2024-12-24
Franco Arminio: «Rimettiamo Dio al centro o andremo incontro alla bancarotta interiore»
Il poeta: «Nei centri commerciali vedo solo gente infelice. Il Natale può essere l’occasione per mostrare le proprie ferite, basta fingere perfezione».Bisogna Accorgersi di essere vivi, dice il titolo dell’ultimo libro (firmato con Guidalberto Bormolini) di Franco Arminio, uno dei maggiori poeti italiani, di sicuro quello di maggior successo commerciale. È un inno alla vitalità che fa bene al cuore in una epoca in cui ansia e depressione sembrano dominare. Un inno che può accompagnare il Natale, aiutando a riscoprire il senso del sacro. Anche se Arminio non fa professione di fede, infatti, mette il sacro al centro di tutte le sue opere e aiuta i lettori ad assaporarlo. Negli ultimi giorni ha occupato le prime pagine la vicenda di uno scrittore famoso, Paolo Cognetti, che ha raccontato di aver subito un Tso per una profonda depressione. Perché secondo lei nella società occidentale, europea, sono così diffuse l’ansia, la depressione, il timore per il futuro? «C’è questo binomio molto drammatico di solitudine e depressione, di isolamento. La cosa è curiosa perché la nostra è una società tutta costruita su tecnologie che promettono connessione. Abbiamo tutti ogni giorno appresso questo oggetto, lo smartphone, che ci permette di parlare, di ricevere messaggi. Però alla fine giornata abbiamo un po’ tutti la sensazione di essere soli: non solo l’anziano, il malato, ma chiunque, il giornalista, lo scrittore, il sindaco, il farmacista... E questa è una cosa clamorosa perché le società del passato avevano tanti problemi, ma sicuramente la trama comunitaria era più fitta… Si lavorava insieme, c’era una sorta di interdipendenza tra le persone. Adesso ognuno ha il suo codice fiscale, ognuno ha il suo telefonino, la sua macchina, abbiamo preso una via che in qualche modo ci isola». E la depressione?«Dall’altra parte c’è la depressione in tutte le sue sfumature. Si va da una certa forma di tristezza - che è anche normale, perché la finitezza della vita oggettivamente può indurre un senso di tristezza - fino a forme severe come quella appunto raccontata da Cognetti. Il problema è che non se ne parla a sufficienza perché c’è una sorta di rimozione, una sorta di coazione a sembrare tutti efficienti, tutti in forma... Il punto è che non stiamo dentro una cornice».Cioè?«La nostra è una vita un po’ insensata, è una vita solitaria, quale che sia l’impresa economica, culturale... È così se manca una cornice. Io dico sempre: più che lettori voglio un popolo a cui appartenere, se voi mi date i lettori e non mi date il popolo in qualche modo mi togliete il terreno sotto i piedi. La cornice è questa e vale per tutti».Insomma un senso di comunità, un collocamento nel mondo.«Per questo secondo me la depressione è veramente molto presente. Cognetti ha segnalato una situazione estrema, ma io nel mio girare, nel mio parlare con le persone la vedo molto presente, la si legge nello sguardo della gente. Credo che l’attenzione per il mio lavoro dipenda anche da questo, dal fatto che la poesia è un lenitivo, è un farmaco». Ho la sensazione che questa depressione sia una forma di blocco, una paura di vivere. Il panico, quella sensazione indotta da Pan che ti blocca e ti fa disperare. «È una cosa molto complicata, azzardo queste ipotesi: oggi se noi per qualche ragione perdiamo il nostro corpo, perdiamo tutto. Una volta si andava in chiesa, adesso si va al laboratorio di analisi, quindi la nuova chiesa è diventata il policlinico. Se non sei inserito in una comunità, se il mondo sei letteralmente solo tu, ammalarsi e morire significa perdere tutto. Anche perché non si crede più a un orizzonte ultraterreno, abbiamo un po’ perduto la fiducia, la fede. Io sono stupito dal fatto che a un grande benessere - almeno per una parte dell’umanità- e di grande abbondanza, corrisponda poi questa povertà spirituale, questa incapacità di fare esperienze. La grande assente di questo tempo è la gioia».Davvero?