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2020-11-06
Francesco accentra le finanze del Vaticano
Papa Francesco (Ansa)
L'accentramento delle finanze vaticane compie finalmente, dopo ripetuti scandali e vatileaks, un passo importante lasciando le chiavi del forziere della Segreteria di stato in mano a monsignor Nunzio Galantino, attuale presidente dell'Amministrazione del patrimonio della sede apostolica. La potentissima Segreteria di stato, sconquassata dal volo di corvi e rapaci gabbiani, annidati anche all'interno, resta ora un dicastero come altri, senza portafoglio, addirittura con la possibilità di chiudere l'ufficio amministrativo.
La novità era nell'aria, quando il Segretario di stato Pietro Parolin non era stato incluso nella commissione cardinalizia dello Ior, ma ora è annunciata dalla Sala stampa vaticana con allegata una lettera autografa di papa Francesco datata 25 agosto 2020 e indirizzata proprio a Parolin. L'intento di Francesco è chiaro: togliere alla Segreteria di stato la possibilità di gestire qualsiasi patrimonio. Gli scandali culminati una quarantina di giorni fa con il siluramento dell'ex numero due della Segreteria, il cardinale Angelo Becciu, è stato un capitolo a sorpresa di una lunga vicenda di possibili malversazioni e corruzioni per cui indaga da tempo la magistratura vaticana e che hanno riguardato collaboratori e dipendenti della Segreteria.
Il Papa chiede che la Segreteria di stato trasferisca all'Apsa «la gestione e l'amministrazione di tutti i fondi finanziari e del patrimonio immobiliare», e poi Francesco dice espressamente a Parolin di «uscire al più presto» dagli «investimenti operati a Londra ed il fondo Centurion». Nel primo caso si tratta della famigerata compravendita dell'immobile londinese di Sloan Avenue e nel secondo caso del fondo maltese che avrebbe amministrato decine di milioni della Segreteria dividendoli in fondi off shore e obbligazioni di società in paradisi fiscali. Uscire, dice Francesco, o «almeno, disporne in maniera tale da eliminarne tutti i rischi reputazionali».
Così, continua perentoria la lettera, «tutti i fondi che finora sono stati amministrati dalla Segreteria di Stato siano incorporati nel bilancio consolidato della Santa Sede» e poi, in nome del principio di sussidiarietà, che Francesco richiama espressamente per dire che il portafoglio d'ora in poi è meglio lo gestiscano altri, «in materia economica e finanziaria» si operi con un budget «approvato attraverso i meccanismi abituali». Cioè, nel caso specifico, un budget che dovrà essere approvato e corrisposto dall'Apsa.
Ma il Segretario di stato d'ora in poi, oltre a essere un ministro senza portafoglio, in materia economica e finanziaria non avrà più neppure il compito di «vigilanza e controllo di nessun Ente della Santa Sede, né di quelli ad essa collegati o che ad essa si riferiscono». Questo compito di vigilanza è assegnato alla Segreteria per l'Economia, l'ente creato dal Papa poco dopo la sua elezione e inizialmente affidato al cardinale australiano George Pell e oggi guidato dal gesuita padre Antonio Guerrero. L'ultimo punto della lettera è una ovvia conseguenza di questo totale svuotamento: la Segreteria di Stato, scrive il Papa, è «opportuno che ridefinisca il proprio Ufficio Amministrativo, oppure valuti la necessità della sua esistenza».
Per attuare tutto questo, diceva Francesco il 25 agosto, si convochi una riunione ed è quella che ha avuto luogo la sera del 4 novembre e che ha annunciato ieri la Sala stampa. Con il Papa c'erano il cardinale Pietro Parolin, il sostituto della Segreteria, monsignor Edgar Peña Parra, il segretario del governatorato dello Stato di Città del Vaticano, monsignor Fernando Vergez, il prefetto della Segreteria per l'Economia, padre Juan Antonio Guerrero Alves e, ovviamente, monsignor Nunzio Galantino in qualità di presidente dell'Apsa. Nella stessa riunione è stata costituita una commissione che presieda a realizzare quanto disposto nella lettera nei prossimi tre mesi, membri della commissione sono Peña Parra, Galantino e padre Guerrero.
