
Alessandro Di Battista attacca frontalmente gli alleati: «Devono restituire i 49 milioni fino all'ultimo centesimo» e infiamma la fronda interna del Movimento. La Procura vaglia l'ipotesi della rateizzazione, il Carroccio intanto rinvia la riunione sulle riforme.Roberto Fico, presidente della Camera, dopo gli applausi incassati alla festa del Pd ha pensato di passare qualche giornata in silenzio. A mettere però un cuneo tra la parte gialla del governo e quella blu ci ha pensato ieri il giovane Alessandro Di Battista che in pellegrinaggio verso la Pachamama, la madre terra sudamericana, trova il tempo di rilasciare una lunga intervista a Otto e mezzo. «La Lega deve restituire fino all'ultimo centesimo il maltolto: non c'entra niente il processo politico, ma quando mai? Se fossi un militante della Lega gli chiederei di restituirli perché sono soldi dei cittadini», ha detto come un renziano qualsiasi . Ma il suo modo fricchettone di esporre i temi non deve far sottovalutare la gravità e il peso della posizione. Di Battista non parla solo per sé. Parla per una fetta del suo partito che in qualche modo continua ad avere un dialogo stretto con la fronda di Fico e pure con il gruppo di senatori (quello guidato da Elio Lannutti, per capirsi) e il cuneo posizionato ieri non sarà facile da rimuovere. Basti pensare che il giorno prima del sequestro dei 49 milioni di euro al partito che fu di Umberto Bossi i pentastellati hanno tentato un blitz. La mossa - evidentemente bloccata dagli uomini vicini a Matteo Salvini - prevedeva l'inserimento dentro il decreto Bonafede contro la corruzione, di una norma dedicata ai partiti. Cioè un nuovo modello di finanziamento ai partiti. Guarda caso contro la corruzione. Il testo sarebbe uscito assieme al decreto spazza corrotti e quindi in concomitanza con il sequestro. Un modo per dire agli elettori grillini che la Lega rientra in quel gruppo. Cioè nel gruppo dei vecchi partiti. I vertici del Carroccio hanno fatto presente che un cambio delle norme va fatto con un tavolo di discussione e non con una norma scritta in poche ore. Paradosso vuole che a spingere per il comma sia stato proprio Gianluigi Paragone, che è stato stretto collaboratore dei vecchi vertici del Carroccio e oggi è posizionato nella parte di lotta del M5s. La stessa che ha spinto ieri Dibba a dichiarare che «se sulla nazionalizzazione di Autostrade la Lega si tirasse indietro, si sputtanerebbe. Mi auguro che non segua Giancarlo Giorgetti che rappresenta l'ala maroniana della Lega. E poi conflitto d'interessi e altri diritti sociali. La Lega si sputtana anche se ferma la riforma anticorruzione di Bonafede: mi auguro non lo faccia», ha aggiunto concludendo: «Se il governo durerà 5 anni? Non lo so, mi auguro che faccia cose buone e nei primi 100 giorni si è fatto tanto. Io non devo difenderlo per forza ma lo sostengo perché penso che solo con questo governo si possano garantire certi diritti anche se non faccio parte della Lega e non amo particolarmente Salvini». Che Dibba non amasse Salvini non è una novità ma il pressing manettaro è mirato a mettere in crisi ancor più la Lega nel momento in cui la Procura avrebbe lanciato un salvagente pratico per uscire dall'impasse del sequestro. Tra le ipotesi ci sarebbe il prelievo graduale, per dare la possibilità alla Lega di continuare a svolgere la sua attività politica. Dopo l'incontro con i magistrati, gli avvocati della Lega avrebbero partecipato a una riunione in via Bellerio per fare il punto della situazione e parlare proprio di questa opzione. Accettare la rateizzazione è una scelta pratica e logistica ma dal punto di vista politico può essere utilizzato, ancor più che dalla minoranza, dalla fronda grillina che soffia per spezzare il governo in due. D'altronde i motivi di attrito vanno sempre più consustanziandosi. Ieri il vicepremier Luigi Di Maio ha parlato in audizione alla Camera. Tema: la prossima manovra. «Il superamento della Fornero è la nostra priorità», ha spiegato ieri il grillino, «con l'introduzione della quota 100, tenendo presente chi ha maturato una anzianità contributiva di 41 anni», ha ribadito facendo riferimento alla quota 100 per l'uscita dal lavoro, ovvero i 41 anni di contribuzione. Le ultime notizie sulle pensioni erano giunte questa mattina con le dichiarazioni di Alberto Brambilla, consulente - anche se non della cerchia più stretta - del vicepremier Matteo Salvini nonché uno fra i massimi esperti in Italia di politiche previdenziali. Brambilla aveva chiarito alcuni punti del piano del governo - per lo meno sul fronte leghista - spiegando che la quota 100 è allo studio «con almeno 64 anni di età e 36 di contributi e con sconti sugli anni di uscita dal lavoro per le categorie dei lavoratori precoci e delle donne con figli». In pratica il taglio dell'ape social. In ogni caso se Di Maio si è detto favorevole al modello di uscita dalla Fornero ha ribadito che deve essere controbilanciato (politicamente) con la pensione di cittadinanza (780 euro al mese) e il taglio delle pensioni d'oro che nel gergo grillino è la sforbiciata della parte retributiva sulla fetta di assegni superiore ai 4.000 euro netti mensili. La Lega ha detto no a quest'ultima ipotesi e difficilmente cambierà idea. Un segnale: la riunione economica del Carroccio è slittata da ieri a stamattina. Non solo perché è esploso il tema della rateizzazione dei fondi, ma anche perché il gruppo dirigente ha deciso di prendere tempo prima di dettare una risposta all'audizione di Di Maio. Sono frizioni che un animale politico come Michele Emiliano, governatore piddino della Puglia coglie al volo: «Sul reddito di cittadinanza», ha subito detto a Di Maio, «la mia Regione è pronta a collaborare».
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Il pro Pal Mamdani vuole alzare le tasse per congelare sfratti e affitti, rendere gratuiti i mezzi pubblici, gestire i prezzi degli alimentari. Per i nostri capetti progressisti a caccia di un vero leader è un modello.
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