2018-04-11
Franceschini lancia l’amo ai 5 stelle e allarga la frattura dentro il Pd
Assente Matteo Renzi, all'assemblea degli eletti è liberi tutti. Il ministro della Cultura: «Fase due, rendiamo i grillini una forza di governo». Maurizio Martina fa il pompiere ma già si fa la conta degli avversari in vista delle primarie. Domani e dopo il secondo round di incontri al Quirinale. Il presidente Sergio Mattarella inizierà con i gruppi (M5s per ultimo) e chiuderà con le cariche istituzionali: quasi certo un altro nulla di fatto. Matteo Salvini: «Forse non vedrò Luigi Di Maio». Intanto Giovanni Maria Flick si fa pubblicità: «Io buon premier». La prospettiva di elezioni anticipate mette in crisi gli azzurri. La Lega, forte del boom del 4 marzo, reclamerebbe molti più collegi. E c'è chi pensa già al cambio di casacca. La crepa nel Pd si è aperta, e si allarga dopo l'appello, ormai esplicito di Dario Franceschini: «Nessuno ha vinto per governare il Paese. Io penso che non basti più assistere. La prima fase è stata giusta, ma adesso dobbiamo prepararci alla seconda fase». Cioè governare. Ma se volete capire cosa succede nel Partito democratico dovete fare attenzione alle parole, pesate con il bilancino, del segretario reggente, Maurizio Martina. All'inizio il reggente esordisce cauto, dicendo: «Lo scenario vede il Pd attestato sulla linea decisa in direzione. Il giudizio severo del 4 marzo ci impone una riorganizzazione profonda, non siamo noi a poter esprimere una opzione di governo...». Sembrerebbe una porta chiusa. Ma subito dopo anche lui apre uno spiraglio a un governo: «Ci riteniamo responsabili verso l'Italia anche da posizioni di minoranza. Non rinunciamo all'ambizione di dire la nostra sui grandi temi». Franceschini aggiunge: «Facciamo diventare il M5s una forza di governo». Il nodo però è la successione a Matteo Renzi. Martina mette le mani avanti: «Facciamo un confronto interno senza prenderci a stracci». Debora Serracchiani dice, senza giri di parole: «Credo che il Pd abbia ben altri problemi, prima di trovare il candidato probabilmente deve ritrovare sé stesso». Poi aggiunge, senza ricorrere alla prima persona ma parlando evidentemente di sé: «Ci deve essere anche qualcuno che dica al leader che le cose non vanno bene o che le cose non si fanno in quel modo. E non è giusto - aggiunge l'ex governatrice - che quando lo si fa, si venga messi da parte». Tutto è in movimento, di nuovo. E nessuno determina la rotta da solo. A poche ore dall'assemblea dei gruppi del Nazareno, l'ultimo strappo arriva così, per bocca di una che è stata la numero due del partito. Poi la segue Franceschini. Quindi, nella serata di ieri si celebra l'ennesima discussione sul metodo, sul partito, ma con un occhio particolare al governo. Con Martina che prova a mediare. Tant'è vero che sul governo prova a mettere dei paletti: «Non possiamo immaginare la strada proposta da Di Maio - avverte il reggente - la sua è una logica irricevibile. Pd e Lega non sono certo interscambiabili» Sta di fatto che lentamente, ma in modo inesorabile, la posizione granitica e compatta del Pd, che dopo il voto sembrava essersi stretta intorno all'ex segretario, esaltata mediaticamente dalla tempesta virale del #senzadime si sta sgretolando. Il No blindato a qualsiasi governo sta diventando, in alcuni settori nevralgici del gruppo dirigente e del partito, un Ni possibilista e pragmatico. I fedelissimi di Renzi diventano chi con strappi bruschi, chi con più eleganza degli ex-renziani. Le pressioni di Mattarella e dei grandi saggi del Partito - con in testa un ex presidente e un ex segretario - erodono le certezze. Il dissenso strategico di Franceschini è pubblico da un mese. Quello di Andrea Orlando precede addirittura il voto. Le interviste di Luigi Di Maio («Dissotterriamo l'ascia di guerra») hanno segnato una discontinuità importante - anche formale - nei rapporti ufficiali tra il M5s e i democratici, facendo sembrare molto lontani i giorni ringhiosi dello streaming. L'affondo di Matteo Salvini contro Di Maio e l'indisponibilità a rottamare Silvio Berlusconi hanno creato per la prima volta