossi il Gianni Morandi degli anni Ottanta! Ho fatto la sua imitazione, non solo nel canto. L'unica cosa buona è che non ho stonato!».È riuscito a superare la selezione?«No. Sono passati: Eduardo De Crescenzo, primo con la bellissima Ancora, Fiorella Mannoia, Luca Barbarossa e Orietta Berti. Io sono arrivato quinto. La cosa pazzesca è che il vincitore preannunciato del festival, Enzo Malepasso, che l'anno prima era arrivato secondo, si classificò ultimo quel giorno, e Depsa, che aveva scritto la sua canzone, era un cane bastonato. Mentre stavamo tornando al Grand Hotel & Des Anglais, dove c'è una scalinata che non finisce più, è passato un gatto nero. Ci siamo fermati tutti e due, ci siamo guardati e abbiamo detto: “Ormai...". Ci siamo fatti una risata e siamo andati a trovare Malepasso, che era in lutto».Le ha dato notorietà questa partecipazione?«È servita più che altro a farmi conoscere nell'ambiente. Il disco è uscito all'estero ed è andato abbastanza bene in Francia. In Italia vendette undicimila copie, che per l'epoca erano poche, invece la compilation, dove fortunatamente la mia canzone era dentro, vendette trecentocinquantamila dischi. L'anno successivo firmai due pezzi a Sanremo, per Fiordaliso e Plastic Bertrand, e la mia carriera decollò». Poi ha vinto Sanremo con Ti lascerò, cantata da Fausto Leali e Anna Oxa, ma la canzone alla quale è più legato è Io amo, che dà il titolo al libro.«Questa canzone è nata in macchina nella nebbia insieme a Italo Janne, che ogni cinque chilometri mi chiedeva di cantarla perché aveva paura che me la dimenticassi! Sognavo che a eseguirla fosse Billy Joel, che allora andava fortissimo, invece siamo passati da Toto Cutugno a Fausto Leali, perfetto con la sua estensione vocale per quel brano».Ha scritto canzoni anche per Mina...«Avevo scritto Certe cose si fanno con Bruno Lauzi, ma in quella occasione non l'avevo conosciuto. Un giorno andai a casa sua a Forte dei Marmi con Giancarlo Bigazzi. Mi ricordo che entrai in questa villa che aveva un cancello enorme e, mentre mi aggiustavo i capelli come si fa in questi casi, sentii dall'alto una voce che mi diceva: “Fasano, ma quanti anni hai?". Mina stava appoggiata al davanzale del balcone. “Dai, dai, venite su che vi preparo il caffè". Siamo entrati in un salotto tutto bianco come quando Fantozzi va nell'ufficio del megadirettore galattico. Lei è arrivata, vestita di scuro ma con un grembiule bianco addosso, dicendo: “Scusate, ma sto facendo il sugo per mia nipote". Tu pensa come ho conosciuto Mina io!».