2022-10-25
Francesco Bruno: «Il mostro di Firenze è ancora vivo. I “trofei” umani sono in una casa»
Francesco Bruno (Imagoeconomica)
Il criminologo e psichiatra forense: «Il serial killer aveva subito un trauma infantile per una malattia della madre. E ha deciso così di punire le altre donne. Ma non c’è alcun collegamento con il satanismo».Di un giallo si vorrebbe conoscere il vero colpevole. L’Italia, tuttavia, brulica di thriller clamorosi e irrisolti. Gli omicidi del mostro di Firenze e il delitto di Simonetta Cesaroni ne sono un esempio. Il noto criminologo e psichiatra forense Francesco Bruno, perito di tribunale, per vari anni ospite di Bruno Vespa a Porta a porta, analizza il fenomeno. Due legali invocano la revisione di una sentenza sul mostro di Firenze, quella a carico di Mario Vanni, deceduto. Il nome del vero killer delle coppie potrebbe essere negli atti del processo?«Secondo me è possibile, perché furono fatte moltissime indagini. Non tutte con un capo e una coda. Proprio per questo potrebbe essere che l’autore di qualcuna di quelle vicende sia nelle carte».In teoria, quel killer seriale potrebbe essere vivente? «Secondo me è una persona che potrebbe avere la mia età, 75 anni. Credo quindi che non ci siano motivi per essere sicuri che sia morto. Vivo è possibile che lo sia, morto non lo so».È ipotizzabile che, dopo l’ultimo duplice omicidio, dell’8 settembre 1985, di Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, il mostro abbia proseguito la sua vita da insospettabile?«Credo abbia proseguito una vita diciamo “normale”. Ma stando attento a evitare qualcuno che potesse conoscere qualcosa di lui e parlare. Per questo ci sono stati altri morti, non avvenuti con quella classica pistola (Beretta calibro 22, ndr) che non è mai stata trovata e secondo me è stata distrutta».Potrebbe aver compiuto altri atti delitti, in seguito?«Sì, noi li avevamo enumerati, erano almeno 4 o 5. In particolare un sardo, probabilmente quello che avrebbe fornito la pistola e conosciuto il mostro, è stato ucciso. Poi fu uccisa una signora, una strana veggente, che aveva un bambino piccolo e l’auto fu gettata da un dirupo. E poi un’altra, amica di una vittima del mostro, in quel caso in cui il mostro, dopo il delitto (uccisi Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, 19 giugno 1982, ndr), per l’unica volta telefonò all’ospedale per informarsi se l’uomo fosse ancora in vita. C’era traccia di questa telefonata, che non è stata minimamente approfondita. Sparò ai fari dell’auto, dovette scappare. Quando chiamò l’ospedale, gli dissero che l’uomo era morto».Lei tracciò un profilo psicologico del mostro. Quale il suo trauma infantile?«Probabile, secondo me, che quando aveva 7-8 anni, la madre fosse stata operata di tumore al seno. Fu privata sia del seno sia dell’utero, pensando, come all’epoca si faceva, che il tumore si sarebbe potuto replicare nell’utero. Lui dev’essere rimasto scosso da questo fatto infantile».E il padre?«Sicuramente quest’uomo non doveva essere importante e lui non ne ha tenuto gran conto».Qualcuno ha detto che poteva avere cognizioni chirurgiche, qualcun altro no. Secondo lei?«Secondo me le aveva in senso vago, forse lavorava in un ambiente chirurgico, oppure aveva studiato alcune nozioni. Sicuramente un medico non avrebbe compiuto questi delitti».In ogni caso, secondo lei lavorava?«Ne sono convinto».Che ne faceva di quei macabri reperti, ripuliti da parti adipose sulla scena criminis?«Li teneva come feticci per continuare a provare il brivido di questi delitti. Quindi sicuramente li ha conservati e, secondo me sicuramente, prima o poi, usciranno fuori».Pertanto, potrebbero ancora esistere?«Beh, saranno sicuramente conservati in qualche luogo, dove mai nessuno li è andati a cercare. Potrebbero uscir fuori per caso».Forse in un’abitazione privata?«Direi di sì».Aveva complici?«Agiva da solo».Ipotesi di delitti su commissione e collegamenti con sette sataniche? «Tutte fesserie».C’era una componente morale, pur deviata, di ascendenza cattolica, nelle azioni del mostro e in quella spettrale ritualità?«Sicuramente è così. Il mostro, con le sue attività, voleva in qualche modo punire queste donne per essersi sottoposte a pratiche fuori dal matrimonio, ma contemporaneamente le riabilitava attraverso i sacrifici che compiva con questi organi». Ciò si collegherebbe all’operazione all’utero e alla procreazione?«Esattamente».Il 10 settembre 1985 inviò per posta un lembo del seno sinistro di Nadine Mauriot al magistrato Silvia Della Monica. Minaccia o sfida?«Il problema è questo. Lui aveva cominciato la sua carriera di mostro con intenti moralistici e religiosi. Con il tempo si è convinto che questi moventi non ci fossero. Ha cominciato a pensare che lui non fosse come si auto-dipingeva. Per questo decise, in un certo senso, di auto-denunciarsi, mandando quel feticcio a Silvia Della Monica, ritenendo che, nel caso non fosse stato spinto dalla mano di Dio a compiere i suoi delitti, sarebbe stato fermato. Invece non fu capito. Nessuno riuscì a indagare adeguatamente sui numerosi elementi che lasciò».Che ne pensa di Pietro Pacciani? L’impronta di scarpa lasciata in uno dei luoghi del delitto era di taglia 44. Dalle analisi balistiche l’altezza del mostro risultava essere almeno 1 e 80. Pacciani non era così alto.