le condizioni esterne più propizie. E poi c'è un piccolo big bang che sta deflagrando dentro il partito, dove i candidati in pectore alle primarie iniziano a proliferare. Ormai ci sono dei pesi massimi che scaldano i muscoli, basta fare l'appello per rendersi conto della posta in palio, come è noto è già in campo ufficialmente, dal dopo voto in poi, un candidato forte della minoranza: il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti (uno che può vantare di aver vinto in controtendenza, e non è poco). Ma è in campo anche - da questo fine settimana - l'uomo che è stato più vicino a Renzi negli ultimi mesi, Matteo Richetti, eterno alter ego, amico e rivale, animatore di una battagliera convention. Ed è in campo - anche se lei ancora non ha ancora accettato ufficialmente di correre - proprio Debora Serracchiani, che del Rottamatore è stata numero due. «Una candidatura», dice per ora, «non può nascere dal desiderio di una sola persona, ma deve essere il prodotto di uno spirito di squadra, di una volontà non solo individuale: se ci sono le condizioni, e se me lo chiedessero, potrei concorrere». L'ex governatrice del Friuli ha interrotto il suo rapporto con l'uomo di Rignano in tempi non sospetti, dopo il referendum, e senza dare troppo clamore allo strappo. Avrebbe il vantaggio di essere l'unica donna (se dovesse vincere sarebbe addirittura la prima leader donna del Pd) e quello di parlare alla maggioranza che è stata renziana e non gradisce passare dal segretario ad un suo oppositore. E poi c'è il dilemma della ex maggioranza: Renzi vorrebbe riuscire a convincere Graziano Delrio, che continua a rispondergli: «Non voglio correre per questa sfida» e dice «per ora sono il capogruppo del Pd». Solo pretattica per non essere bruciato nel toto nomi? Forse. Ma è anche vero che chi vuole stare in campo in modo competitivo deve partire subito. E la migliore prova che Delrio per ora resiste è che Renzi ha sondato anche uno degli uomini più fedeli, Ettore Rosato (per ora dislocato alla vicepresidenza della Camera). Rosato sarebbe un custode della linea, che invece la Serracchiani vuole cambiare, ad esempio sul tema cruciale delle alleanze. Certo, il M5s non è popolare, da queste parti, nemmeno tra chi vuole fare l'accordo. Ma sull'assemblea pesa un avvertimento di Franceschini: «Attenti. Se nasce un governo sovranista di lunga durata, si fanno la legge elettorale e si votano il presidente della Repubblica». Nel Pd tutti sanno che il vero rischio è proprio questo. Renzi alla fine non è venuto. E anche questo è un segnale. Parlerà solo dopo l'elezione del nuovo segretario. E allora se ne vedranno delle belle. Luca Telese <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/franceschini-grillini-consultazioni-pd-renzi-2558765489.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-colle-lancia-le-consultazioni-invertite" data-post-id="2558765489" data-published-at="1757681819" data-use-pagination="False"> Il Colle lancia le consultazioni «invertite» Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha convocato partiti politici e vertici istituzionali per il secondo giro di consultazioni al Quirinale. Si parte domani alle 10, con il gruppo Per le Autonomie del Senato; alle 10 e 30 tocca al gruppo Misto del Senato; alle 11 Mattarella incontrerà il gruppo Misto della Camera; alle 11 e 30 il gruppo Liberi e uguali della Camera. Il capo dello Stato riprenderà le consultazioni alle 16 e 30, con i gruppi del Partito democratico del Senato e della Camera; alle 17 e 30 sarà il turno del centrodestra unito, con i gruppi di Camera e Senato di Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia; la giornata si chiuderà alle 18 e 30 con i gruppi di Camera e Senato del M5s. Dopodomani alle 10 e 30 Mattarella incontrerà l'ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; alle 11 e 15 il presidente della Camera, Roberto Fico, e in chiusura, alle 12, il presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati. Dunque, pur in presenza del centrodestra unito, Mattarella riserverà ancora al M5s l'ultimo appuntamento con i partiti politici, così come