2025-04-22
Con le sue (troppe) aperture Francesco ha reso la Chiesa di Roma un ospedale da campo
Papa Francesco il giorno della sua elezione, il 13 marzo 2013, saluta i fedeli dal balcone centrale della Basilica di San Pietro (Ansa)
Il suo pensiero era basato sulla teologia del popolo. Ha utilizzato la «sinodalità» per fare la sua rivoluzione. A volte assai ardita.«Buonasera». Quel saluto inusuale sulla bocca di un Pontefice fu il biglietto da visita con cui il cardinale Jorge Mario Bergoglio, divenuto Francesco, salutò la folla radunata in Piazza San Pietro il 13 marzo 2013. Fu il primo di una serie di atti e parole sorprendenti di quel cardinale «venuto quasi dalla fine del mondo» che il conclave aveva eletto, un po’ a sorpresa, dopo la storica «rinuncia» di Benedetto XVI. Il Papa argentino è morto ieri a Roma alle prime luci del giorno del Lunedì dell’Angelo, per un ictus, dopo un lungo ricovero (14 febbraio-23 marzo di quest’anno) per una polmonite bilaterale che ne aveva messo a rischio la vita, ma dalla quale sembrava essersi lentamente rimesso. Aveva infatti appena ricominciato incontri, udienze, e persino benedizioni: l’ultima proprio il giorno di Pasqua in Piazza San Pietro, l’altro ieri. Già nella scelta del nome, preso dal poverello di Assisi per la prima volta nella storia della Chiesa, si espresse l’ardire di riformatore di papa Bergoglio. Accolto con simpatia, anche per questo modo «sudamericano» di porsi, Francesco ha subito diretto la barca di Pietro nel solco della «conversione pastorale», come aveva messo nero su bianco nel programma del suo pontificato emerso nell’esortazione Evangelii gaudium (2013). Un Papa «conciliare», qualcuno ha scritto il vero Papa nel pieno solco dello «spirito» del Vaticano II, eletto dall’ala più liberal del collegio cardinalizio, con due grandi Pope maker, il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga e lo statunitense Donald Wuerl (entrambi poi caduti un po’ in disgrazia). Il pensiero di Francesco è stato animato dalla «teologia del popolo», una forma mitigata di teologia della liberazione da cui sarebbe stato espunto il condannato marxismo. Una forma mentis che lo ha portato ad avere una visione «politica» contro lo stato opulento e anche contro l’ateismo libertino, con una certa venatura di antiamericanismo, e non a caso c’è stata una forte liaison con quei movimenti popolari più volte incontrati durante gli anni di pontificato. L’enciclica Laudato sii, dedicata alla cura del creato, si è collocata dentro questo filone sebbene si sia spinta in alcuni passaggi un po’ arditi fino all’anatema contro i condizionatori. Da questo retroterra è sorta anche l’accusa di «Papa comunista». Ma nella sua idea di popolo c’era l’attenzione alla devozione popolare e alle radici religiose.Francesco è stato il Papa più mediatizzato della storia, le sue interviste non si contano: televisive, radiofoniche, a giornali e siti, libri. Oltre alle conferenze stampa sugli aerei di ritorno dai viaggi apostolici. Nel genere letterario particolare dei colloqui concessi a Eugenio Scalfari, quest’ultimo riuscì a mettere in bocca al cardinale di Buenos Aires frasi ambigue sulle labbra di un successore di Pietro: «Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici». Ma anche qui bisogna riconoscere che Francesco, quanto a riconoscimento dell’azione personale del nemico, non si è mai tirato indietro con citazioni e avvertimenti.Al primo Angelus, 17 marzo 2013, Francesco citò significativamente il cardinale Walter Kasper. Fu proprio il teologo tedesco a dettare l’agenda del doppio sinodo sulla famiglia con la sua relazione al concistoro straordinario del febbraio 2014. Un vero terreno di scontro, soprattutto sulla questione delle comunione ai divorziati risposati, risolta con una apertura in tre note a piè di pagina del capitolo VIII dell’esortazione post sinodale Amoris laetitia. Seguirono i dubia posti da quattro cardinali, Brandmueller, Burke, Caffarra e Meisner, a cui Francesco non ha mai dato risposta né udienza. Accompagnamento e discernimento, e, caso per caso, ai divorziati risposati può essere concessa l’eucaristia. Più in generale, Amoris laetitia, pur non deragliando verso l’eresia, ha aperto un processo per un «cambio di paradigma» della dottrina morale che ha portato anche a una ristrutturazione del già Istituto per matrimonio e famiglia di Giovanni Paolo II, affidato alle cure di monsignor Vincenzo Paglia eretto a gran cancelliere.A fianco di momenti forti per la pietà popolare, come quello del marzo 2020, in piena pandemia, da solo in piazza San Pietro con l’eucaristia, quella di «aprire processi» è forse la cifra più importante del papato di Francesco. La «sinodalità», da lui intesa non come un «parlamento cattolico», ma come un cammino in ascolto dello Spirito santo, ne è stata la chiave più forte. Come nel doppio sinodo sulla famiglia, così anche nel grande sinodo sul sinodo, anticipato dagli scossoni del cammino sinodale tedesco concluso nel 2023 con le benedizioni alle coppie gay in chiesa fino a richieste per l’abolizione del celibato sacerdotale. Il sinodo sul sinodo, che ha coinvolto tutta la chiesa, si mostra come una grande assemblea le cui conclusioni, però, sono molto meno forti di quello che si potevano attendere i liberal più spinti.Se da un lato Francesco ha praticato la medicina della misericordia, cui ha dedicato un Giubileo straordinario nel 2015/2016, con uno sguardo che procedeva dalle periferie verso il centro, quando si è trattato di governare ha mostrato un piglio deciso. Restano celebri alcune sue mosse come il trattamento riservato al cardinale Angelo Becciu, cui ha tolto le prerogative del cardinalato in un pomeriggio di settembre, o i colpi di motu proprio, come quello di Traditionis custodes (2021) che ha obliterato quello del suo predecessore Summorum pontificum del 2007 con cui Benedetto XVI aveva ridato cittadinanza alla messa in latino secondo il messale del 1962. O anche la riforma della Curia, più volte bacchettata, e che ha visto un lavoro lungo anni, fino alla costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19 marzo 2021, ma che poi nei fatti lo ha visto agire spesso saltando gli uffici preposti nelle scelte e negli atti di governo.Difficile dire cosa resterà dei processi aperti da Francesco, il quale, più che grandi cambiamenti, ha aperto porte per non tornare più indietro, per fare in modo che il tempo poi lavorasse per avanzare nelle riforme. Una Chiesa poliedrica e pluriforme, aperta, come un ospedale da campo, questa è stata la Chiesa di Francesco. Per tanti all’interno è sembrato troppo, per altri troppo poco: di certo molti vorrebbero ora una navigazione più tranquilla e il conclave che si apre sembra oscillare decisamente verso il centro. Un luogo politico che diventa di colpo anche un luogo ecclesiale: si va alla ricerca di un candidato che garantisca più ordine a un gregge sempre più disperso in mille valli.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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