Si spezza così la (santa) trinità della finanze vaticane che ha sempre ruotato tra Segreteria di stato, Ior e Apsa, con quest'ultima che diventa sempre di più la banca centrale della Santa sede. Resta da capire cosa sarà dell'autonomia di budget ancora riservata al Governatorato e alla Congregazione dell'evangelizzazione dei popoli, anche nota come Propaganda fide, vera macchina per foraggiare le missioni in giro per il mondo. L'osso più duro, la Segreteria di stato, è stato alla fine spezzato e per farlo è dovuto entrare in campo direttamente il Papa. Bisognerebbe chiedersi come mai le indicazioni che venivano dal cardinale Pell, fin dall'inizio della sua missione nelle finanze vaticane nel lontano 2014, abbiano dovuto attendere 6 anni e molti scandali per vedersi attuare. Oltre al fatto che lo stesso Pell uno di questi sei anni ha dovuto passarlo nelle galere australiane, per una condanna infamante per abusi poi completamente cancellata e ribaltata dalla Corte suprema.
Meranda si è fatto una nuova vita ma le indagini non finiscono mai
Che fine ha fatto l'inchiesta sull'hotel Metropol, quella sui presunti petrorubli alla Lega di Matteo Salvini? Mistero. L'unica certezza è che il 30 ottobre i pm milanesi hanno presentato al gip Alessandra Clemente la seconda richiesta di proroga delle indagini, che dovrebbe allungare le investigazioni di altri sei mesi (portandole a 18, esclusi i periodi di sospensione). Adesso gli avvocati Lara Pellegrini e Ersi Bozheku, difensori dei tre indagati per corruzione internazionale (la prima assiste Gianluca Savoini, il secondo Gianluca Meranda e Francesco Vannucci), avranno cinque giorni per presentare memorie per opporsi eventualmente alla richiesta. Poi il giudice, come succede quasi sempre, disporrà la proroga. Tra sei mesi la Procura potrà giocarsi solo un'ultima istanza, prima di decidere se chiedere l'archiviazione o il rinvio a giudizio. Nel luglio del 2019 la Guardia di finanza aveva sequestrato i cellulari e i computer degli indagati e l'avvocato Meranda aveva chiosato, tra il serio e il faceto, che con quello che conteneva il suo iphone si poteva mantenere più di una famiglia: tradotto, il telefonino aveva in memoria notizie ghiotte per Procure e redazioni. I tempi si sono allungati per questo? In realtà quello di Meranda, all'epoca, sembrava più un augurio, visto che aveva appena subito lo sfratto esecutivo dall'ufficio e si disse che non fosse riuscito a pagare neppure il traslocatore. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Infatti l'indagato calabrese ha ripreso con profitto la sua attività di avvocato d'affari e il nuovo studio si trova a pochi metri dall'ambasciata americana di Roma. Abbiamo provato ad andare a trovarlo, ma dopo aver attraversato una porta a vetri con la scritta «Meranda avvocati», una segretaria dall'accento straniero, con gentilezza ci ha spiegato che il suo principale non c'era.
Anche Vannucci e Savoini hanno ricominciato a fare i consulenti, mentre gli inquirenti attendono probabilmente un qualche loro passo falso. Però l'esperienza ci insegna che se i magistrati milanesi avessero trovato una pistola fumante dentro ai loro apparecchi elettronici sarebbero già scattate le manette. Evidentemente le indagini si sono complicate e quella che i media avevano descritto come la prova provata dei rapporti illeciti tra la Lega di Matteo Salvini e il Cremlino deve avere perso qualche pezzo per strada.
