2023-03-20
Franco Bernabè: «Caro energia, ecco dove sbaglia l’Ue»
Franco Bernabè (Getty Images)
Parla il manager: «I prezzi aumentano anche perché Bruxelles disincentiva gli investimenti in infrastrutture. La bolletta dell’ex Ilva è passata da 200 milioni a 1,4 miliardi. A Telecom serve una rete unica e pubblica».Franco Bernabè già al vertice di Eni e Telecom. Oggi a capo di Acciaierie d’Italia (ex Ilva). Autore di un saggio scritto a quattro mani con Massimo Gaggi: Profeti, oligarchi e spie, edito da Feltrinelli. La tesi di partenza è che la crisi delle telecomunicazioni parte da lontano. Ma da dove?«Dalle modifiche del sistema di regolazione fatto negli anni Novanta per favorire lo sviluppo di internet. Queste modifiche hanno trovato le società di telecomunicazioni totalmente impreparate. In Italia però c’è anche un problema specifico che riguarda Tim. Pensi che era la sesta società al mondo per dimensioni e redditività. Una vera leader nelle innovazioni tecnologiche. Una delle prime ad investire nella fibra ottica». Penso all’introduzione della Sim ricaricabile.«Esattamente. Una società fortemente innovativa. I suoi problemi hanno una molteplicità di cause. Risalgono in parte al suo passato; all’Opa del 1999 ed alla montagna di debiti che hanno, da allora in poi, oppresso la società…».Quindi aveva ragione lei ad opporsi all’operazione di Colaninno!«Beh, si, possiamo dire che avevo ragione»Lo dico io per lei, non si preoccupi…«I problemi, in misura minore riguardano però tutte le società di telecomunicazioni. Queste società non hanno saputo leggere in anticipo le conseguenze dell’arrivo di internet. Si sono arroccate in battaglie di retroguardia sui loro terreni. A questo si aggiunga un ulteriore fattore. Che lo sviluppo di internet è stato fortemente favorito dalla legislazione americana e poi anche dalle legislazioni europee, per ragioni all’inizio del tutto condivisibili. I governi hanno fortemente vincolato le attività delle società di telecomunicazione tradizionali, imponendo loro degli obblighi nei confronti dei nuovi operatori». Ovvero?«Veniva a questi ultimi consentito di usare le infrastrutture e le reti di telecomunicazioni esistenti, a titolo gratuito o quasi, senza sottostare ad alcun tipo di vincolo. Tutto questo aveva a quei tempi solide giustificazioni. Era la rivoluzione degli anni 90 e di internet. Le piccole società e le startup entravano in un mondo nuovo. Dovevano svilupparsi. Mentre le telecomunicazioni all’epoca non godevano di grande simpatia di pubblico. Prezzi elevati e servizi scadenti. Questa ha fatto si che i nuovi operatori trovassero un’autostrada per la loro crescita».Parte da qui la crisi delle telecomunicazioni…«Non solo. Questa autostrada è stata nel tempo mantenuta anche quando queste start up innovative non erano più piccole realtà, ma veri e propri colossi. Oggi cinque di queste società dominano il sistema delle comunicazioni mondiali. Mentre le società cosiddette tradizionali sono di fatto entrate in crisi. Un costante declino della loro capitalizzazione di borsa. Fino a che non si è arrivati alla crisi conclamata, che nel caso di Tim è stata esacerbata dal carico dei debiti cui facevamo riferimento. L’origine della crisi è insomma duplice. Problemi interni da una parte e l’evoluzione di un mondo che si è trasformato radicalmente. Quel nuovo mondo favorito dalla politica era più innovativo e comunque più gradito ai consumatori. Faceva premio sui servizi tradizionali».Immagini di gestire il dossier rete. Le avranno di sicuro chiesto consigli. Il tema è sul tavolo del ministro Urso. E nel libro ipotizza un ritorno in orbita pubblica. In che termini dovrebbe essere gestita questa operazione?«In passato ho espresso forti perplessità sul fatto che ci fosse la necessità di una seconda rete nazionale alternativa a quella di Tim promossa dal pubblico (Open Fiber concorrente di FiberCop di Tim, ndr). In Italia di reti ne contiamo almeno quaranta. Il traffico passa tranquillamente da una rete all’altra. Il problema riguarda la sola rete d’accesso. È una infrastruttura estremamente costosa. Che due reti di accesso coprano lo stesso territorio non ha senso».Ciò che dice è talmente vero che ho sotto casa due scatolotti diversi. Uno per ciascun concorrente…«L’aver voluto creare una rete alternativa a Tim, senza sfruttare la possibilità dell’interconnessione o del coinvestimento, è stato un errore. Ma il processo è andato troppo avanti. Ed ora dobbiamo evitare che entrambi gli operatori abbiano problemi. Le due reti vanno combinate secondo una logica unitaria. È inevitabile».C’è un problema di antitrust?