2021-05-18
Franco Battiato, una storia iniziata con Gaber che lo accolse in pigiama
Franco Battiato (Getty images)
Il cantautore se n'è andato a 76 anni, era malato da tempo. Oggi i funerali privati. Arrivò a Milano dalla Sicilia in cerca di fortuna, per poi diventare uno dei più grandiDallo sport alla fiction, passando per Francesco e Beppe Grillo: così vedeva il mondoLo speciale contiene due articoliUn giorno gli fecero la solita domanda menagramo: cosa vuoi che resti dopo la tua morte? Lui rispose: «Un suono». Per questo sarebbe saggio cogliere il messaggio, cercare su Spotify ogni risposta ed evitare di andare nel retrobottega delle deviazioni emozionali del karma o dei centri di gravità permanenti. È morto Franco Battiato, lasciamolo danzare con i dervisci a Konya e torniamo con i piedi per terra. Prima che una malattia nervosa degenerativa lo portasse via una nota alla volta, aveva detto un'altra cosa. Avrebbe voluto essere ricordato come «esploratore pop», una specie di Emilio Salgari della musica, quello che descrisse fascinose terre lontane dalla Valpolicella e da Torino senza la seccatura dei bagagli.L'immaginifico cantautore se n'è andato a 76 anni nella sua villa di Milo (Catania) dove oggi si tengono i funerali in forma privata per disposizioni date al fratello Michele che spiega: «Nelle ultime ore non ha capito, non c'era più, per sua fortuna avvolto da un coma profondo». Poi sarà cremato. Sulla sua malattia sono stati scritti trattati. L'ultimo indizio in versi è di un suo antico compagno di giochi su Facebook: «L'ode all'amico che fu e che non mi riconosce più».Battiato nasce a Ionia, figlio di un camionista che aveva fatto lo scaricatore di porto a New York e di una casalinga. Si diploma al liceo scientifico Archimede di Acireale, si iscrive all'università ma la morte del padre lo costringe a riempire la valigia di cartone e a cercare fortuna a Milano. È la stagione del cabaret, al Club 64 si esibiscono Paolo Poli, Enzo Jannacci, Bruno Lauzi, Renato Pozzetto. Lui strimpella e guadagna qualcosa con le canzoni siciliane. Una mattina alle otto a casa di Giorgio Gaber suona il citofono, va ad aprire Ombretta Colli (che riporta l'aneddoto nella biografia Chiedimi chi era Gaber) e si trova davanti un ragazzo alto, timido e goffo: «Mi chiamo Francesco, suono la chitarra e ho saputo che state mettendo insieme una band». Giorgio di solito si sveglia tardi e non è operativo prima delle due di pomeriggio. La Colli gli offre un caffè, poi un altro e ricorda che «le ore passarono a parlare di Nietzsche, Wagner, il misticismo, l'astrologia. Sembrava che ci conoscessimo da sempre. Quando Gaber arriva in pigiama lui si alza di scatto e sussurra con tono di scusa: onoratissimo». Nasce una collaborazione che durerà a lungo, un'infinità di serate nelle balere degli anni Sessanta. Il legame è così forte che nel 1978 Gaber gli affida gli arrangiamenti dello spettacolo Polli d'allevamento. Tutti lo chiamano Francesco, ma decide di accorciare il nome in Franco per non essere confuso (per pudore) con Guccini. Nel giro è noto per la capacità di indovinare il segno zodiacale di chi gli sta davanti: si accettano scommesse, in palio c'è sempre un barattolo di Nutella. È quello il brodo di coltura, lui cresce lì - Disco per l'estate, Festivalbar - anche se non ha niente a che vedere con il beat milanese, con i temi politici, con la rivoluzione dei costumi. Guarda oltre, non sfonda e sperimenta. Rimane nella penombra, quasi sempre fuori sincrono. Prima dell'esplosione nell'era del cinghiale bianco percorre tutta la gavetta ai margini del business musicale: nove album di nicchia, la chiamano avanguardia colta. Prova a stupire con Fetus (e con un feto in copertina), poi entra nella foresta delle sonorità surreali di John Cage e Karlheinz Stockhausen. Supporta Brian Eno e i Tangerine Dream, allora considerata roba intellettuale che il critico Riccardo Bertoncelli liquidò così: «Nei '70 entrava in scena, accendeva uno stereo con musica assurda e se ne andava. Il pubblico lo rincorreva inferocito». Nel 1979 studia violino con Giusto Pio e diventa Battiato. Rimette in ordine le note e spettina i testi con un risultato folgorante. Infila un successo dopo l'altro, guadagna milioni, arrivano Patriots e La voce del padrone. Quei testi deliranti, impressionisti, costruiti su una pioggia di frammenti letterari e musicati con facili refrain sono la colonna sonora degli spensierati anni Ottanta. Mentre Paolo Rossi segna al Brasile e Bettino Craxi mostra i muscoli a Sigonella, lui spopola con Cuccurucucu Paloma. Più che un successo commerciale, una vendetta del destino per l'uomo colto e selettivo. C'è chi lo definisce «un Paolo Conte maturato al sole di Pachino». Con Alice, passeggiando sulla prospettiva Nevskij, vince anche un festival di Sanremo. A Lucio Battisti non piace. Confida ad Alberto Radius che sta collaborando con lui: «Non ne verrà fuori niente». Anche i grandi toppano. Ciò che arriva dopo è una celebrazione ventennale, Battiato non sbaglia una canzone. E la discesa negli inferi dello star system si compie quando, nel film Palombella Rossa, Nanni Moretti canta a squarciagola un suo hit: E ti vengo a cercare. Con La cura (top della collaborazione con il paroliere filosofo Manlio Sgalambro) raggiunge il massimo livello di popolarità; il brano immortale è un delicato inno all'amore di una vita, lontano anni luce dall'I care veltroniano. L'uomo rimane timido e schivo, non sopporta il conformismo della massa, non si allinea mai al pensiero dominante. Probabilmente detesterebbe Fedez e ciò che rappresenta. È culturalmente progressista anche se confida a Lilli Gruber: «Non sono né di destra né di sinistra, sto in alto». In politica non ne azzecca una. Da assessore al turismo della Regione Sicilia dura quattro mesi e quando va a Bruxelles a insultare i parlamentari italiani («Sono delle troie, dovrebbero aprire un casino») viene travolto dalle critiche. Altro che meccaniche celesti. Il tramonto è lungo e dolce, il resto è suono. Diceva Laurie Anderson che «parlare di musica è come danzare di architettura». Un nonsense.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)