avvenne in occasione del primo giro di consultazioni. Invertito invece, rispetto alla tornata precedente, l'ordine tra partiti e cariche istituzionali: Napolitano, Fico e la Casellati chiuderanno le consultazioni, che la volta scorsa avevano aperto. Il motivo? Qualcuno ipotizza la possibilità di conferire un mandato esplorativo alla Casellati o a Fico, anche se, con i partiti fermi ciascuno sulla propria posizione, sembra difficile che la situazione trovi uno sbocco nelle prossime ore. Ieri i tre blocchi sono rimasti pietrificati sui veti incrociati. Il M5s dice «no» a un'intesa con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, e vuole discutere solo con Matteo Salvini; la Lega continua a non accettare il diktat dei grillini; il Pd persevera nella scelta di restare alla finestra. Un gioco delle parti, secondo i più ottimisti, che vedono comunque all'orizzonte la formazione di un governo; un imbuto dal quale è impossibile uscire con un accordo, secondo i molti addetti ai lavori che prevedono nuove elezioni politiche per il prossimo autunno. Ieri Luigi Di Maio, leader del M5s, è tornato a ribadire la sua indisponibilità assoluta a discutere con l'intero centrodestra: «La proposta che mi sta facendo Salvini», ha detto Di Maio, impegnato in Molise in un tour elettorale, «è di fare un governo con Berlusconi e Meloni. L'unica cosa che insieme potremmo fare sarebbe sederci su una poltrona a non fare nulla: l'immobilismo. Ma io a Salvini l'ho detto: ci sediamo intorno ad un tavolo per cambiare le cose», ha aggiunto Di Maio, «per cambiare ad esempio la legge Fornero, o per Berlusconi ?». «È possibile», ha detto Matteo Salvini, «che l'incontro con il M5s non ci sia». A chi gli chiedeva se l'inversione dell'ordine delle consultazioni al Quirinale possa essere il viatico a un incarico esplorativo per la Casellati, Salvini ha risposto: «Non mi metto al posto di Mattarella. La Casellati? È eccezionale». «Il centrodestra unito», ha sottolineato la vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, «ha vinto le elezioni: siamo disponibili al confronto con chiunque, ma non accettiamo imposizioni da nessuno. Ci presenteremo dal presidente Mattarella con una proposta per dare risposte ai cittadini in tema di tasse, sicurezza, immigrazione, lavoro, povertà». Il Pd? Resta fermo sulla posizione renziana, ovvero «opposizione a tutti i costi». Una linea irrobustita dalla notizia che M5s e centrodestra avrebbero trovato l'intesa sulla presidenza della commissione speciale della Camera, che quasi sicuramente andrà al leghista Giancarlo Giorgetti, mentre al Senato il presidente è Vito Crimi del M5s. «Anche sulle presidenze delle commissioni speciali», ha scritto su twitter il presidente del Pd, Matteo Orfini, «accordo spartitorio tra M5s e centrodestra. Perché al netto delle sceneggiate la maggioranza Salvini-Di Maio-Berlusconi c'è già». «Loro», ha aggiunto Ettore Rosato, vicepresidente della Camera, «stanno lavorando per un governo M5s-Lega, come vi spiegate altrimenti il fatto che una commissione speciale va alla Lega e una a M5s? Si stanno organizzando per fare un governo» . Dunque, le dichiarazioni ufficiali segnalano una cristallizzazione delle posizioni delle principali forze politiche. Ma dietro le quinte le diplomazie continuano a lavorare per capire se sia possibile formare una «coalizione» (come l'ha definita Mattarella al termine del primo giro di consultazioni) in grado di sostenere un governo. Il ritornello che si ascolta nei corridoi dei palazzi romani è relativo alle imminenti elezioni regionali, in Molise (il 22 aprile) e in Friuli Venezia Giulia (il 29). In Molise il centrodestra spera di ribaltare i pronostici che vedono favorito il candidato del M5s, Andrea Greco; in Friuli Venezia Giulia pronostici tutti per il leghista Massimiliano Fedriga. I risultati di queste due tornate elettorali saranno un primo termometro del giudizio degli elettori sui primi passi dei partiti dopo le politiche del 4 marzo. Se si tornasse a votare a ottobre, occorrerebbe comunque approvare una nuova legge elettorale, che conferisca un premio di maggioranza. Alla