«Sono arrivati al ridicolo di misurarlo in aula, Pacciani era alto, sì e no, 1 e 60. Dissero che, quando era giovane, il suo piede doveva essere maggiore. Non era vero, evidentemente». Il proiettile trovato nel suo orto era artefatto. Pacciani fu incastrato? «Eh beh, direi di sì, anche perché giustamente il poliziotto che allora dirigeva la squadra anti-mostro fu allontanato perché ne fece una di troppo. Scrisse un libro prima ancora che il processo Pacciani venisse fatto».Chi poteva avere interesse a inguaiare Pacciani?«Mah, Vigna sicuramente, perché Vigna aveva promesso che avrebbe preso il mostro, basando tutta la sua carriera su questo».Qualcuno, nella magistratura, sapeva chi era davvero il mostro?«Penso siano stupidaggini… Certamente io dimostrai che i famosi elementi indiziari contro Pacciani erano molto più presenti nel caso dello stesso Vigna. Però questo non significa che Vigna fosse l’autore. Certamente fa riflettere che due morti, due cadaveri, si trovassero vicino a casa sua…».C’è chi si è spinto a sospettare che il procuratore Pier Luigi Vigna potesse essere il mostro di Firenze.«Eh beh. Io non ci ho mai creduto, però l’ho detto per dargli fastidio. Infatti mi ha odiato per anni. Ripeto, c’erano moltissimi elementi…». Perché, nel settembre 2001, i suoi uffici furono perquisiti?«A un certo punto ero diventato consulente di parte di Pacciani. Avevo scritto un memoriale, che potevano chiedermi, ma nessuno lo fece. Sono venuti a cercare nei miei studi, per non trovare naturalmente nulla». Il delitto Locci-Lobianco del 21 agosto 1968, stessa pistola degli altri 7 assassinii, un bimbo rimasto illeso nella Giulietta, fu il primo del mostro?«Il delitto del ’68 fu sicuramente fatto dal mostro. Gli investigatori partirono da un presupposto sbagliato e cioè che l’assassino era stato il padre del bambino (Stefano Mele, marito della Locci, ndr). Questo non era vero».Anche l’avvocato Filastò ne era convinto. Il killer rimise gli slip all’adulterina. Ma perché attese 6 anni per il secondo delitto, quello del 14 settembre 1974, in cui s’accanì sul corpo di Stefania Pettini, anche infilandole un tralcio di vite nei genitali?«Questo è normale, perché questi serial killer cercano un omicidio per una serie di elementi, e poi cercano di non compierlo più, di evitarlo, fino a che non è più forte l’impulso ad agire».Jeffrey Dahmer, mostro di Milwaukee, fu catturato, Andrej Cikatilo, mostro di Rostov, pure. Quello di Firenze mai trovato. In Italia le indagini spesso s’impantanano. «Purtroppo, il problema è che l’Italia non è in grado di fare indagini adeguate. Spesso sono sbagliate. Molte volte si fanno scoperte casuali, ma non perché ci siano indagini adeguate».Il Tribunale di Firenze non fornisce le carte processuali ai legali Biscotti e Mazzeo, che vorrebbero riaprire il caso. Perché? «Il caso del mostro di Firenze, come altri, è diventato un problema perché chi ha partecipato a queste indagini, ha cercato di farsi i fatti propri, di diventare famoso, combinando tanti errori. Sanno che non tutto quello che hanno combinato è legale, tutto qua».Per il delitto di Simonetta Cesaroni nessun colpevole. L’Antimafia dice di tornare sul caso. Ha un’idea su chi potrebbe essere l’assassino? «Dubito che, anche per quel caso, ci siano elementi seri per proseguire le indagini, anche perché l’autore di quel delitto evidentemente è morto, il suo nome era sulle carte, c’è sempre rimasto, ma nessuno ha approfondito, anche quella volta si fecero errori spaventosi».Ha studiato anche il caso di Luigi Tenco, dichiarato suicida dopo il festival di Sanremo 1967. In un libro ha scritto che si tratterebbe invece di omicidio. «Ci sono indizi grandi quanto una casa, perché Tenco voleva denunciare che in quel momento, a Sanremo, vincessero quelli legati alle case discografiche. Le autorità della Rai cercarono di chiudere in mille modi. Molti elementi facevano però pensare non a un suicidio, ma un delitto. Quelle canzoni valevano molti soldi, quindi il povero Tenco fu sacrificato, ritenuto un drogato o quasi…». Sono molti gli assassini impuniti in circolazione?«Sì, moltissimi».Riflettendo sulla sua intensa vita professionale, quali conclusioni trae sull’Italia?«Guardi, ho capito adesso che, per tanti anni, ho detto cose, anche insegnandole all’università, non mie. In Italia non c’è nulla che sia quello che ti raccontano. Il fatto che più m’impressiona è che teniamo questo sistema della giustizia, fondamentalmente sbagliato. Dev’essere riformato. Ma non ci riusciamo, perché i nostri politici a tutto pensano tranne che fare le cose fatte bene».
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo
Papa Leone XIV (Ansa)
«Ciò richiede impegno nel promuovere scelte a vari livelli in favore della famiglia, sostenendone gli sforzi, promuovendone i valori, tutelandone i bisogni e i diritti», ha detto Papa Leone nel suo discorso al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna sono, nella tradizione italiana, parole che esprimono e suscitano sentimenti di amore, rispetto e dedizione, a volte eroica, al bene della comunità domestica e dunque a quello di tutta la società. In particolare, vorrei sottolineare l'importanza di garantire a tutte le famiglie - è l'appello del Papa - il sostegno indispensabile di un lavoro dignitoso, in condizioni eque e con attenzione alle esigenze legate alla maternità e alla paternità».
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