Un anno fa ci fu chi arrivò a paragonare l'inchiesta sul Metropol a un nuovo Watergate, ma i Bob Woodward e Carl Bernstein nostrani da mesi hanno mollato l'osso e la Procura di Milano, 16 mesi dopo le perquisizioni ha chiesto un'ulteriore proroga. Non sorprende che indagini complesse come quelle che inseguono flussi di denaro in giro per il mondo abbiano bisogno di tempo, ma è altrettanto evidente che nel 2019 sembrava che la storia andasse solo infiocchettata. I cronisti avevano raccontato di essere andati in Russia e di aver documentato in presa diretta la trattativa tra i tre indagati e tre misteriosi russi per realizzare una compravendita di petrolio su cui fare la cresta a favore della Lega. Poi si è scoperto che qualcuno, forse lo stesso Meranda, aveva registrato la trattativa e, quando l'accordo era naufragato, il file era finito prima all'Espresso, poi sul tavolo dei magistrati e, infine, nella redazione di un sito d'informazione internazionale. C'era una regia? Chissà. Di certo l'utilizzo della registrazione del Metropol ricorda tanto le fughe di notizie teleguidate del caso Palamara. Se il disvelamento delle intercettazioni dell'hotel Champagne ha tagliato fuori dalla corsa a procuratore di Roma il favorito Marcello Viola, il cosiddetto Moscagate è servito a far perdere le staffe a Salvini, nell'estate del Papeete e delle sue dimissioni. Ora, di fronte alla seconda richiesta di proroga e al silenzio tombale dei giornali, l'ipotesi che a interessare non fosse l'inchiesta in sé, ma i suoi immediati effetti collaterali, è più che un sospetto.
Secondo Palamara questo genere di inchieste mette i magistrati in condizioni di trattare con il potere politico. Basti ricordare questa intercettazione ambientale: «La vicenda Siri (l'ex sottosegretario leghista Armando Siri, ndr), in condizioni normali Siri veniva arrestato! De Vito (ex presidente del consiglio comunale di Roma, ndr) è stato arrestato per molto meno! È una trattativa che vogliono fare con Salvini, fidati, io non mi sbaglio» Secondo l'ex presidente dell'Anm così andavano le cose nella capitale. Ma il rito ambrosiano potrebbe essere diverso. E magari, prima o poi, le indagini meneghine daranno i loro frutti.
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Dopo gli scandali che hanno investito la Chiesa per il caso Becciu, Jorge Bergoglio sposta dalla segreteria di Stato all'Apsa di monsignor Nunzio Galantino il controllo delle operazioni economiche e l'approvazione del budget. Cala sensibilmente il potere del cardinal Pietro Parolin.L'inchiesta Metropol non ha avuto esiti, nonostante proroghe e attenzione mediatica.Lo speciale contiene due articoli,.L'accentramento delle finanze vaticane compie finalmente, dopo ripetuti scandali e vatileaks, un passo importante lasciando le chiavi del forziere della Segreteria di stato in mano a monsignor Nunzio Galantino, attuale presidente dell'Amministrazione del patrimonio della sede apostolica. La potentissima Segreteria di stato, sconquassata dal volo di corvi e rapaci gabbiani, annidati anche all'interno, resta ora un dicastero come altri, senza portafoglio, addirittura con la possibilità di chiudere l'ufficio amministrativo.La novità era nell'aria, quando il Segretario di stato Pietro Parolin non era stato incluso nella commissione cardinalizia dello Ior, ma ora è annunciata dalla Sala stampa vaticana con allegata una lettera autografa di papa Francesco datata 25 agosto 2020 e indirizzata proprio a Parolin. L'intento di Francesco è chiaro: togliere alla Segreteria di stato la possibilità di gestire qualsiasi patrimonio. Gli scandali culminati una quarantina di giorni fa con il siluramento dell'ex numero due della Segreteria, il cardinale Angelo Becciu, è stato un capitolo a sorpresa di una lunga vicenda di possibili malversazioni e corruzioni per cui indaga da tempo la magistratura vaticana e che hanno riguardato collaboratori e dipendenti della Segreteria.Il Papa chiede che la Segreteria di stato trasferisca all'Apsa «la gestione e l'amministrazione di tutti i fondi finanziari e del patrimonio immobiliare», e poi Francesco dice espressamente a Parolin di «uscire al più presto» dagli «investimenti operati