«Risolvibile. Stiamo parlando, comunque, per quanto riguarda la rete di accesso di un monopolio naturale. Lei non ha due autostrade o due reti ferroviarie in parallelo per andare da Roma a Milano. Una situazione di concorrenza infrastrutturale è giustificata solo in alcune “aree nere”; ovvero caratterizzate da una densità di popolazione tale da giustificare la presenza anche di una seconda rete. Ma sono, per definizione, aree limitate in estensione anche se con grandi capacità di mercato. Ma in generale l’infrastruttura di accesso non può e non deve essere replicata».Nel suo libro lei parla del 2022 come di un anno nero per Facebook. Fenomeno temporaneo oppure è un altro evento che rischiamo di non saper leggere in anticipo?«Ovviamente la tecnologia è in continua evoluzione. A Facebook è stato consentito uno shopping che in normali condizioni di antitrust non sarebbe stato altrimenti possibile. Ha acquistato Instagram e poi WhatsApp - che di fatto è la prima società di telecomunicazioni al mondo quanto a copertura. Siamo in una situazione paradossale. Adesso abbiamo il monopolio dei servizi, come appunto insegna il caso di Facebook, e la concorrenza delle reti. Mentre invece dovrebbe essere esattamente il contrario. E negli Stati Uniti non si sta più dando così per scontato che Facebook possa mantenere questa posizione di rendita».Lei parla anche di TikTok nel libro. Ma è un social network come gli altri? Oppure qualcosa di più in mano alla Cina? Lei sembra adombrare qualche dubbio in proposito. Ipotizza che abbia una sorta di funzione geostrategica.«Guardi, non lo scopro certo io. Tutti i social network servono ai servizi di intelligence per ottenere informazioni. Se gli americani cercano di eliminare -o comunque limitare fortemente - l’utilizzo di TikTok, è chiaro che hanno robuste convinzioni ed informazioni in proposito». Non posso non parlare con lei anche di energia visto che è stato a capo di Eni. Ma l’Italia ha veramente l’opportunità di diventare la porta del gas nordafricano in Europa? È così oppure è soltanto uno slogan?Che l’Italia sia sempre più la porta di ingresso del gas nordafricano in Europa è sicuro. Di fatto lo è già oggi. Tutto sta però nel capire che ruolo giocherà la Turchia. Perché questa sarà di fatto l’hub del gas russo che potrebbe arrivare in Europa attraverso i Balcani. Stiamo parlando del gas russo che non potrà arrivare in Europa da Nord attraverso il Baltico. Anche perché è piuttosto improbabile, nel breve e medio termine, che il gas di Mosca possa essere diretto verso la Cina».Essendo stato manager Eni, lei può sicuramente spiegarci come ragiona una utility dell’energia in questo preciso momento. Come si fanno a immaginare nuovi investimenti, ad esempio in nuovi gasdotti sapendo che l’Unione Europea ci dice che noi dovremo fare a meno di tutto ciò che è fossile di qui a pochi anni? Come li ammortizziamo questi investimenti? Intravede una contraddizione?«Le dico di più! L’Europa ha una piccola parte di responsabilità nella crisi energetica che stiamo vivendo. Con la famosa tassonomia, l’Ue ha disincentivato gli investimenti in infrastrutture tradizionali. E questo ha ricadute in termini di riduzione dell’offerta e quindi sui prezzi in aumento. Ed oggi ci si accorge invece che gli investimenti infrastrutturali servono eccome. Non si può pensare di abbandonare in tempi così stretti le fonti fossili, perché il sistema di fornitura di energie rinnovabili non è in grado sostituirle a breve. Le infrastrutture vanno potenziate».Il programmato divieto a breve delle auto a diesel o benzina ha una logica?«L’Unione Europa deve porsi l’obiettivo di una graduale e completa decarbonizzazione del settore del trasporto. Ma non deve indicare gli strumenti per arrivare a questo target. Perché oggi di fatto ha indicato soltanto l’auto elettrica come mezzo per arrivare a questa transizione. Oggi ci sono però i biocarburanti a partire dai rifiuti ma anche carburanti sintetici a partire dalla CO2 e dal cosiddetto idrogeno verde che consentono di mantenere in vita l’industria dei motori endotermici. Non ci si può limitare alla sola auto elettrica con tutti i problemi e le ricadute che questo avrà sistema di produzione, trasmissione e distribuzione di elettricità. Per non parlare del modo in cui dovranno essere smaltite le batterie».Dal digitale all’energia per finire all’acciaio dove lei è attualmente impegnato al vertice di Acciaierie d’Italia. Ex Ilva per intendersi. Pure questo è un settore strategico per il Paese?«L’acciaio di fatto è la materia prima più circolare che ci sia perché può essere sistematicamente riciclato. Dell’acciaio non si spreca neppure un grammo. È strategico eccome. È l’esempio più calzante di ciò che chiamiamo economia circolare. Un’economia avanzata non può non avere una sua produzione di acciaio».Ci toglie una curiosità? Di quanto è aumentata la bolletta per Acciaierie d’Italia nel 2022?«Da 200 milioni a 1,4 miliardi di euro».
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)