2024-04-07
Nessuno riesce a parlare del silenzio senza cadere nell’ordinaria scrittura
Francesca Manfredi (Getty Images)
La nuova letteratura italiana manca di stile, a causa dell’illusione di dover replicare il modo di esprimersi quotidiano. «Il periodo del silenzio» non fa eccezione: nulla di stravolgente, con 250 pagine in più del necessario.Quante volte ho sentito parlare di silenzio? Quanti poeti ho incontrato che mi leggono la loro memorabile poesia sul silenzio? Invero con esiti non di rado involontariamente comici. Quante persone che praticano una via a loro dire spirituale predicano del peso del silenzio, del bisogno dell’ascolto del silenzio, della potenza generatrice e rigeneratrice del silenzio? Tranne quando partono per la tangente e iniziano a imbastire personalissimi sproloqui mistico-sapienziali. E certo, anch’io ci sono cascato dentro chissà quante volte, e ne ho scritto in diverse pagine, in articoli, ne ho trattato alla radio o ho cesellato dei versi incauti e sbruffoni illudendomi di aver compreso il profondo significato del termine silenzio, del verbo fare o farsi silenzio. Certo, ho allungato il passo così tante volte nei boschi alla ricerca di quello stato che dentro di me chiamavo silenzio, pur senza raggiungerlo mai, poiché il silenzio è uno stato inalienabile, un limite all’infinito che non viene mai conquistato.Francesca Manfredi (Reggio Emilia, 1988), giovane promessa della nuova letteratura, già vincitrice di premi da copertina e autrice di opere edite da ottimi editori, manda in stampa il romanzo Il periodo del silenzio, per La nave di Teseo. La cosa più bella di questo volume è la copertina, davvero ipnotica, opera di Sofia Bonati, o meglio la copertina e il titolo; sarà perché ogni libro che porta la parola «silenzio» mi attrae e spesso finisco per comprarlo. Ora avendolo letto mi sono chiesto perché sia stato scritto. La trama? Il personaggio, Cristina, ventotto anni, decide di togliersi dal baccano mediatico, si cancella dai social e si accompagna a un silenzio esistenziale. La lingua scritta è ordinaria e qui a mio parere nasce la questione principale: un buon romanzo cos’è? Se penso alle storie che leggevo da ragazzo, ad esempio Il vecchio e il mare di Hemingway, o Celine, o Proust o Melville o Berto o Cassola, ma anche i romanzi per ragazzi, o Dylan Dog, avevo davanti a me due elementi considerevoli: uno stile di scrittura e una trama originale e forte, quantomeno distinta. Il vecchio è il mare è quello, tutti sapremmo spiegarlo in poche parole. Però è leggendolo che intuiamo la magnificenza, l’eleganza, l’essenzialità di un linguaggio che era Hemingway, e ben pochi altri. Non di meno nel fumetto, dove quantomeno per quel che concerne le saghe di Casa Bonelli, la raffigurazione è puntualmente molto curata e il testo composto da ottime penne, vedi Sclavi o Boselli, o i compianti Nolitta, Ambrosini e Castelli. Cassola ci ha donato diversi romanzi di valore, anche se mi resta nel cuore soprattutto Il superstite, con quel cane che resta unico testimone del mondo che va a morire dopo una silenziosa catastrofe nucleare. E che cosa potrei dire di questo romanzo della Manfredi? La lingua sinceramente è quotidiana, certo, scritta con puntualità, ma chi potrebbe riconoscerla se si leggessero cinque pagine estrapolate a caso da questo o da chissà quanti altri romanzi editi quest’anno per altre venti, cinquanta, cento buone case editrici? A me pare che la nuova letteratura italiana manchi anzitutto di stile, e mi fa specie che per trovarne bisogna andare a ricercare Moresco, o addentare l’ultimo Voltolini, o ricorrere a Parente, ad Atzeni, a Vanni Santoni e così via. Oppure individuare più o meno piccoli romanzi di case editrice meno note, amici di amici, che senza grandi attese si formalizzano anzitutto in uno stile ricco, consapevole, elaborato. Forse si vive nell’illusione che scrivere come parliamo, o come scriviamo su Facebook, insistendo a descrivere le minime frizioni della quotidianità, analizzando esistenze comprese tra studi, professioni, crisi matrimoniali, sesso pornografico e avventure extraconiugali, diari psicodrammatici, possa aprire al vasto pubblico? Basta una buona idea? Quante volte sentiamo di qualcuno che si vuole togliere dalla confusione e dalla dipendenza dei social? Io stesso l’ho fatto per poi ricascarci e me lo riprometto almeno una volta a settimana. Ma non sarebbe meglio elaborare uno stile che superi l’ordinaria scrittura? Ma ammettiamo che Il periodo del silenzio sia uno dei romanzi migliori dell’annata, da cosa si capisce? Se è lo stile apriamolo in due punti casuali e lasciamoci vivere da quel che leggiamo.Ad esempio, pag. 9, incipit: «Una volta lessi, non ricordo nemmeno dove, una statistica alquanto stupida sui suicidi. La modalità di ricerca non era specificata, immagino prendesse in esame i tentativi falliti. Il cinque per cento degli intervistati sosteneva la mancanza di una premeditazione, così come l’assenza di quello che si può definire un raptus. Niente depressione maggiore, quantomeno non diagnosticata, niente crisi di panico né angoscia, no alla domanda sulla relazione conclusa in maniera traumatica, non al lutto, no, no». Telegrafico, liscio, ok, ok.Salto a pagina 120: «Mi ero addormentata come fanno i cani sordi, eppure le mie orecchie sentivano benissimo. Non si è mai sentito di un muto che dorme più profondamente della media a causa della sua condizione, e invece eccomi qua». In effetti dichiaro di essere in difficoltà, capita che talune intuizioni appena scritte sembrino profonde, veraci, fulminanti, poi rileggendole è come se le pagine si accartocciassero, e qui un po’ di imbarazzo emerge. Poiché gli editori gridano al miracolo ogni tre per due ci si sente anche in obbligo di voler intendere e capire, per non farsi fregare troppo spesso. In fondo nutriamo il sospetto che di grandi lavori non ce ne siano così numerosi, e non per una visione verticale della cultura o della letteratura, semmai per esperienza; poiché sono certo che ogni autore e ogni autrice si impegni, dispiace constatare che l’esito non sia stato travolgente. Se quel silenzio di cui parla il titolo del romanzo della Manfredi fosse stato più lungo, più profondo, mi chiedo, ne avrebbe giovato la penna? Invece di 250 pagine magari ne avrebbe stillato la metà…
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Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.