a Londra ed il fondo Centurion». Nel primo caso si tratta della famigerata compravendita dell'immobile londinese di Sloan Avenue e nel secondo caso del fondo maltese che avrebbe amministrato decine di milioni della Segreteria dividendoli in fondi off shore e obbligazioni di società in paradisi fiscali. Uscire, dice Francesco, o «almeno, disporne in maniera tale da eliminarne tutti i rischi reputazionali».Così, continua perentoria la lettera, «tutti i fondi che finora sono stati amministrati dalla Segreteria di Stato siano incorporati nel bilancio consolidato della Santa Sede» e poi, in nome del principio di sussidiarietà, che Francesco richiama espressamente per dire che il portafoglio d'ora in poi è meglio lo gestiscano altri, «in materia economica e finanziaria» si operi con un budget «approvato attraverso i meccanismi abituali». Cioè, nel caso specifico, un budget che dovrà essere approvato e corrisposto dall'Apsa.Ma il Segretario di stato d'ora in poi, oltre a essere un ministro senza portafoglio, in materia economica e finanziaria non avrà più neppure il compito di «vigilanza e controllo di nessun Ente della Santa Sede, né di quelli ad essa collegati o che ad essa si riferiscono». Questo compito di vigilanza è assegnato alla Segreteria per l'Economia, l'ente creato dal Papa poco dopo la sua elezione e inizialmente affidato al cardinale australiano George Pell e oggi guidato dal gesuita padre Antonio Guerrero. L'ultimo punto della lettera è una ovvia conseguenza di questo totale svuotamento: la Segreteria di Stato, scrive il Papa, è «opportuno che ridefinisca il proprio Ufficio Amministrativo, oppure valuti la necessità della sua esistenza». Per attuare tutto questo, diceva Francesco il 25 agosto, si convochi una riunione ed è quella che ha avuto luogo la sera del 4 novembre e che ha annunciato ieri la Sala stampa. Con il Papa c'erano il cardinale Pietro Parolin, il sostituto della Segreteria, monsignor Edgar Peña Parra, il segretario del governatorato dello Stato di Città del Vaticano, monsignor Fernando Vergez, il prefetto della Segreteria per l'Economia, padre Juan Antonio Guerrero Alves e, ovviamente, monsignor Nunzio Galantino in qualità di presidente dell'Apsa. Nella stessa riunione è stata costituita una commissione che presieda a realizzare quanto disposto nella lettera nei prossimi tre mesi, membri della commissione sono Peña Parra, Galantino e padre Guerrero.Si spezza così la (santa) trinità della finanze vaticane che ha sempre ruotato tra Segreteria di stato, Ior e Apsa, con quest'ultima che diventa sempre di più la banca centrale della Santa sede. Resta da capire cosa sarà dell'autonomia di budget ancora riservata al Governatorato e alla Congregazione dell'evangelizzazione dei popoli, anche nota come Propaganda fide, vera macchina per foraggiare le missioni in giro per il mondo. L'osso più duro, la Segreteria di stato, è stato alla fine spezzato e per farlo è dovuto entrare in campo direttamente il Papa. Bisognerebbe chiedersi come mai le indicazioni che venivano dal cardinale Pell, fin dall'inizio della sua missione nelle finanze vaticane nel lontano 2014, abbiano dovuto attendere 6 anni e molti scandali per vedersi attuare. Oltre al fatto che lo stesso Pell uno di questi sei anni ha dovuto passarlo nelle galere australiane, per una condanna infamante per abusi poi completamente cancellata e ribaltata dalla Corte suprema. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/francesco-accentra-le-finanze-del-vaticano-2648641184.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="meranda-si-e-fatto-una-nuova-vita-ma-le-indagini-non-finiscono-mai" data-post-id="2648641184" data-published-at="1604627751" data-use-pagination="False"> Meranda si è fatto una nuova vita ma le indagini non finiscono mai Che fine ha fatto l'inchiesta sull'hotel Metropol, quella sui presunti petrorubli alla Lega di Matteo Salvini? Mistero. L'unica certezza è che il 30 ottobre i pm milanesi hanno presentato al gip Alessandra Clemente la seconda richiesta di proroga delle indagini, che dovrebbe allungare le investigazioni di altri sei mesi (portandole a 18, esclusi i periodi di sospensione). Adesso gli avvocati Lara