«Una cosa è la gioia, una cosa è il piacere. La gioia ci riempie, il piacere immediatamente ci istiga alla ricerca di un altro piacere, in una corsa a colmare un buco che non si chiude mai. Di tutto questo secondo me bisogna parlare, bisogna parlarne nelle scuole, nelle famiglie... Il Natale sarebbe una bella occasione». In che modo?«A tavola sarebbe bello che qualcuno mettesse in mostra le sue ferite. Che qualcuno mettesse a tavola la sua solitudine, qualcuno mettesse a tavola la sua vita. Si solito si fugge sempre, magari in questi giorni si sta un po’ più vicini, si sta un po’ più fermi e non si dovrebbe sprecare questa occasione per confrontarci». Il Natale è una delle pochissime occasioni comunitarie che ci restano, dopo tutto. «Il Natale, anche se questo non lo si dice, fa parte degli eventi anche stressanti. Eventi ambivalenti: da una parte certamente c’è la festa, ma dall’altra parte ci si dispera, si pensa alla inadeguatezza della nostra vita. È come se sentissimo di non riuscire a stare dentro questa giornata che viene presentata come eccezionale, come unica, come straordinaria e sentiamo che invece la nostra vita è in qualche modo diversa… Che non ce la facciamo... Dunque lo ripeto: è una occasione preziosa per parlare delle ferite. Le dico una cosa».Prego. «L’altro giorno ero in un centro commerciale strapieno di gente e lì era evidente quale sia la nuova religione di questo tempo. Però vedevo le facce delle persone, non c’era lietezza. Ora, a a me potrebbe anche stare bene che uno vada in un centro commerciale, non è un problema. Il problema è la lietezza che le esperienze portano, la gioia che scatenano. O in questo caso la mancanza di gioia. Questo Natale porta gioia o non la porta? Questa è la domanda». La porta, per come lo viviamo oggi?«Secondo me no, ed è quindi una grande occasione per parlare della situazione. Mi spiace che non ci sia un’interrogazione radicale su questo». A proposito di «accorgersi di essere vivi», per certi versi la stessa iconografia del Natale - un bambino che nasce dentro una mangiatoia, in una grotta, in una condizione difficilissima - mostra fin dal primo istante una lotta contro le avversità dell’esistenza. Una lotta per la vita. «Ecco un’altra cosa incredibile. Stiamo festeggiando questo miracolo, questa creatura... Ma non lo sappiamo. Si sta perdendo questo orizzonte. Sono convinto che nella testa di molte persone, questo legame tra Natale e Cristo non ci sia più. Io da bambino avevo ben chiaro il fatto che Natale fosse questa storia qui: la mangiatoia eccetera. Oggi, anche guardando le immagini, questo fatto non entra nella nostra carne anche se è il momento più alto del sacro».E che conseguenze porta?«Siamo delle creature smarrite, perché secondo me questo divorzio dal divino è veramente tragico, non è una cosa senza conseguenze. L’uomo razionale e tecnologico che si è affidato alle merci è un uomo solo, è un uomo arrogante ed è un uomo che fa male a se stesso e agli altri. Per questo dovremmo ragionare di più sull’umano. È incredibile che gli intellettuali, quelli che per mestiere ragionano di queste cose, si siano persi e si arruolino in battaglie di corto respiro. Pensano a aggredire questo o quell’altro nemico... Dobbiamo ricordare che la vita ci sfugge, dobbiamo fare esperienza delle cose minime. Sono convinto di questa cosa: se non mettiamo sul tavolo la questione del divino, del sacro, della spiritualità, della profondità... Andiamo incontro a una bancarotta clamorosa».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.