2020-03-28
Fra Conte e Gualtieri non mettere il Mes. Ora è gelo nel governo
Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri (Ansa)
Il ripudio del Fondo salvastati e i toni contro Bruxelles allontanano il premier dal suo ministro. Resta però tutta da capire la strategia di Palazzo Chigi.All'indomani di una delle sedute del Consiglio europeo più lunghe e convulse della sua storia, l'azione del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è stata salutata con termini che, messi in sequenza, non si ascoltavano dal ventennio del secolo scorso.Ha tracciato il solco il portavoce del M5s, Vito Crimi che, giovedì sera, ancora prima della conclusione del Consiglio, scriveva su Twitter «grazie a Conte per aver saputo rappresentare e difendere l'Italia e gli italiani. Il nostro Paese e l'Europa hanno bisogno di un sostegno reale e incondizionato. Le logiche del passato sono inaccettabili, non rispondono alle sfide di oggi. Indietro non si torna». Seguito a ruota da Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, che, con tono belligerante, scandiva: «Conte testimonia dignità e fierezza di un paese che non si piega al Mes. Altri ci hanno svenduto, ora il governo Conte non cede, non arretra. E lo fa con M5s compatto che chiude al Mes e ad un'Ue “meschina". Alla faccia di chi ci dava dei “venduti"». Per concludere con Marco Travaglio che ieri titolava sul Fatto Quotidiano «il vaffa di Conte alla fu Europa. Il premier attacca il fronte del nord». Tutti galvanizzati da Conte che finalmente aveva dissotterrato l'ascia di guerra dichiarando: «Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato allora voglio dirlo chiaro: non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l'Italia non ne ha bisogno».Tutto questo esibire i muscoli perché nella dichiarazione finale del Consiglio è sparito ogni riferimento alla parola Mes, che invece c'era nella bozza che circolava tra i diplomatici, con la quale si è aperto il confronto. Il documento recita: «Prendiamo atto dei progressi compiuti dall'Eurogruppo. In questa fase, lo invitiamo a presentarci proposte entro due settimane». Il Mes, parola citata ben otto volte nella lettera del Presidente dell'Eurogruppo al Presidente del Consiglio Charles Michel, con dovizia di particolari sui dettagli concordati, è scomparsa del tutto. A questo punto non si capisce su cosa dovrebbero lavorare i ministri delle Finanze nelle prossime due settimane, se erano stati proprio loro ad invitare i leader a prendere una decisione su alcune questioni dirimenti rimaste in sospeso sull'applicazione del Mes.Allora ci si chiede per conto di chi abbia lavorato il ministro Roberto Gualtieri martedì sera e nei giorni precedenti. Chi gli ha dato il mandato di avallare le conclusioni di Mario Centeno che prevedevano il Mes come unico strumento pronto all'uso per fornire sostegno finanziario agli Stati alle prese con la crisi economica da Covid-19? Tanto pronto all'uso che il direttore del Mes, Klaus Regling, aveva pure definito l'ammontare disponibile per ciascuno Stato, offrendoci la miseria di 35 miliardi?La vicenda della riforma del Mes aveva già aperto un serio problema nei rapporti tra Parlamento e governo, che si era mostrato sordo agli atti di indirizzo del Parlamento per ben due volte e con due diverse maggioranze, a giugno e a dicembre 2019. Ma ora si apre una voragine anche all'interno del governo. C'è sintonia tra il mandante (Conte) ed il mandatario (Gualtieri)? Qual è la linea dell'Italia?Martedì pomeriggio, prima dell'Eurogruppo, Gualtieri in audizione parlamentare aveva fatto esplicito riferimento alla possibilità di attivare il Mes «senza condizionalità» e, in effetti, il comunicato di Centeno parlava di «termini e condizioni coerenti con la particolare natura della sfida condivisa da fronteggiare» ed era questo il sentiero su cui sembravano avviati i leader. Una condizionalità minima. Ma l'incantesimo si è rotto quando i leader hanno dovuto fare i conti con la realtà delle precise disposizioni del Trattato del Mes che prevede «rigide condizionalità». Prendere o lasciare. Tutte cose che Gualtieri conosceva già, ma che evidentemente riteneva accettabili. Il clima si è ancor più irrigidito quando la coalizione dei nove (Italia, Francia, Spagna ed altri) ha messo sul tavolo la proposta di «uno strumento di debito comune emesso da una istituzione dell'Ue per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati membri. Esso dovrà essere di dimensioni sufficienti e a lunga scadenza, per essere pienamente efficace e per evitare rischi di rifinanziamento ora come nel futuro».A quel punto, come riportato sia da Financial Times che da Bloomberg, Angela Merkel è stata categorica: «Ci sono aspettative irrealistiche, il nostro strumento preferito è il Mes». Prontamente spalleggiata dal premier olandese, Mark Rutte, nel solito ruolo del poliziotto cattivo, che ha aggiunto «in nessuna circostanza l'Olanda accetterebbe gli eurobond, essi sono estranei al progetto dell'Unione Monetaria». Trattati alla mano, il blocco tedesco ha ragione.Quello che, nelle intenzioni di Gualtieri, avrebbe dovuto essere solo la negoziazione di dettagli, si è rapidamente trasformato in un calvario per Conte che si è infine arroccato in una posizione condivisibile, ma politicamente molto pericolosa e non più rimangiabile. Cosa spera di ottenere in questi 14 giorni? Che dal cilindro spunti il coniglio di un prestito della Bei o del Mes senza condizioni? Regling lo ha detto chiaramente: gli eurobond ci sono già e sono i titoli emessi dal Mes e dalla Bei, che prestano agli Stati secondo regole ben definite; solo in questo modo è possibile la garanzia di tutti gli Stati. Altri voli pindarici non sono politicamente sostenibili, né in Germania, né altrove.Ora Conte, dopo aver stracciato le slide che illustravano l'adesione al Mes, deve spiegare al suo ministro dell'Economia cosa intende fare e, soprattutto, deve chiedergli di rispondere a lui. Altrimenti la sua si rivelerà presto un'improvvida fuga in avanti.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)