Pellegrini e Ersi Bozheku, difensori dei tre indagati per corruzione internazionale (la prima assiste Gianluca Savoini, il secondo Gianluca Meranda e Francesco Vannucci), avranno cinque giorni per presentare memorie per opporsi eventualmente alla richiesta. Poi il giudice, come succede quasi sempre, disporrà la proroga. Tra sei mesi la Procura potrà giocarsi solo un'ultima istanza, prima di decidere se chiedere l'archiviazione o il rinvio a giudizio. Nel luglio del 2019 la Guardia di finanza aveva sequestrato i cellulari e i computer degli indagati e l'avvocato Meranda aveva chiosato, tra il serio e il faceto, che con quello che conteneva il suo iphone si poteva mantenere più di una famiglia: tradotto, il telefonino aveva in memoria notizie ghiotte per Procure e redazioni. I tempi si sono allungati per questo? In realtà quello di Meranda, all'epoca, sembrava più un augurio, visto che aveva appena subito lo sfratto esecutivo dall'ufficio e si disse che non fosse riuscito a pagare neppure il traslocatore. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Infatti l'indagato calabrese ha ripreso con profitto la sua attività di avvocato d'affari e il nuovo studio si trova a pochi metri dall'ambasciata americana di Roma. Abbiamo provato ad andare a trovarlo, ma dopo aver attraversato una porta a vetri con la scritta «Meranda avvocati», una segretaria dall'accento straniero, con gentilezza ci ha spiegato che il suo principale non c'era. Anche Vannucci e Savoini hanno ricominciato a fare i consulenti, mentre gli inquirenti attendono probabilmente un qualche loro passo falso. Però l'esperienza ci insegna che se i magistrati milanesi avessero trovato una pistola fumante dentro ai loro apparecchi elettronici sarebbero già scattate le manette. Evidentemente le indagini si sono complicate e quella che i media avevano descritto come la prova provata dei rapporti illeciti tra la Lega di Matteo Salvini e il Cremlino deve avere perso qualche pezzo per strada. Un anno fa ci fu chi arrivò a paragonare l'inchiesta sul Metropol a un nuovo Watergate, ma i Bob Woodward e Carl Bernstein nostrani da mesi hanno mollato l'osso e la Procura di Milano, 16 mesi dopo le perquisizioni ha chiesto un'ulteriore proroga. Non sorprende che indagini complesse come quelle che inseguono flussi di denaro in giro per il mondo abbiano bisogno di tempo, ma è altrettanto evidente che nel 2019 sembrava che la storia andasse solo infiocchettata. I cronisti avevano raccontato di essere andati in Russia e di aver documentato in presa diretta la trattativa tra i tre indagati e tre misteriosi russi per realizzare una compravendita di petrolio su cui fare la cresta a favore della Lega. Poi si è scoperto che qualcuno, forse lo stesso Meranda, aveva registrato la trattativa e, quando l'accordo era naufragato, il file era finito prima all'Espresso, poi sul tavolo dei magistrati e, infine, nella redazione di un sito d'informazione internazionale. C'era una regia? Chissà. Di certo l'utilizzo della registrazione del Metropol ricorda tanto le fughe di notizie teleguidate del caso Palamara. Se il disvelamento delle intercettazioni dell'hotel Champagne ha tagliato fuori dalla corsa a procuratore di Roma il favorito Marcello Viola, il cosiddetto Moscagate è servito a far perdere le staffe a Salvini, nell'estate del Papeete e delle sue dimissioni. Ora, di fronte alla seconda richiesta di proroga e al silenzio tombale dei giornali, l'ipotesi che a interessare non fosse l'inchiesta in sé, ma i suoi immediati effetti collaterali, è più che un sospetto. Secondo Palamara questo genere di inchieste mette i magistrati in condizioni di trattare con il potere politico. Basti ricordare questa intercettazione ambientale: «La vicenda Siri (l'ex sottosegretario leghista Armando Siri, ndr), in condizioni normali Siri veniva arrestato! De Vito (ex presidente del consiglio comunale di Roma, ndr) è stato arrestato per molto meno! È una trattativa che vogliono fare con Salvini, fidati, io non mi sbaglio» Secondo l'ex presidente dell'Anm così andavano le cose nella capitale. Ma il rito ambrosiano potrebbe essere diverso. E magari, prima o poi, le indagini meneghine daranno i loro frutti.
Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
È lo stesso Pd, che si è sempre dichiarato europeista e anzi baluardo dell’europeismo contro le destre, che, una volta al potere, avrebbero sfasciato l’economia di questo Paese, portando lo spread a livelli insostenibili e rischiando così sanzioni europee pesantissime e insopportabili per le nostre finanze? È lo stesso Pd che, nei vari componenti multicolore e durante la grigia stagione dei governi tecnici, ha sempre approvato manovre (a partire da quella di Mario Monti) che hanno depresso l’economia del Paese?Spesso i politici dell’opposizione sembrano più degli opinionisti che dei rappresentanti del popolo. Espongono infatti tesi contro chi governa contraddicendo totalmente, o anche parzialmente, quello che hanno fatto quando governavano loro. Quest’ultimo caso è particolarmente eclatante, perché si tratta di una linea, quella di non mettere mai in discussione la politica economica, finanziaria e monetaria dell’Europa, che è stata sostenuta non solo come giusta, ma come opposta a quella del centrodestra. Ora che, per ragioni di tenuta finanziaria del Paese, e per evitare attacchi speculativi, il ministro Giorgetti scrive una manovra che rispetta tali parametri e che scongiura la salita dello spread, ebbene, ora tutto ciò non va bene.
Non è intento di questo articolo entrare nel merito della manovra. Questo giornale l’ha già fatto e continuerà a farlo. Intento di questo articolo è solo mostrare quanto ridicola, incoerente, sfacciata e al limite della vergogna, sia la tesi portata avanti dall’opposizione per chiedere le dimissioni di Giorgetti. Ma con quale faccia si può chiedere a qualcuno di dimettersi nel momento in cui fa ciò che si è sempre sostenuto che si debba fare, e cioè puntare un occhio verso il pesce, l’economia del nostro Paese e le relative manovre finanziarie, e puntare l’altro verso il gatto, cioè le stravaganze europee che, se seguite alla lettera come nel caso del green, fanno sparire non solo il pesce ma l’intera specie ittica.
È il Pd che dovrebbe dimettersi, mica Giorgetti. Il partito che ha sempre invocato il rispetto dei conti pubblici e paventato lo spettro dello spread chiede le dimissioni del ministro che ha riportato lo spread ai minimi dal 2009 e il deficit/Pil al 3%. Guardassero quello che succede in Francia, esercizio provvisorio, Germania, economia a picco, Spagna dove dilagano gli scandali, e Regno Unito anch’esso in gravissime difficoltà economiche. La Germania che ha da sempre dettato la linea dell’austerity, violando poi tutte le regole sul debito pubblico nonché sugli interscambi commerciali, ora si trova a dover proporre investimenti monstre, di decine e decine di miliardi, totalmente al di fuori delle regole europee, e destinati in gran parte a ridare il fiato alla produzione industriale tedesca, da sempre basata su quella automobilistica, attraverso una vera e propria economia di guerra. Ma alla Germania tutto è concesso, anche perché essa ha la golden share del pensiero, diciamo così, e delle azioni della presidente della Commissione Ue, la tristemente nota Von der Leyen che, insieme alla Lagarde, ha fatto più danni di quelli che anche nella peggiore delle ipotesi qualcuno poteva immaginarsi. Ma questo è un altro discorso che riguarda il rispetto delle regole europee che per alcuni è rigido, per altri meno rigido, per altri è elastico, per altri ancora, tra i quali l’Italia, rigidissimo. E meno male che il governo è riuscito a rivedere il Patto di stabilità inserendo in esso ampie dosi di ragionevolezza, altrimenti sarebbero stati guai ancora maggiori. Ma tutto questo, onestamente, al Pd, non dice proprio nulla? Come si fa a superare tenacemente, ampiamente e con perseveranza il limite del ridicolo con così tanta nonchalance? Guardate che bisogna essere particolarmente bravi, non è da tutti. Si deve tornare indietro con la memoria ai giocolieri dei grandi circhi che ormai non esistono più e aspettare quello annuale che si svolge a Montecarlo.
Personalmente capirei una discussione sul modello economico sottostante alla manovra del governo. Capirei un dibattito di politica economica e finanziaria basato su modelli alternativi, su scuole economiche diverse, su politiche che si differenziano per diversi modi di concepire il rapporto tra Stato e mercato. Concepirei la legittimità di un dibattito di questo tipo, così come il dibattito tra liberisti e keynesiani hanno animato il secolo XX. Mi rendo conto, mentre lo scrivo, che sto volando a un’altitudine alla quale, probabilmente, chi dibatte di questi temi oggi rischia di avere le vertigini. Oggi al posto dei dibattiti di politica economica ci sono i dibattiti dettati dalla concezione economica dell’Ue che ha la consistenza della gelatina. Discutibile che fosse quando Draghi ha presentato un piano per la riforma dell’Europa, lo hanno messo da parte perché cominciando a leggerlo si sono resi conto che non ci stavano capendo niente. Non sono abituati a Bruxelles ad andare oltre il seminato delle loro quattro regolette in croce alle quali si attengono e obbligano gli altri ad attenersi senza l’uso del neurone, ma solo della favella che assume la forma di provvedimenti, dichiarazioni, richiami, sanzioni, direttive. Di fronte al ragionamento economico basato su riflessioni profonde e anche accurate posizioni ideali il loro encefalogramma diventa immediatamente piatto.