lista, o alla coalizione? La seconda ipotesi è la più gettonata: il centrodestra si riunirebbe in un contenitore chiamato «Lega Italia». A proposito di centrodestra, non manca chi ancora spera di dare vita a un governo guidato dal braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti, con il sostegno esterno del Pd. Nel vuoto si fanno spazio anche le ipotesi «tecniche» come quella del presidente emerito della corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, il quale ieri, intervistato dall'Huffingtonpost, si è lasciato andare a un eccesso di modestia: «Sarei un buon premier come tanti altri. Di certo so che il termine contratto in politica non mi piace». Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/franceschini-grillini-consultazioni-pd-renzi-2558765489.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-fi-aumenta-la-paura-delle-urne" data-post-id="2558765489" data-published-at="1757681819" data-use-pagination="False"> In Fi aumenta la paura delle urne «Non abbiamo paura del voto!». Traduzione: «Abbiamo una fifa matta del voto». Forza Italia è in preda alla sindrome della poltrona: se non si trova una quadra sulla formazione del nuovo governo, il prossimo ottobre si tornerà alle urne, e la pattuglia di parlamentari forzisti, 104 deputati e 61 senatori, è destinata ad assottigliarsi. E così i parlamentari a rischio, ovvero quelli alla prima elezione, ripetono un ritornello che più che una previsione sembra un auspicio: «Un governo si farà, con calma si farà». Dire addio a un seggio di deputato o senatore dopo sei mesi farebbe male, anzi malissimo. I sondaggi segnalano una flessione di almeno due punti percentuali rispetto al già deludente 14% ottenuto dal partito di Silvio Berlusconi lo scorso 4 marzo. Non solo: se si tornerà alle urne, sia che il centrodestra si ripresenti con la formula della coalizione, sia che si dia vita a una lista unica, la trattativa tra Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia sui collegi uninominali avrà un epilogo molto diverso rispetto a quello delle ultime politiche. Lo scorso 4 marzo, il centrodestra ha ottenuto 109 deputati e 58 senatori per la quota maggioritaria, ovvero quella riservata ai collegi uninominali, dove l'alleanza ha espresso un solo candidato per ciascun collegio. Su 109 deputati eletti con i voti di tutta la coalizione, 50 sono di Forza Italia, 52 della Lega e il resto di Fdi e della quarta gamba centrista. Al Senato, sui 58 totali, la Lega ne ha ottenuti 21 e Forza Italia ben 28. Il motivo di questa supremazia berlusconiana è che i collegi uninominali considerati sicuri sono stati divisi tra gli alleati avendo come base i sondaggi di Alessandra Ghisleri, che prima delle elezioni segnalavano Forza Italia in vantaggio sulla Lega. Alle prossime elezioni, invece, la divisione tra gli alleati, come spiega alla Verità chi sta lavorando alla pratica, avverrà tenendo conto dei voti veri, quelli espressi dagli italiani lo scorso 4 marzo. La Lega, quindi, farà pesare il 17,4% ottenuto alle politiche a livello nazionale ma soprattutto al Nord. Al Carroccio spetterà quindi un numero molto superiore di candidati all'uninominale, sia in linea generale che per quello che riguarda i collegi «blindati»: a fare spazio ai leghisti saranno inevitabilmente i berlusconiani. In molti tra i neoeletti di Forza Italia saranno quindi destinati, in caso di nuove elezioni, a restare a casa, conservando giusto il tesserino di parlamentare come souvenir. Una prospettiva che scatena l'angoscia di tanti neoparlamentari. «Assistiamo», confida un alto dirigente forzista, «a due tipi di fenomeno. Il primo: molti nostri parlamentari cercano di accreditarsi presso Matteo Salvini per garantirsi la rielezione, ma senza molte speranze visto che la Lega ha sul territorio tanti dirigenti che non sono stati candidati la scorsa volta e che sono già in prima linea per le prossime elezioni. Il secondo: preghiere e riti scaramantici, che hanno come obiettivo la formazione di un governo». Carlo Tarallo
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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