Che ci volete fare? In tutto questo, il Pd, che cerca di recuperare consensi carica contro Giorgetti dicendo di non fare quello che fino a ieri loro hanno fatto e anche difeso e predicato come l’unica strada possibile. La coerenza ormai appartiene a un altro mondo che non c’è dato di conoscere, almeno in questo dibattito politico.
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Quanto è probabile una collisione tra satelliti? E quanti ce ne sono oggi in orbita terrestre? Ecco la storia del primo incidente cosmico.
(IStock)
Ragazzi con problemi, con difficoltà di relazione e anche di identità che, prima ancora di raggiungere la maturità, venivano considerati affetti da quella che si definisce disforia di genere e per questo avviati a una cura irreversibile. Bloccare la pubertà, impedendo, con l’assunzione di farmaci, la produzione di ormoni e la crescita della barba o del seno, il cambiamento della voce o l’arrotondamento delle forme, la crescita affettiva e la stabilità psicologica non è un gioco. È un passo che può condizionare e rovinare per sempre la vita.
Basta infatti leggere le risultanze della commissione d’inchiesta che indagò sulla clinica Tavistock di Londra, una delle prime in Europa a specializzarsi nel cambio di sesso e nelle cure nei confronti di minorenni con disforia di genere. Per anni nella capitale inglese un gruppo di medici ha somministrato con assoluta facilità e noncuranza la triptorelina ai bambini, con la stessa leggerezza con cui certi dottori suggeriscono di prendere l’aspirina. Ma il cambio di sesso non è un’influenza o un malanno passeggero, bensì una scelta fondamentale, che anche quando non si conclude con un intervento chirurgico per modificare il genere sessuale lascia scompensi profondi e disturbi gravi. Nonostante ciò, per anni la Tavistock ha «curato» i problemi sessuali dei minori in questo modo. Senza capire le ragioni delle difficoltà, senza indagare troppo sulle cause, ma pensando che un farmaco potesse rimettere a posto le cose che la natura aveva sbagliato. Per decenni si è pensato che la pillola del cambio di sesso rappresentasse la felicità per migliaia di adolescenti. Poi, in seguito a denunce, ripensamenti e qualche suicidio, qualcuno ha cominciato a riflettere e pentirsi. Sono stati gli stessi medici a rendersi conto che dare la triptorelina ai ragazzini senza aspettare che fossero adulti e senza comprendere davvero da che cosa originasse il loro disturbo fosse una scelta pericolosa. Oggi, dopo molte contestazioni e altrettanti rimorsi degli stessi medici, la Tavistock è stata chiusa e il servizio sanitario inglese ha avviato una profonda revisione del sistema che consentiva con facilità l’accesso al cambio di sesso per i minorenni.
Purtroppo da noi le mode arrivano con ritardo e dunque ciò che in Gran Bretagna oggi è noto e quindi maneggiato con estrema cautela, in Italia resta ignoto e quindi la novità è che negli ospedali italiani si «curano» i ragazzini affetti da disforia di genere come dieci o vent’anni fa si curavano a Londra, cioè imbottendoli di farmaci, avviandoli verso un percorso di cui più tardi potrebbero pentirsi. Una bambina di 13 anni a La Spezia, dopo il trattamento a suon di farmaci per bloccare la pubertà, è stata autorizzata dal tribunale al cambio di sesso. Avviata verso un futuro incerto. Del resto, se la moda, di Vanity Fair e della comunità Lgbt, ritiene che, anche quando si è minorenni, mutare l’identità sessuale sia un diritto, un passo verso la liberazione sessuale e il futuro, dunque un fenomeno da accogliere positivamente, rivestendo gli adolescenti con capi firmati, si capisce che questi bambini dal sesso indefinito fanno «tendenza». Un po’ come il colore burgundy o le pellicce ecologiche, che quest’anno trionfano sulle passerelle.
Certo, colpisce che ad autorizzare l’assunzione di farmaci che bloccano la pubertà e anche l’intervento chirurgico per trasformare una ragazza in un ragazzo e viceversa sia un tribunale, mentre un altro tribunale non autorizza tre bambini a ritornare a casa con i propri genitori solo perché la casetta nel bosco dove hanno vissuto finora non ha la luce e l’acqua corrente. I minori sono liberi di decidere di cambiare sesso, ma non sono liberi di vivere facendo il bagno nella tinozza. Se diventano transgender vanno bene a giudici, giornalisti e stilisti. Se si divertono a giocare in un prato, senza seguire le mode, compresa quella per cui l’identità sessuale è una convenzione che si può cambiare a piacimento, allora vanno tolti ai legittimi genitori affinché imparino come si sta al mondo.
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Danila Solinas e Marco Femminella, legali della famiglia Trevallion-Birmingham (Getty Images)
Venerdì 19 dicembre i giudici abruzzesi hanno respinto il ricorso presentato dai legali di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion per chiedere la revoca della sospensione della potestà genitoriale. Quel pronunciamento doveva restituire i due gemellini e la bimba di otto anni alla famiglia per far sì che festeggiassero il Natale insieme. E invece no: devono restare nella casa famiglia di Chieti per via di un broncospasmo. Pare incredibile, ma è così: sembra una sorta di accanimento terapeutico che diventa legal-burocratico. I giudici dell’Aquila hanno sentenziato che il decreto con cui il 20 novembre i bambini sono stati sottratti a mamma e papà è ampiamente motivato e che permangono le condizioni che giustificano il provvedimento. Per due ragioni. La prima è che «le valutazioni di idoneità contrastano in modo eclatante con le condizioni di istruzione verificate dopo l’inserimento in casa famiglia, ove è emerso che la bambina non sa leggere e scrivere, né in inglese né in italiano». Dunque il ministero dell’Istruzione ha certificato il falso? Se è così perché i giudici non inviano gli atti alla Procura? La seconda ragione è perché «una bronchite acuta con broncospasmo non segnalata e non curata dai genitori» avvalora la tesi che i bambini non siano assistiti a dovere.
Però anche i giudici si devono essere accorti che la vicenda della «casa nel bosco» non attira su di loro troppe simpatie così aprono uno spiraglio che è una sorta di carpiato con triplo avvitamento, ma che potrebbe dare un esito felice nelle prossime ore. Nel rimandare il fascicolo ai giudici del tribunale dei minori la Corte d’Appello ha stabilito che i tre bambini dovranno essere di nuovo ascoltati senza il condizionamento né dei genitori, ma neppure degli assistenti sociali. «L’audizione», scrivono i giudici, «non è un atto istruttorio, ma un diritto del minore: è assicurata la libertà di autodeterminarsi e di esprimere la propria opinione». I difensori di Catherine e Nathan - che in questi giorni non ha potuto vedere i figli per i vincoli del rigidissimo calendario burocratico, ma che sta allestendo per la festa la nuova casa messa a disposizione da Armando Carusi -, gli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, hanno prodotto nuove prove sulla capacità di socializzare dei bambini e hanno illustrato le ampie aperture che i genitori hanno fatto. Acconsentono a completare i cicli vaccinali; accettano la presenza di una maestra che, pur nell’ambito dell’istruzione imparata a casa, assista i bambini; hanno deciso di ristrutturare la vecchia casa in contrada Mondola e dunque non si vede perché non restituire loro la patria potestà. L’ascolto dei bambini diventa decisivo. Un passo avanti ci sarà quindi fra oggi e domani perché si potrebbe arrivare a concedere che i tre piccoli tornino a casa per Natale senza tuttavia che venga revocata la sospensione della potestà genitoriale. Su questa ipotesi si sarebbero espressi favorevolmente l’avvocato Marika Bolognese la tutrice Maria Luisa Palladino che per conto del Tribunale «per» i minori stanno seguendo la brutta favola della famiglia nel bosco.
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